Beata MATTIA NAZZAREI
LA VITA E IL CULTO DELLA BEATA MATTIA
1 marzo 1253: dai coniugi Sibilla e Guarniero
Nazzarei nasce a Matelica di Macerata la Beata Mattia (data tradizionale).
1270: Mattia entra nel monastero delle Clarisse
“Santa Maria Maddalena” di Matelica, che più tardi sarà chiamato monastero
della “Beata Mattia”.
10 agosto 1271: professione religiosa, ossia totale
dedizione a Dio e oblazione dei suoi beni al monastero.
1273: è Abbadessa del monastero.
28 dicembre 1319: Superiora da 46 anni, se ne vola
al Cielo (data tradizionale).
* * *
15 gennaio 1320: prima traslazione del Venerato
Corpo della Beata al lato destro dell’Altare Maggiore (tradizione).
1536: seconda traslazione e prima manifestazione
dell’Umore Sanguigno.
1758: terza traslazione. Il Corpo viene posto sotto
l’Altare di Santa Cecilia, presto intitolato “Beata Mattia”.
27 luglio 1765: il pontefice Clemente XIII La
dichiara Beata e Ne approva il Culto, concedendoNe l’ufficio e la Messa.
6 ottobre 1811: sacrilega asportazione del Corpo
della Beata Mattia fino a Macerata da parte delle truppe francesi.
1 gennaio 1812: il Corpo della Beata ritorna fra la
gioia di tutti nella chiesa del Suo monastero.
5-12 settembre 1920: solenni feste per ricordare il
sesto centenario della morte della Beata. Il Corpo viene trasportato dalla
propria chiesa a quella di S. Francesco.
6-13 settembre 1953: solenni feste per ricordare il
settimo centenario della nascita della Beata. Il Corpo viene trasportato nelle
principali chiese della città.
9-12 settembre 1965: festeggiamenti per ricordare il
bicentenario della Sua Beatificazione (1765-1965).
13 settembre 1972: l’Istituto di Medicina Legale di
Camerino, a seguito di indagini ematologiche, certifica che l’umore dei diversi
reperti presi in esame è “… veramente sangue”.
2 luglio 1973: la Beata viene collocata sotto
l’Altare Maggiore, dove ogni giorno accoglie le preghiere dei Suoi devoti per
presentarle al Padre Celeste.
LA PATRIA DELLA BEATA MATTIA: MATELICA
In mezzo
ad una ridente vallata, tra il monte San Vicino e il monte Gemmo, si ammira la
graziosa città di Matelica, bagnata dalle acque del fiume Esino e del torrente
Rio Imbrigno. Fin dai primi secoli del Cristianesimo fu sede vescovile,
incorporata poi a quella di Camerino sino al 1785. Attualmente è Diocesi
“Fabriano-Matelica”.
In
ogni tempo fiorirono in Matelica uomini illustri. Vi nacquero San Sollecito e
il Beato Gentile dell’Ordine dei Minori, missionario martirizzato in Tauris nel
1340. Figli di Matelica furono anche il cardinale Campanelli, Accursio vescovo
di Pesaro, Camillo Campanelli vescovo di Perugia, mons. Piersanti cerimoniere
pontificio, che lasciò alla sua città un pregevole museo, la serva di Dio
Domenica Boldrini, l’arcivescovo Gaudenzio Bonfigli ed Enrico Mattei. Ma la
gloria, per la quale il nome di Matelica risuona benedetto persino nella
lontana America, è il fiore celestiale che in essa sbocciò.
La
famiglia Nazzarei, una delle più illustri e antiche di Matelica, verso la metà
del secolo XIII, fu allietata dalla nascita di una graziosa bimba. Al sacro
Fonte fu chiamata Mattia, che in lingua ebraica significa: “data da Dio”, quasi
ad indicare un grande dono che la Provvidenza faceva alla famiglia, alla città,
al mondo, dove avrebbe continuato lo splendore che già aveva irradiato la santa
vergine Chiara d’Assisi, la quale, proprio in quell’anno, chiudeva la sua
terrena esistenza.
Il
secolo in cui nacque non fu certamente dei migliori. Il timore di Dio sembrava
spento: frequenti le acerbe discordie, l’ipocrisia, l’ambizione, le eresie, gli
scismi.
Eppure, fra tanto fango, Iddio seppe far germogliare
eletti ed olezzanti fiori di virtù, tra i quali la nostra Beata.
La
piccola Mattia, unico fiore del giardino dei coniugi Nazzarei, crebbe circondata
da un vero amore cristiano; perciò, fin dai suoi primi anni, il suo cuore si
orientò verso Dio.
I
genitori si consolavano nel contemplare la loro figlia crescere umile e
intelligente. Il padre sognava già di darla in sposa ad un ricco giovane; ma altre
erano le aspirazioni della pia fanciulla. Mattia sentiva ingigantirsi nel cuore
il desiderio di unirsi indissolubilmente a Gesù Cristo nel Chiostro ove le
consacrate cantano continuamente le lodi del Signore.
MATTIA: SPOSA ESEMPLARE DEL SIGNORE
Esisteva
in Matelica fin dal 1230 il monastero “Santa Maria Maddalena”, ove vivevano
una vita evangelica le donne che per
amore di Gesù vi si erano rinchiuse. Mattia ne frequentava spesso la chiesa e
sentiva aumentare sempre più l’attrattiva per un tal genere di vita. Questa
risoluzione però non piacque alla madre che fece di tutto per dissuaderla. Il
padre Guarnerio morì quand’era fanciulla.
Emula
dell’eroico coraggio di Chiara d’Assisi e della di lei sorella Agnese, Mattia
abbandona tutto e fugge di casa. Va al monastero di S. Maria Maddalena, si
presenta alla Badessa e la prega che per l’amore di Dio l’accetti fra le povere
Clarisse e le dia l’abito della penitenza. La prudente Superiora pensa di
convincerla a far ritorno in famiglia; ma l’ardita postulante, non persuasa, si
ritira nell’oratorio a pregare. Con le sue mani si recide le bionde trecce,
indi dinanzi all’immagine del Crocifisso fa questa preghiera, che riportiamo
tradotta da un antico manoscritto:
“O Gesù, mio dolcissimo Signore, aiutatemi con i
Vostri lumi in questa prova che mi ritarda l’ingresso nel Vostro santuario. Io
sono, o Signore, Vostra creatura e Voi siete mio Creatore; Voi mi avete fatta a
Vostra immagine e somiglianza, e però Vi prego a non abbandonarmi. Voi sapete
che per amor Vostro ho rinunziato alle ricchezze e alle gioie del mondo; (…)
unicamente per servire con tutto il cuore Voi. In Voi, o Signore, ho riposta
ogni mia speranza”.
Mattia
vuole essere tutta di Dio, solo di Dio, sempre di Dio! Viene accolta. Piena di
fervore, desidera acquistare ogni giorno di più la perfezione. Noncurante di sé
e della nobiltà dei natali, si sottopone alle opere più umili del monastero.
Non solo di giorno, ma anche di notte si dedica al soave esercizio della
preghiera, nella quale effonde gli affetti più teneri e offre a Dio il suo
cuore, restando spesso assorta in pensieri celesti.
E
Gesù, compiacendosi del fervore della nostra cara novizia, le comunica favori e
consolazioni, e la istruisce nella virtù. Mattia va ripetendo spesso: “Signore,
Ti rendo infinite grazie dei doni concessimi e Ti prego come nostro Redentore,
che mi voglia soccorrere in tutti i bisogni come soccorresti tanti e tanti
servi Tuoi, e dammi forza e vigore ch’io possa resistere alle false lusinghe di
questo misero mondo”.
Mattia
si prepara al sospirato giorno in cui si sarebbe indissolubilmente unita al suo
Signore: raddoppia mortificazioni e preghiere, per purificare l’anima sua e
ricevere la grazia dell’innocenza, che la professione religiosa produce.
Il 10 agosto
del 1271, per mezzo del notaio, rinuncia a quanto possedeva donando tutto al
monastero ove fa la Professione Solenne con la gioia di cui Dio suole ricolmare
le Sue anime elette. A Mattia però non mancano tribolazioni, perché il maligno
non cessa un istante di muoverle guerra; ma Ella gli resiste energicamente con
la preghiera. Il suo cibo e bevanda sono esclusivamente pane e acqua, fatta
eccezione per la sola domenica, nel qual giorno accetta alla sua mensa erbe e
legumi. Queste e altre austerità pratica con fervente devozione per poter
ricambiare la sofferenza patita durante la crocifissione da Gesù, suo Divino
Sposo. Il suo incedere sempre umile, modesto e disinvolto; il suo parlare
dolce; il suo operare semplice rivivono l’esempio della Madre Santa Chiara.
Negli
Atti di Beatificazione si legge che le Consorelle cercavano di imitarla con
santa emulazione, vedendo i cari esempi di virtù con i quali Ella le
incoraggiava a vivere con Cristo povero, obbediente, casto.
Il
tutore legale di Mattia agì in modo da portarla fuori dal monastero. Lei
dovette sottostare; ma facendo ricorso al giudice vicario del Papa tramite le
consorelle, poté rientrare ben presto.
Nel
monastero matelicese si conservano molte pergamene del secolo XIII, alcune
delle quali sono riassunte al termine del presente libro. Sono un centinaio gli
atti notarili del periodo di vita della Beata. Parte di essi sono stati scritti
in occasione della professione solenne delle religiose; altri riguardano le
interrelazioni con le autorità ecclesiastiche; in maggior parte sono procure
per l’amministrazione delle proprietà immobiliari.
In
data 21 aprile 1273, poco dopo che la Beata Mattia era stata creata abbadessa,
il Vicario del Papa nella Marca, don Tommaso, esortava i fedeli cristiani a
fare elemosina al monastero di Matelica perché le religiose erano nella
necessità di costruirsi una cisterna, cioè un pozzo di raccolta delle acque, ed
ai benefattori concedeva una indulgenza. In quel periodo risultano in monastero
trentuno religiose, compresa l’abbadessa e anche tre “conversi”.
In
data 28 febbraio 1286 il vescovo di Camerino, don Rambotto, incoraggiava
l’abbadessa e le monache a perseverare nella volontaria professione della virtù
della povertà. Concedeva ai benefattori, dopo il sacramento del perdono,
l’indulgenza di cento giorni in ogni domenica della corrente quaresima fino
all’ottava di Pasqua. Sono testimonianze chiare dello stile di vita adottato
dalla Beata sull’esempio della Regola di Santa Chiara di Assisi.
Ecco i
nomi delle oltre cinquanta religiose testimoniate dagli atti notariali dal 1273
al 1311, riunite dalla Beata e da Lei amorevolmente guidate nel cammino della
purificazione interiore, della libertà spirituale e della contemplazione
divina:
Agata, Agnese, Alluminata, Angelica, Altegrina,
Amadea, Andreina, Aurea, Aviadea, Barbara, Bartolomea, Benvenuta, Berardesca,
Caradonna, Caterina, Cecilia, altra Cecilia, Chiarella o Clarella, Cri-stiana,
Cristina, Daniela, Datadeo, Diotama, Eugenia, Eugenia, Filippuccia, Donna
Filippa, Francesca, Gera, Giacoma, Giacomuccia (altra), Giovanna, Giustina,
Graziadeo, Guiduccia, Isabetta, Isaia, Lavinia, Lucia, Manfreduccia, Mansueta,
Margherita, Marta, Mattiola (omonima dell’abbadessa), Mita, Rosa, Simonetta,
Sperandia, Tomasuccia, Tuttasanta, Vittoria.
La
Beata Mattia era una donna coraggiosa e prudente, tanto da vincere le ripetute
controversie per l’accoglienza che ebbe a concedere alle monache matelicesi di
Sant’Agata che avevano richiesto di essere accolte a Santa Maria Maddalena,
cedendo nella professione di obbedienza anche i loro beni, tra cui il loro
luogo che era un povero monastero o casa situata in vicinanza alle clarisse.
Alla fine delle vertenze, i due monasteri restarono uniti con gran gioia delle
venute che dichiararono che non avrebbero potuto vivere decorosamente nel luogo
da loro abbandonato.
Donna
forte, la Beata Mattia si ritrovò processata per aver accolto la professione
religiosa della giovane Angelica. Il tutore della ragazza e dei beni di costei,
che aveva fatto la professione il 19 aprile 1273, dopo undici mesi era ricorso
al Vicario della Marca per riportarla a casa. Al processo la Beata e le
consorelle si adoperarono affinché il Vicario parlasse di persona con la stessa
professa.
Risultò
che non era stata arbitrariamente trattenuta in monastero, al contrario, la
giovane voleva con libertà e sincerità consacrarsi. In conclusione Angelica
restò assieme con la Beata seguendone la direzione spirituale.
Una
sorpresa per gli studiosi è il nome che troviamo in due atti capitolari del
1287 nei quali la stessa Mattia è chiamata Matelda. Si sa che il nome di
Matelda è stato reso famoso da Dante che scrive come Matelda lo guida dalla
sommità del Purgatorio alla beatitudine contemplata in Paradiso. L’Alighieri la
presenta nei canti finali della seconda cantica (Purgatorio 28, 29, 30, 31, 32,
33) come splendida donna illuminata dai raggi dell’Amore Divino. Questa Matelda
è simbolo della piena libertà del cuore divenuto padrone di ogni passione e
reso ardente nel volere la perfezione dello spirito. Il sommo poeta chiedeva a
Matelda di guidarlo per ravvivare “la tramortita virtù”. Gli studiosi della
Divina Commedia sono concordi nel dichiarare Matelda una donna storicamente
vissuta; ma non sanno con chi identificarla e suggeriscono dubbiosamente o
Matilde di Canossa o Matilde di Hockeburn, oppure verosimilmente una donna
virtuosa che per Dante, durante la giovinezza, fu d’esempio tanto da indurlo
alla conversione interiore. Nulla, quindi, impedisce di pensare che il poeta,
viaggiando dall’Umbria alle Marche, abbia ammirato e lodato le virtù della
nobile Matelda di Matelica.
Chiara
di Favarone, fondatrice e Madre delle Clarisse, nacque ad Assisi nel 1193 e
passò al cielo l’11 agosto 1253. Condivise con Francesco di Assisi la
conformità a Cristo povero e crocifisso ed il servizio alla Chiesa.
La sua
avvincente avventura, che dopo i
colloqui con Francesco la portò a fuggire da casa, si svolse nel povero
e silente monastero di S. Damiano, restaurato dallo stesso Francesco.
Il suo
esempio guizzò come un raggio luminoso e le sue seguaci – dette Sorelle Povere
– erano già 50 solo a San Damiano e varie centinaia nei 120 monasteri fondati
per irradiazione, lei vivente.
Ancora
oggi circa ventimila Sorelle Clarisse, distribuite nei numerosi monasteri
sparsi nel mondo, tengono accesa la fiaccola di Chiara e vivono nel silenzio,
nella povertà, nella contemplazione e nel lavoro, l’intimità di amore con Dio
nella conformità a Cristo povero e crocifisso per i fratelli.
BENEDIZIONE DI S. CHIARA
* Il Signore
ti benedica e ti custodisca.
* Ti mostri
la sua faccia e ti usi misericordia.
* Rivolga a
te il suo sguardo e ti dia pace.
* Il Signore
sia sempre con te, ed Egli faccia che tu sia sempre con Lui.
AMEN
PREGHIERA SEMPLICE
O Signore, fa di me uno strumento della tua pace:
Dove è odio, ch’io porti l’Amore,
Dove è offesa, ch’io porti il Perdono,
Dove è discordia, ch’io porti l’Unione,
Dove è dubbio, ch’io porti la Fede,
Dove è errore, ch’io porti la Verità,
Dove è disperazione, ch’io porti la Speranza,
Dove è tristezza, ch’io porti la Gioia,
Dove sono le tenebre, ch’io porti la Luce.
O Maestro, fa che io non cerchi tanto:
Di esser consolato, ma di consolare,
Di esser compreso, quanto di comprendere,
Di essere amato, quanto di amare;
Poiché: dando si riceve,
Perdonando si è perdonati,
Morendo si risuscita a Vita Eterna.
Le
Clarisse ebbero avvio sotto la Regola dell’Ordine di S. Benedetto, ma soggette
all’Ordine francescano con il Formulario di Gregorio IX.
Un
dipinto, che si ritiene di poco posteriore alla morte della nostra Mattia, ci
rappresenta questa eroica Consorella con tonaca e manto grigio e cordone
pendente, piedi scalzi protetti da semplici zoccoli: ecco il corredo materiale
di Suor Mattia Nazzarei; ma sotto queste meschine vesti la pia suora nascondeva
un prezioso corredo di virtù, noto solo a quel Dio che intuisce e scandaglia il
cuore dell’uomo.
I DUE BINOMI DI MATTIA ABBADESSA:
CHIESA-EUCARESTIA
Mattia
viveva tranquilla i suoi giorni nel servizio di Dio e nell’amore delle
consorelle, delle quali sinceramente si riteneva l’ultima; per la sua lodevole
condotta, per l’esatta osservanza della Regola, per la sua pietà e zelo, era di
esempio a tutte le consorelle.
Secondo la tradizione esercitò l’ufficio di
Superiora fino alla sua beata morte.
Durante
il suo governo suor Mattia condusse a termine due imprese materiali, assai
ardue, se si pensa che la comunità viveva in estrema povertà: la CHIESA e il
MONASTERO.
La chiesa era troppo piccola e poco conveniente alla
maestà di Dio; il monastero era troppo angusto per accogliere le numerose
giovani che chiedevano di vivere la Regola di Santa Chiara.
La
fiducia della nostra Beata nella Provvidenza celeste trionfò. Si mise
all’opera, cominciando dalla Casa di Dio. Appena terminata la chiesa, mise mano
al monastero: in breve se lo vide realizzato.
Ora la
chiesa procurò di riscaldarla con un infuocato amore a Gesù Eucarestia. Nei
dubbi, nelle tribolazioni e nelle gioie correva al Tabernacolo: vi restava
assorta per lunghe ore, ne usciva rafforzata.
Popolò
il monastero di vergini, che Mattia amò di tenerissimo affetto. Le sue cure più
amorose furono per le monache inferme e tribolate, rendendo meno dolorosa la
malattia con le più delicate premure e, con parole dolci, inculcava la pazienza
di cui Ella nell’atto stesso dava
mirabile esempio.
A
proposito della sua grande fede un antico manoscritto narra quanto segue.
Mentre
la Beata Mattia esercitava il delicato compito di superiora, una monaca di nome
suor Chiarella dava da bere alle monache un vino guasto. Spesso la Beata
l’ammoniva dicendo: «O Suora Chiara, quel che il Signore ci dona dobbiamo
gustarlo buono, per la Sua bontà e carità, senza la quale le porte del Cielo
non ci verranno aperte». La detta suora, tentata come sempre, andando un giorno
alla cantina e volendo cavare il solito vino guasto, tolse lo zipolo dalla
botte, aspettando che il vino uscisse fuori, ma con sua grande meraviglia il
vino non venne. Piena di vergogna, andò con grande timore dalla Beata che si
recò in cantina, dov’era la botte, seguita da tutte le Consorelle, le quali
tentarono anche loro di spillare il vino, ma senza alcun risultato. Finalmente
la Beata posò le sue sante mani sopra la botte, rivolse una preghiera al
Signore e, subito, venne fuori un vino ottimo. Suor Chiarella, toccata dalla
Grazia e illuminata dallo Spirito Santo, divenne una monaca di santa vita.
Rimangono
ancora due doghe e nella botte, chiamata “della Beata”, possiamo attestare che
anche nel 1935 si è verificato come la Beata Mattia venne in soccorso delle sue
Consorelle. Suor Marta Mosciatti, di Matelica, monaca esemplare, con la fede
viva in Dio e nella protezione della Beata, avendo trovato in una botte vino
deteriorato al massimo, lo versò nella famosa botte e tosto divenne vino
gustoso.
Suor
Mattia che tanto amava Dio, amava il prossimo. La sua carità la rendeva
sensibile alle sventure del prossimo: sentiva come propri gli altrui dolori,
piangeva con gli afflitti, consolava i mesti con le parole che recavano pace e
serenità, tanto che ognuno partiva confortato e guarito e lei si meritò il
titolo di “madre della carità”.
Gli
storici rammentano un fanciullo di Matelica, che un giorno, rientrando in casa
di corsa, urtò nel ciglio della porta sì malamente da perdere i sensi. Per tre
settimane rimase senza parola e a stento prendeva soltanto un po’ di bevanda;
per quante cure gli facessero non accennava a guarire, anzi, per mancanza di
alimento, deperiva ogni giorno di più.
La
povera madre, desiderosa di riavere sano il figliolo, lo portò da suor Mattia,
pregandola con lacrime di restituirle sano il figlio. Mattia si rivolse a Dio
con fervida preghiera. Come l’ebbe finita, il giovanetto si scosse, fissò lo
sguardo sulla sua benefattrice e corse tutto allegro nelle braccia della madre,
la quale non poteva credere ai suoi occhi per l’istantanea guarigione del
figlio.
Anche
i peccatori avevano un posto distinto nel Suo cuore: li accoglieva
amorevolmente, parlando loro di Dio e della Sua infinita misericordia. Di molti
ottenne la conversione. Quando poi si mostravano restii alle sue parole, Ella con fervorosa
preghiera importunava il Signore, perché si degnasse di toccare il loro cuore;
e, per ottenere più efficacemente l’effetto, raddoppiava orazioni e digiuni,
perché quanti ricorrevano alla sua materna carità fossero consolati.
Mattia
presagì vicino il giorno della sua morte.
Alla
voce che la chiamava rispose: “Eccomi”!
Volle rivedere le sue figlie dicendo loro: «Questa
notte, al Mattutino, è l’ultima ora e fine della mia vita: è tempo di andare al
Padre». La buona Madre diede a tutte la sua santa benedizione esortandole a
seguire l’esempio di Nostro Signore Gesù Cristo, per possedere il Regno dei
Cieli. Continuò dicendo che dovevano osservare principalmente tre cose: la
castità, l’obbedienza e la povertà: «Vi dico care figlie che piace più a Dio la
santa obbedienza che il sacrificio. Portate rispetto alle vostre maggiori sull’esempio
di Gesù Cristo che fu obbediente fino alla morte di croce. Osservando
l’obbedienza sarete gradite a Dio. La terza cosa che vi raccomando è la santa
CARITÀ : questa supera tutte le altre; la carità ci fa stare con Dio e Dio con
noi. Io mai abbandonerò questo monastero; sempre ne sarò la vigile custode! Voi
però compatitevi scambievolmente, amatevi sempre perché Dio è Amore!».
Un antico manoscritto narra che, mentre la Madre parlava, un vivo splendore l’avvolse illuminando il monastero: la Beata Madre rendeva il suo spirito al diletto Sposo Gesù Cristo, che con la gloria eterna remunerava una vita pura e penitente.
Era
appena spirata, quando Iddio manifestava già con nuovi prodigi la gloria della
sua sposa fedele. Quel Sacro Corpo tosto prese un aspetto maestoso e dolce,
emanante fragranza di Paradiso.
La
notizia si diffuse rapidamente,
riempiendo tutti gli animi di profondo cordoglio. Ci fu un incessante accorrere
di fedeli, che volevano contemplare ancora una volta le celesti sembianze della
loro protettrice, da cui spirava aria di Paradiso e celeste fragranza. Le
esequie si convertirono in un trionfo: accorsero malati, zoppi, ciechi, muti,
sordi e al tocco di quelle membra verginali acquistarono la salute.
Un
certo Attuccio, figlio di Buon Giovanni degli Atti, soffriva di tale paralisi
da dover camminare sì curvo, da toccare quasi col capo le ginocchia. Gli
infelici genitori avevano sperimentato tutto per avere la guarigione: ma tutto
era riuscito inutile. La povera madre addoloratissima sentì nascere in cuore la
fiducia vedendo tanti altri infelici guariti dalla Beata Mattia, la cui salma
era ancora esposta pubblicamente in chiesa. S’appressò alla bara con il figlio,
il quale al solo contatto si sentì subito sanato come se non avesse avuto mai
alcuna infermità.
Molte
altre prodigiose guarigioni si ebbero in quei giorni memorandi. Fu il popolo a
chiedere una degna sepoltura, ma si dovette seguire le consuetudini dell’epoca
e solo dopo 18 giorni le monache, con il permesso delle autorità religiose,
pensarono di chiamare un valente medico di Camerino, Mastro Bartolo, e sotto la
sua guida la disseppellirono. Il Corpo ancora flessibile e incorrotto emanava
soave profumo. Mastro Bartolo, secondo l’usanza del tempo, avrebbe dovuto
imbalsamarla; ma, quando alla prima incisione vide uscirle dalle vene sangue
vivo e in quantità, si arrestò.
A
seguito di ciò il Corpo fu posto in un’urna elegante, collocata alla parte
destra dell’Altare Maggiore, alquanto elevata da terra con innanzi
un’inferriata. Fu preso un calco del suo volto, secondo la tradizione.
PROCESSO CANONICO PER LA BEATIFICAZIONE
Il
processo canonico per la beatificazione della nostra Beata Mattia durò dal 1759
al 1765, quando fu approvato il suo culto basato sulla “fama della Santità
della Vita, delle virtù e dei miracoli”…, e “sopra l’immemorabile di Lei
culto”, con queste parole: «Diciamo, decretiamo, dichiariamo e definitivamente
sentenziamo che risulta esercitato il culto e la pubblica venerazione verso la
B. Mattia Nazzarei, culto di cui non c’è memoria dell’inizio e che tuttora
viene tributato».
Espletate
tutte le pratiche richieste presso la S. Congregazione dei Riti, il Papa
Clemente XIII pose la sua approvazione al decreto di beatificazione il 27
luglio 1765 e così la Beata Mattia fu iscritta nel catalogo ufficiale dei
Beati. Per raggiungere questa meta si erano vivamente interessati presso il
Vaticano Giorgio III re di Inghilterra; i cardinali Oddi e Acciaioli; molti
vescovi tra cui quelli di Camerino, Macerata, Osimo, Senigallia, Rimini, S.
Severino, ecc.; il generale dei Minori Osservanti; i Capitoli di Fabriano e
Matelica; le autorità civili e altri. Grande fu l’entusiasmo della popolazione
matelicese e i festeggiamenti durarono più giorni.
LA PERLA DELLA BEATA:
I
prodigi che la Beata andava operando le crearono una fama che varcò i confini
della sua Matelica, e le procurarono un continuo accorrere di fedeli che riverenti
e riconoscenti si prostravano dinanzi al suo sepolcro.
Nel
1536, dal luogo in cui era stato posto diciotto giorni dopo la sua morte, il
Venerato Corpo fu messo in un luogo migliore e più comodo per i fedeli.
Il 22
dicembre 1758 fu trasportato sotto l’altare di Santa Cecilia, altare laterale
destro della chiesa, che nel 1765, con la sua proclamazione a Beata e con il
riconoscimento del culto, venne subito intitolato alla Beata.
Se si
eccettua l’infelice parentesi dal 6 ottobre al 31 dicembre 1811, quando le
soldatesche napoleoniche sacrilegamente lo asportarono dal suo Altare e lo
portarono fino a Macerata, il Corpo della Beata è stato nella Sua chiesa,
voluta e realizzata dal fuoco della sua carità.
Ora il
fatto che costituisce la caratteristica fondamentale, è quel prodigioso Umore
Sanguigno, che emana dal Suo Corpo e dalle Sue Reliquie.
Si
legge infatti negli Atti di beatificazione che nella traslazione del 1536
ricominciò tosto a sudare tanto, che quelle Suore usavano asciugatoi di lino
per asciugarlo.
Nella
ricognizione giuridica del 1756, appena aperta la cassa, si effuse un
soavissimo odore e il Corpo fu trovato intero: la carne era sì disseccata, ma
intera; nell’occhio destro semichiuso si scorgeva la pupilla; nelle mani e nei
piedi la carne si cominciava a consumare, ma la braccia erano flessibili;
l’abito e il velo erano pure bene conservati.
Quando
il 22 dicembre 1758, prima d’essere posta nella sua nuova sede, fu riaperta la
cassa, si verificò allora quanto era avvenuto nel 1536: infatti la pezza di
lino, più volte raddoppiata, che avvolgeva il Corpo della Beata, fu vista
intrisa di Umore Sanguigno da tutto il popolo e lo attestarono i medici
presenti.
L’Autorità
Ecclesiastica, il 17 marzo 1759, in presenza di testimoni, aprì l’Urna e vide
che dell’Umore Sanguigno erano macchiati i teli sui quali poggiavano le mani e
i piedi; il viso trasudava ancora, fu ricoperto con un candido fazzoletto di
lino: in meno di due minuti comparve chiazzato in più luoghi di Umore
Sanguigno. A tal prodigio fu presente lo stesso vescovo mons. Francesco
Viviani, ed il dottor Paolo Prosperi ne fece una dettagliata relazione,
confermata con solenne giuramento da testimoni.
Il
vescovo fece altra ricognizione, con assistenza di testimoni, il 13 maggio
successivo. Il fenomeno fu sempre lo stesso: man mano che si cambiavano le
pezzuole bagnate ed altre se ne sostituivano, tosto queste venivano ancora
intrise da detto Umore. Il fatto si è ripetuto negli anni successivi.
L’11
giugno 1921 il P. Raffaele Tittoni, Guardiano
dei Francescani e Confessore delle Clarisse, si avvide che la mano sinistra
della Beata espandeva Umor Sanguigno da bagnare in tre giorni un purificatoio,
sotto la stessa mano, ed il fenomeno si notò al piede destro: l’Umore, dapprima
sbiadito, divenne poi assai colorito.
Informate
le autorità ecclesiastiche, queste costatarono il nuovo prodigio assieme al
dottor Conforti e ne fu esteso il regolare processo.
Le
reliquie del prodigioso Umore rapidamente si diffusero in tutto il mondo; le
cercarono e le tennero a caro Sommi Pontefici e personaggi altissimi: dovunque
apportarono consolazioni e salutari ammaestramenti.
Fra i
Sommi Pontefici piace ricordare Benedetto XV, che nel settembre del 1919 gradì e
ammirò molto un artistico quadretto racchiudente una pezza intrisa di Umor
Sanguigno e volle concorrere ai restauri della chiesa con una generosa offerta.
Potremmo
citare numerose testimonianze; ne riportiamo solo alcune.
Nel
gennaio del 1773 l’ARCIVESCOVO DI URBINO scriveva alla Badessa di Matelica che
le pezze, intrise di sangue della Beata Mattia, benché tenute in somma
custodia, tramandavano umidità tale come se fossero attualmente asperse di
detto Umore.
Nel
1817 il P. PIERFRANCO DA MACERATA ebbe in regalo dalle monache di Matelica un
pezzo di telo intriso e lo avvolse in un foglio bianco di carta. Nel luglio del
1820 trovò il foglio tutto inzuppato di Umor Sanguigno, che sembrava fosse
stato tenuto in un catino di sangue da bagnare le dita di chi lo toccava.
Il
PANTANETTI dell’Oratorio dei Filippini di Fermo nel 1831 vide per diverse volte
le dette reliquie versare Umore. Verificato il prodigio dal cardinale
Brancadoro, ottenne l’Ufficio liturgico della Beata per tutta l’Archidiocesi
fermana.
Sorprendente
è il fatto accaduto nel Monastero delle Carmelitane di Ferrara nel 1849. Il
cardinale arcivescovo aveva ottenuto un pezzetto del telo e una reliquia per il
Monastero. Erano intrisi di Umore, che aveva macchiato anche la seta su cui
erano poggiati. Continuarono a emanare Umore, spandendo sempre un profumo
delicatissimo. Molti furono i testimoni: primo lo stesso cardinale, che, per
devozione alla Beata, ne ottenne l’Ufficio per tutta la diocesi.
Ci
piace concludere questo capitolo dell’Umor Sanguigno con la risposta in data
13-9-1972 dell’ISTITUTO DI MEDICINA LEGALE
dell’Università degli Studi di Camerino che, a seguito di indagini
ematologiche su cinque diversi reperti di detto Umore così riferisce: «Le macchie
presenti in tutti i cinque reperti sono CERTAMENTE COSTITUITE DA SANGUE,
piuttosto invecchiato».
Lungo
il corso dei secoli Mattia ha avuto da Dio il delicato compito, come il buon
samaritano, di accostare gli infermi e curarne le piaghe.
Sarebbe
bello ed anche doveroso riportarli tutti, ma dobbiamo accontentarci di
presentarne solo alcuni.
Dopo
la morte il primo prodigio già narrato.
“Nel mese di luglio del 1397 mastro Onofrio di S.
Biagio da Perugia, caldaraio, abitante in Matelica, fu pubblicamente infamato
d’aver condotto in Matelica la moneta falsa, d’averla quivi spesa e d’averla
data a due matelicesi, che poi si recarono a Gualdo. Ora uno di questi,
avendola davvero smerciata, fu bruciato vivo; mentre l’altro fu liberato con le
preci rivolte al Signore, per intercessione della Beata Mattia, poiché non era
in colpa. Il mastro Onofrio fu rinchiuso in oscura prigione. Pregò la Beata con
impegno di convertirsi. Intanto si preparava per decapitarlo.
Come
Dio volle tutti cominciarono a trattare e ad indugiare la sua morte, anzi
andarono nella prigione, dicendogli che non doveva patire quella morte, e lo
cavarono fuori di prigione. Mastro Onofrio, fuori di prigione, volle adempiere
il voto fatto.” (*Questo fatto è stato stralciato dall’opera, tradotta dalla lingua
latina in volgare dal P. Tommaso, da Tullio Speranza, Lettore in Sacra Teologia
nel 1576, manoscritto presso il monastero.)
ANDREA
DI DARIO DA VISSO soffriva da tempo colpito da eccessivi dolori. Consultò
quanti medici conosceva, applicò ogni
rimedio: ma i dolori non cessavano. Alla fine si rivolse alla Beata Mattia e si
sentì completamente sano. Subito si recò a venerare la tomba della Beata.
AGNESE,
moglie di Taddeo, aveva nel corpo una piaga profonda. Per quattro anni
continui, vari medici tentarono di curarla; ma, rimanendo i rimedi sempre
inutili, convennero unanimemente che la guarigione con mezzi umani era
impossibile. L’inferma si rivolse con incrollabile fiducia alla Beata Mattia
per essere liberata da quel tormento e vide come d’incanto rimarginarsi la
piaga.
MELUCCIO
DI BERNARDO, dovendo andare a Roma, si unì ad altri tre compagni, che facevano
il medesimo cammino. Strada facendo, i tre si avvidero che Meluccio aveva le
tasche piene. Giunti ad un luogo solitario, si fecero sopra il malcapitato con
cinque coltellate e credettero di averlo ucciso; gli presero quanto
portava e seguitarono la loro via.
L’infelice Meluccio non era morto, ma sentiva venir meno le forze, da spirare
da un momento all’altro. Si ricordò della Beata Mattia e Le si raccomandò. Gli
apparve la Beata e «Non temere - disse dolcemente al ferito - ché niente ti
accadrà di grave; sollevati, - indicandogli l’erba - prendi di quella,
applicala alle tue ferite e guarirai. Ritornato però che sarai alla tua casa,
vai al Monastero, ove giace il Mio Corpo, e racconta il fatto all’Abbadessa»;
Meluccio, rialzatosi da terra colle ferite grondanti sangue, si appressò a
raccogliere l’erba indicatagli che, applicata alle ferite, all’istante le
risanò. Suo primo pensiero fu di recarsi dalla Badessa delle Clarisse per far
conoscere a tutti il modo meraviglioso col quale la Beata Mattia lo aveva
liberato da morte sicura.
In
Matelica una bambina, di nome FLESUCCIA, a diciotto mesi non dava ancora segno
di parlare e, per giunta, faceva seriamente dubitare che non potesse nemmeno
camminare. La madre andò alla chiesa di S. Maria Maddalena per pregare la Beata
Mattia di ottenerle la tanto desiderata grazia. Ritornata a casa, trovò che la
Beata l’aveva completamente esaudita, perché da quel giorno Flesuccia cominciò
a parlare e camminare con grande consolazione della madre e di quanti seppero
il fatto.
Tagliando
la legna con una scure, GIOVANNI FRANCESCO DI GIGLIO, si produsse una grave ferita
al pollice della mano sinistra, che non voleva rimarginarsi. Passarono giorni e
settimane; ricorse a molti rimedi, ma il male, anziché cessare, tendeva ad
aggravarsi. Ebbe l’ispirazione di chiedere la guarigione alla Beata Mattia: si
portò nella Sua chiesa per domandarLe grazia. Dopo aver fervorosamente pregato,
grande fu la sua meraviglia allorché vide la ferita rimarginata.
Singolare
è poi il modo col quale la Beata Mattia avverte le religiose del Suo monastero
e i Suoi devoti di un qualche fatto che loro incombe. Si sentono infatti
nell’Urna, che racchiude il prezioso Corpo della Beata, o in qualche quadro,
dove si trovano le Sue reliquie, forti colpi. Di ciò hanno sempre fatto fede le
religiose defunte e le attuali monache Clarisse.
Mentre
si faceva in Matelica il processo sopra il culto della Beata, si udirono
dall’Urna gagliardissimi colpi da mettere in agitazione le povere monache. Si
cominciò ad osservare ogni angolo del monastero e si trovò che una trave, sopra
il coro, era estremamente pericolante: sarebbero stati guai, se non vi si fosse
posto sollecito rimedio. Subito la si sostituì e la Beata, quasi contenta del
servizio reso alle consorelle, fece esalare per tutto il monastero un profumo
consolantissimo.
Non
meno prodigioso è il fatto avvenuto nel 1851. Pericolando un muro del
monastero, dovettero subito correre i muratori per rifare le fondamenta del
muro cadente e si ricorse alla Beata per averne protezione, che non tardò a
manifestarsi: infatti, mentre il muratore Raffaele Paternesi stava con un
compagno nello scavo, sentì toccarsi e, rivolto al compagno, disse: «Chi mi
tocca?» - «Nessuno!» rispose l’altro. Alzando gli occhi, il Paternesi vide che
sopra di lui stava per rovesciarsi un ammasso di terra. Appena scostatosi,
l’ammasso immediatamente precipitò: l’avrebbe senz’altro sepolto, se la Beata
non fosse corsa ad avvisarlo.
La
Beata talvolta “… appare anche al letto delle inferme per consolarle”, come si
legge in autentiche deposizioni.
Suor
M. TERESA SCASSELLATI del monastero di S. Margherita di Gualdo Tadino era
affetta da grave malattia precordiale, che la tormentava dal 1823 al 1827 -
come si legge nell’attestato del medico curante dott. Luigi Salusti. Pur con le
premurose cure del detto medico e di altri, non poté avere alcuna guarigione.
Risolse allora di rivolgersi alla Beata Mattia. Un giorno, prossimo alla festa
della SS.ma Trinità, vide apparire la Beata Mattia che le disse che le aveva
impetrata grazia della guarigione dalla SS.ma Trinità. E come la Beata le
predisse, così avvenne: infatti suor M. Teresa visse altri dieci anni.
Nel
1758 ANGELA BARBARINI, domestica della famiglia Riposati di Camerino, cadde in
sì malo modo dalle scale da rimanere per vario tempo in pericolo di vita. Si
riebbe, ma la mano destra le rimase così rovinata da non potersene più servire.
Volle recarsi a visitare il Corpo della Beata per implorarNe aiuto. Giunta che
fu in chiesa, Le si raccomandò di guarirla. La Beata ascoltò la viva preghiera
della Sua devota e all’istante la guarì.
Una
certa MATTIA DI CESARE DA FIORENZUOLA viveva in Camerino ed era tormentata dal
“mal di pietra”, o calcoli, da ritenersi necessaria l’operazione. Sia per la
difficoltà dell’intervento e sia per i suoi sessanta anni, la povera Mattia non
si poteva rassegnare; fervorosamente pregò la Beata omonima a salvarla,
facendosi benedire con una reliquia della Stessa. Appena ricevuta la
benedizione, la pietra uscì naturalmente. Ora detta pietra, con l’attestato
medico in data 28 novembre 1759, si conserva in monastero.
La contessa
TARQUINIA BENZI DI ASSISI, per quattro mesi straziata dai dolori, era ridotta a
tal punto da essere dai medici giudicata in pericolo di vita. Andandola a
visitare, l’amica Caterina Vannucci la incoraggiò consigliandole di rivolgersi
alla Beata Mattia, di Cui le raccontò vari prodigi. Si appigliò allora
l’inferma alla protezione della Beata e, fattasi benedire con una Reliquia del
prodigioso Umor Sanguigno, restò all’istante libera da tutti i mali.
Tanta
protezione usa Mattia per le Sue consorelle di Matelica. Lo sperimentò SUOR
ROSALBA LUZIOLI, cui sotto il braccio destro crebbe un tumore maligno: non
poteva riposare né di giorno né di notte e non si poteva trovare alcun rimedio,
come affermava il chirurgo. Non vide allora suor Rosalba altra speranza che
rivolgersi alla Beata: La pregò con fervore e, preso un telo che aveva toccato
il Corpo della Beata, lo applicò alla parte inferma e così si pose a dormire.
Da tanto tempo non aveva avuto un sonno più placido. Destandosi trovò scomparso
il tumore.
VINCENZA
BERTINI DI CASTELPLANIO, cui si era disgraziatamente rovesciata una padella di
lardo bollente, n’ebbe ustionato il viso con la perdita della vista dell’occhio
sinistro. Una sorella più piccola, per ordine della madre, la segnò subito con
la reliquia della Beata Mattia: all’istante sparve ogni cicatrice e ritornò la
vista.
FRANCESCA
BROGLIANTE DI PIEVEBOVIGLIANA, dimorante in Matelica, per otto anni continui a
letto, soffriva pene indicibili. Sapute le feste che si preparavano per
solennizzare la beatificazione di Mattia, vi si dispose con una novena per
potersi alzare di letto. Venne esaudita dalla Beata, che ottenne da Dio di
tenerla ancora in vita e di farla
andare in chiesa per accostarsi ai Sacramenti.
In
Caldarola, nel 1808, la FAMIGLIA BETTI fu provata dalla sventura perché un
bambino di diciassette mesi, già cieco, fu colto improvvisamente da
convulsioni, che precedentemente avevano cagionato la morte ad altri due
fratellini. L’infelice madre si rivolse alla Beata promettendoLe di condurre al
Suo Sepolcro il figlio, qualora glielo avesse salvato. Fu sì grande la fede
della povera donna che, appena fatto inghiottire al figlio un filo intriso
dell’Umore della Beata, lo vide aprire gli occhi, libero dalle convulsioni.
Madre e figlio non tardarono ad
adempiere la promessa, visitando il Sepolcro della Beata.
La
giovane MARIA MATTIOLI DI SENIGALLIA, nel 1812, era senza speranza di poter
guarire da quell’inesorabile etisia che aveva troncato la vita ad altre sue due
giovani sorelle. I medici l’avevano dichiarata incurabile. Un amico di famiglia
inviò un pezzetto di pannolino intriso dell’Umore Sanguigno della Beata Mattia.
Dopo messa addosso la reliquia alla povera malata e recitate da tutta la
famiglia le preghiere alla Beata per ottenere la grazia, all’istante l’inferma
riebbe la sanità.
Il
padre di Maria stese il racconto della prodigiosa guarigione della figlia che,
autenticato dalla Curia vescovile di Senigallia, volle fosse a tutti noto.
SUOR
MARIA MICHELA DECANTI, Clarissa del monastero di Monte Giove, soffriva da
cinque anni. Ridotta ad uno stato miserabile, il 12 luglio 1820 si credeva
fosse l’ultimo giorno della sua vita. L’Abbadessa prese una piccola Reliquia
dell’Umore Sanguigno della Beata Mattia e lo porse all’inferma. Presala si
sentì sana. Il medico curante Pietro Savini attestò che ciò si doveva
attribuire a vero prodigio della Beata Mattia Nazzarei.
Il
vescovo di Macerata, con attestato del 23 giugno 1862, conferma la relazione di
Suor Giustina, Superiora delle Giuseppine, e del medico dott. Severini, che
narrano come SUOR EUGENIA, di ventitré anni, era agonizzante per tisi.
Consigliata dallo stesso vescovo di fare un triduo alla Beata Mattia con la
promessa di recarsi a venerarNe il sepolcro, appena finito il triduo, guarita,
lasciò il letto con sorpresa di tutti.
Nel
1863, nel monastero delle Benedettine di Sassoferrato, fu colta da
gastroenterite DONNA CELESTE MADDALENA VICI. Si prevedeva la fine. L’inferma,
allora, con fede invocò la Beata Mattia, prendendo alcuni fili intrisi del
prodigioso Umore. Immediatamente cessarono i dolori e guarì perfettamente.
Sorprendente
è il doppio prodigio operato dalla Beata il 14 marzo 1874 a SUOR MARIA REDENTA
NANNI nel monastero delle Clarisse di San Marino. Per ottantatré giorni
continui fu assalita da febbre colliquativa, che le provocava tanto sudore da
arrecarle un tale deperimento di forze da far seriamente temere. Inoltre, da un
anno le si era formata nel dorso del piede sinistro una cisti che richiedeva
l’operazione. L’inferma però sperava nella Beata Mattia e chiese ad una
consorella la carità di benedirle il piede infermo con l’immagine della Beata
Mattia, ché lei avrebbe sorbito un filo dell’Umore Sanguigno. Appena ingoiato,
la consorella cominciò a scoprire il piede per benedirlo, ma la cisti era
scomparsa senza lasciare traccia. A tale portento l’Abbadessa, in virtù
d’ubbidienza, comandò all’inferma di chiedere alla Beata la grazia della
cessazione della febbre. Ubbidì suor Maria Redenta. Con confidenza illimitata
chiese alla Beata Mattia il prodigio e questo avvenne: infatti cessò il sudore
e sparì la febbre.
Nel
1874 SUOR PACIFICA AMORI, di trentanove anni, clarissa del monastero della
Beata, aveva da cinque anni perduto completamente l’uso delle gambe. Afflitta
per sé e per la Comunità, si rivolse con una novena a Maria SS.ma, a San
Giuseppe e alla Beata Mattia per averne grazia. Terminata la novena, Suor
Pacifica volle tentare di alzarsi dalla sedia in cui era inchiodata. Poté muoversi;
il secondo giorno fece qualche passo, il terzo si recò da sé a baciare
un’immagine della Beata che teneva appesa alla parete. La guarigione
proseguiva. Si recò all’Urna che racchiudeva il Corpo della Beata,
stentatamente vi si genufletté: all’istante sentì svanire ogni dolore e le
gambe restarono libere.
GIOVANNI
BIGIARETTI DI MATELICA la sera del 1 Luglio 1911, fu assalito da forte febbre.
Subito fu chiamato il medico. Questi riscontrò un complesso di mali: polmonite,
pleurite, nefrite con minaccia di meningite; caso disperato. Il povero
Giovanni, devoto com’era alla Beata Mattia, si rivolse a Lei e, animato da
crescente fiducia, si sentiva sollevato. Alla mattina del 6 luglio, quando il
medico si recò a visitarlo, trovandolo libero, dichiarò apertamente che si
trattava di un prodigio della Beata.
LEANDRO,
figlio di LUCIA GIUSEPPETTI DI PESARO, da circa tre anni giaceva in una
carrozzella, malato di coxite. I genitori, mancando ogni umana speranza di
guarigione, lo raccomandarono alla Beata Mattia: usarono due delle Sue
reliquie, ricevute dalle monache il 20 febbraio 1918; l’11 marzo successivo il
piccolo scese dalla carrozzella: era perfettamente guarito.
Nel
1920, all’apertura dell’Urna della Beata, era presente il DOTT. UMBERTO
CONFORTI DI MATELICA, che con grande devozione Ne ripulì il viso e le mani. Nel
1921 il dottore venne colpito dal vaiolo e le sue condizioni si presentarono
gravissime. Una notte gli apparve la Beata e gli disse: «Tu hai ripulito me, io
vengo a ripulire te». Si verificò tale miglioramento da permettergli presto di
riprendere le sue ordinarie
occupazioni. Il dottore lo confidò alla Badessa del monastero della Beata,
Madre Giacinta Vecchi, e alla vicaria suor Maria Luisa Fiorani.
ANNA
MICCI DI AVACELLI D’ACERVIA, in un attestato, riferisce come, per uno sforzo
fatto, ebbe sì malconcia la spina dorsale, da impedirle ogni movimento: non
poteva alzarsi né vestirsi. Durò in tale stato per tre lunghi anni: ogni
rimedio le acuiva il male. Le fu intanto suggerito di rivolgersi alla Beata
Mattia. Così fece e promise di recarsi a visitare la Beata ottenendo da Dio la
guarigione. Allora si sentì completamente libera ed il 2 maggio 1927 soddisfece
il voto, percorrendo a piedi gli ultimi nove chilometri senza sentire il minimo
disturbo.
Secondo
la dichiarazione rilasciata il 4 aprile 1931, la signora CELESTE PARI, di
settantasette anni, da Rimini, colpita da complicazioni bronchiali e polmonari,
era senza speranza di guarigione. Figli e nuore iniziarono un triduo alla
Beata. Terminate le preghiere, l’ammalata si sentì subito sollevata; al terzo
giorno scomparve la febbre e la signora Pari fu così completamente guarita.
L’INFERMIERA,
che aveva assistito al prodigio sopraddetto e che si trovava costernata per
avere il marito disoccupato da due anni, concepì tale fiducia nel patrocinio
della Beata Mattia da farLe un triduo per ottenere lavoro al marito. Al terzo
giorno il brav’uomo ebbe l’occupazione e la prof.ssa Rosa Fabbri, testimone
delle due grazie, ne diede la relazione.
GUGLIELMO
MANDOLESI DA TORRE DI PALME in una dichiarazione attesta che nel 1922 fu
sorpreso da attacchi epilettici da rimanerne tramortito; per quanti rimedi
avesse usato, non era mai riuscito a liberarsene. Si rivolse alla Beata Mattia,
spargendo lungo il corpo alcuni piccoli fili intrisi d’Umore Sanguigno e
recitando preghiere alla Beata che subito l’esaudì: egli infatti si sentì
completamente libero dal mal caduco.
La
signora LEONILDE BOLDRINI, nel settembre 1939, inviò alla Badessa la
testimonianza qui riportata in breve:
«Sento il dovere di ringraziare pubblicamente la
potente taumaturga Beata Mattia. Dopo molti giorni di pene, si era deciso di
sottoporre ad intervento chirurgico la mia figliola Maria Giuditta, la quale
non ingoiava più cibo né articolava più parola per un enorme gonfiore alla
tonsilla sinistra. Ricolmo il cuore di angoscia e di fede ricorro alla
intercessione della Beata, di Cui altra volta ho sperimentato l’alta
protezione. E mi raccomando alle preghiere della Madre Abbadessa, che mi favorisce
una Reliquia. Somministro all’inferma alcuni fili del frammento di lino,
intriso dell’Umore Sanguigno, emanato dal Corpo della Beata, e attendiamo in
preghiera... Due ore dopo, la febbre scende da 39 gradi a 37; la malata può
parlare, può ingoiare, cessa completamente ogni dolore: è guarita! Inutile
descrivere la gioia e la commozione della famiglia e specialmente della
graziata, che promette di non rendersi giammai indegna del favore ricevuto e
della sua grande protettrice Beata Mattia».
Nell’estate
del 1941 CESARE GIORGI DI AVACELLI DI ARCEVIA insieme alla figlia veniva a
Matelica a prostrarsi innanzi all’Urna, che racchiude il Corpo della Beata
Mattia, pregandoLa fervidamente a liberarlo dalla gravissima malattia: sarcoma
maligno alla spalla destra. Ordinò un triduo pubblico. Intanto egli prese la
Reliquia intrisa di Umore Sanguigno e pregò fervorosamente. Da quel giorno si
sentì meglio; i dolori cessarono e il gonfiore sparì. Visitato ai raggi, fu
dichiarato guarito essendo scomparsa ogni traccia del terribile sarcoma.
Ad una
madre, nel 1972, si ammalò di meningite il suo piccolo di cinque anni, che,
peggiorando sempre più, entrò in stato comatoso. La mamma pose sul guancialino
del bimbo morente l’immaginetta della Beata e, con grande fede, pregò e fu
esaudita. Il bimbo guarì perfettamente e tornò con gioia di tutti a giocare.
La
signora MARIA GUBINELLI-MAGNATTI DI MATELICA dichiara che, trovandosi
nell’agosto del 1954 ricoverata al Policlinico di Roma con prognosi: “tumore al
cervelletto”, la notte precedente l’operazione in sogno le apparve la Beata
Mattia, che, mettendole la mano sulla fronte le disse: «sei guarita».
Svegliandosi, infatti, si sentì completamente guarita ed uscì subito
dall’ospedale.
Questi
e tanti altri prodigi sono i segni con i quali la Beata, ora che è nella Patria
Celeste, continua ad operare a vantaggio dell’inferma umanità, che con tanta
fiducia si rivolge alla Sua sicura protezione.
I
signori Amedea e Luciano Baldoni da Tolentino (Macerata), fin dai primi anni
del loro matrimonio, sono stati ferventi devoti della Beata Mattia. A Lei, con
tanta fiducia, sempre ricorrevano per ottenere aiuto nelle varie circostanze
che la vita presenta.
Nei
primi anni della loro unione matrimoniale il desiderio di avere bambini era
grande, ma la signora Amedea non riusciva a portarli a termine; decise allora
di ricorrere alla Beata Mattia. Ed ecco fiorire la prima bambina, Ombretta, poi
venne Lucilla e per conseguenza le visite alla cara Beata si fecero più
frequenti in segno di riconoscenza. Nel 1975 viene al mondo Nazareno. Poco dopo
il parto, mostrano ai genitori il neonato; qualcosa non andava: infatti il
braccino destro penzolava inerte. Si trattava di una paresi ostetrica. I medici
dissero che non ci sarebbe stato proprio nulla da fare: «Nazareno sarebbe
rimasto col braccio destro paralizzato»; Amedea Baldoni non si rassegnava e
dice: «Andai sempre più spesso a pregare al Santuario della Beata, implorando
una guarigione che i dottori avevano categoricamente escluso. Quando a Nazareno
fu tolta l’ingessatura, il piccolo mosse il braccio e gli stessi dottori
rimasero allibiti di fronte a quella guarigione, che aveva del miracoloso. Ecco
perché noi siamo tanto devoti alla Beata Mattia: senza di Lei la nostra non
sarebbe stata una famiglia così serena».
1986 – LA GUARIGIONE DI ANDREA
La testimonianza della mamma Lidia Raimondi
Ringrazio
con il cuore colmo di amore la Beata Mattia per avere, secondo la mia
convinzione, guarito mio figlio Andrea per la sua intercessione con Dio.
Il mio
Andrea si è ammalato gravemente di leucemia acuta, il 1 gennaio 1986; era
gravissimo e io e mio marito eravamo disperati.
Ricoverato
al Policlinico di Perugia, i medici ci avevano detto che non avevamo nessuna
speranza. Andrea aveva allora solo 14 anni.
Io
stavo impazzendo, quando il Signore è venuto in mio aiuto: sono andata a
comprare un giornale qualsiasi per sfogliarlo distrattamente, quando lessi di
una bambina di Napoli miracolata di leucemia da una Santa di Matelica, a me
sconosciuta anche se sono nata e
cresciuta a 18 Km di distanza, cioè a Fabriano.
Da
quel giorno mi sono aggrappata a Lei, pregando e chiedendo preghiere alle suore
tanto care del suo monastero.
Intanto
Andrea veniva curato con delle terapie fortissime che gli distruggevano anche
le cellule buone, non solo quelle malate che resistevano tanto, a detta dei
medici.
Andrea
non reagiva più ai farmaci, così il giorno di S. Pietro e Paolo le care suore
fanno per Andrea una preghiera speciale davanti l’urna della Beata; i medici il
giorno dopo dovevano ricredersi dell’esito della cura: mentre il giorno 28
secondo loro la situazione era disperata, il 30 era cambiata completamente pur
non credendo ad un miracolo.
Andrea
ha così iniziato a migliorare e, anche se ha fatto dietro consiglio medico il
trapianto del midollo per maggior sicurezza, io dico che il miracolo è avvenuto
il giorno 29 giugno per intercessione presso Dio della cara Beata che io amo
tanto e prego sempre, la invoco per tutte le mie necessità e chiedo sempre
preghiere anche alle care suore che ringrazio con tanto affetto.
1987 - LA MIRACOLOSA GUARIGIONE
DEL FARMACISTA Dr. ALFONSO D’ANNA DI NAPOLI
Il 6 marzo
1987 la sig.ra Irene Magaldi, di Napoli, veniva a sapere da una sua amica, la
sig.ra Rita Santoro, molto devota della nostra Beata Mattia, che doveva essere
rintracciato un malato grave, residente in città, e al quale si doveva portare
l’immagine della Beata, l’olio benedetto del monastero e una reliquia della
medesima Beata Mattia Nazzarei.
Cercare a Napoli un malato sconosciuto! Come fare?
Ma alla sig.ra Irene Magalli era noto il calvario
del dr. Alfonso D’Anna, malato di tumore nella regione polmonare. Il male era
evidenziato dalla presenza di una massa voluminosa al mediastino, tale da
procurare una ipoventilazione netta al lobo superiore destro del polmone. La
massa tumorale veniva rilevata dall’esame radiografico che evidenziava una
marcata compressione della medesima sull’esofago. Il prelievo bioptico
effettuato per la mediastinoscopia, eseguita presso la “Fondazione Senatore
Pascale” di Napoli per la cura dei tumori, aveva dato esito infausto. Anche la
chemioterapia intervallata da irradiazioni di cobalto non aveva sortito
effetti.
Non appena la sig.ra Irene Magaldi poté riferire
alla sig.ra Maria D’Anna, moglie del malato farmacista Alfonso D’Anna, la
richiesta della sig.ra Rita Santoro per la comunicazione avuta in sogno dalla
Beata Mattia e si poté consegnare al malato l’immagine della Beata, l’olio
benedetto e la reliquia, la salute del dr. D’Anna iniziò a migliorare subito e
misteriosamente. Da allora insieme ad un intenso profumo di gelsomino avvertito
durante gli esami diagnostici (dati di laboratorio, TAC, radiografie), si
arrestò completamente il decorso della malattia. I costanti controlli clinici
verificarono la completa guarigione del dr. D’Anna che venne restituito alla
gioia dei familiari e alla sua professione. La famiglia D’Anna e i suoi tanti
amici sono convinti che la rapida e completa guarigione di Alfonso D’Anna sia
da attribuire esclusivamente alla prodigiosa intercessione della Beata Mattia
Nazzarei le cui spoglie mortali riposano nel monastero di Matelica di cui fu
per tanti anni abbadessa.
21 marzo 1991 - LA VALIGETTA “RITROVATA”
“Ringrazio la Beata Mattia per la Sua protezione” -
Testimonianza di mons. Carlo Liberati
Era
all’indomani della visita apostolica del S. Padre Giovanni Paolo II alla nostra
diocesi di Fabriano-Matelica, precisamente il 21 marzo 1991.
Dopo
aver partecipato attivamente alla visita del S. Padre, ritornando a Roma per
riprendere in Vaticano il mio servizio alla Congregazione delle Cause dei
Santi, ebbi modo di accompagnare nella stessa sera delle persone alla Stazione
Termini.
Riprendendo
la mia macchina, parcheggiata nell’apposito spazio, mi accorsi di aver subito
un furto. I ladri mi avevano rotto i vetri di un’intera fiancata e asportato la
mia valigetta “ventiquattrore” con l’agenda di lavoro e vari documenti
riservati (allora ero Segretario del Cardinale Prefetto della Congregazione).
La
sera, nell’addormentarmi, invocai quasi irritato la Beata Mattia, così: «Mi
sono adoperato perché il Santo Padre visitasse la Tua Chiesa e il Tuo
monastero. Vedi di aiutarmi a ritrovare la mia “valigetta” perché contiene cose
preziose per il mio lavoro».
Al
mattino seguente, alle ore 6.30, una telefonata di un autista di un magistrato
mi avvertiva che aveva recuperato la mia “ventiquattrore” lungo una scarpata
del Grande Raccordo Anulare di Roma, verso la via Portuense.
Erano
appena trascorse otto ore dalla mia preghiera alla Beata Mattia. La notte era
stata enormemente piovosa. La valigetta era intatta e tutto era al suo posto
nell’interno. Non era stato asportato nulla. I ladri non erano riusciti neppure
ad aprirla. L’autista del magistrato che me la riconsegnò mi disse che una voce
interiore gli aveva ordinato: «Va’ a prenderla». Così fece. Sia benedetta per
sempre la Beata Mattia.
IL COLERA DEL 1855
Ecco la sintesi da un Libro di Memorie del Monastero
della Beata Mattia.
Nell’anno
1855 anche la nostra Città di Matelica fu colpita dal terribile flagello del
colera. Essendosi nel luglio dello stesso anno manifestatosi il micidiale morbo,
don Ugo Franceschini, monaco Silvestrino e parroco di S. Antonio Abate (Santa
Teresa), insieme al canonico don Vincenzo dei Conti Tesei, chiese alla Madre
Abbadessa, suor Francesca Saveria Possenti, un triduo di preghiere, per
implorare speciale soccorso dalla nostra Beata Mattia. La chiesa della Beata si
affollò di popolo: con vivissimi sentimenti di fede furono accompagnate le
preghiere e, quando fu scoperto il Corpo, si sentì emanare da esso e
diffondersi un soavissimo odore. Il terzo giorno, di domenica, fra il suono a
festa delle campane di tutte le chiese e del Comune, nel Suo altare, senza
interruzione, si celebrarono sante Messe.
Frattanto
P. Franceschini, avendo invitati ad una Comunione generale i suoi parrocchiani,
ne ascoltava la confessione, li comunicava e infervorava con commoventi
discorsi e, in numero di quattrocento (tra i quali in maggior parte capi di
famiglia), li accompagnava alla chiesa della Beata.
Nelle
ore pomeridiane le Confraternite di S. Giovanni Decollato, di S. Croce, di S.
Angelo e del SS.mo Rosario si portarono a visitare le Sacre Spoglie della Beata
e lasciarono nel suo altare offerte in cera.
I
Padri Silvestrini, Agostiniani, Osservanti e Cappuccini vi si recarono con il
Capitolo, il clero e la numerosissima Confraternita del SS.mo Sacramento.
Il
parroco Franceschini leggeva su pergamena solenne promessa che, ottenuta la
grazia implorata, se ne sarebbe fatto ringraziamento solenne. Anche le
religiose Benedettine mandarono ad attestare la loro devozione.
Nella
seguente domenica la Confraternita della SS.ma Trinità, la Confraternita del
Carmine, le Confraternite delle Ville Colferraio, Piane e Rastia e Cerreto,
vennero anch’esse a raccomandarsi alla sua efficacissima protezione.
I
buoni matelicesi per lungo tempo, sia la mattina che la sera, rimanendo esposte
le Sacre Spoglie fino a tarda notte, non mancavano di frequentare la chiesa
della loro Beata.
Le
molte e fervorose preghiere furono coronate di successo e se ne volle perpetua
memoria in un quadro, eseguito dal professore Crescentino Grifoni, di
Urbino, che raffigura la Beata Mattia
matelicese implorante i celesti favori sulla Sua Patria diletta.
Il
popolo di Matelica, insieme con i parroci, decise di festeggiare
devozionalmente la nascita ed il battesimo della Beata, a seguito del pubblico
“voto” espresso durante il colera del 1855.
Chi si
appresti a visitare la Beata Mattia, subito avverte che il Suo corpo appare
ricoperto di una doccia di plastica; l’urna di cristallo in cornice d’argento è
sorretta da quattro colonnine d’oro a spirale, che poggiano su piedini pure in
oro cesellati a mano.
Quando
il 22 novembre 1972, alla presenza di tutto il Tribunale Ecclesiastico,
canonicamente costituito da S. E. mons. Vescovo Macario Tinti, l’esperto P.
Ricciardi esaminò i resti mortali della Beata e rilevò l’urgenza di un
trattamento speciale, si pervenne alla decisione di fare tutto il necessario.
Dal 10
marzo al 1 giugno 1973 il P. Antonio Ricciardi ha atteso al lavoro di
ricomposizione dei resti mortali della Beata, coadiuvato dalla ditta Franco
Scarmigliati di Roma.
Il P.
Ricciardi dichiara: «È stato un lavoro molto delicato perché abbiamo dovuto
adattare la plastica (che protegge oggi dall’aria le Spoglie della Beata
Mattia) alla forma presa dalle braccia come le abbiamo trovate».
Una
pergamena, messa in un tubo di plastica assieme ad un’altra con i nominativi di
centoquarantuno offerenti, che hanno concorso con le loro offerte alla
realizzazione dell’opera, è collocata sotto il braccio sinistro della Beata.
Nel
testo della pergamena tra l’altro si legge: «Il giorno 28 giugno MCMLXXIII il
Corpo ricomposto della Beata fu deposto in questa urna nuova, opera della ditta
Delio Franceschetti di Macerata. Giace il Corpo sopra un materassino ricamato
in oro dalle Monache del Monastero; il viso racchiuso in teca, modellata su
antica maschera della Beata, poggia sul cuscino leggermente rivolto verso i
fedeli; le braccia sono distese sul materassino; tutto il corpo è rivestito
dell’abito religioso, cinto dal cingolo francescano; sul petto un antico
crocifisso in argento».
Il 2
luglio 1973 fu definitivamente collocata al Suo posto: alla base dell’altare
Maggiore, da dove ogni giorno la Beata accoglie le preghiere dei Suoi devoti
per presentarle al Padre Celeste.
PREGHIERE
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo
1 – La
Tua vita, Beata Mattia, per l’esercizio costante delle eroiche virtù, fu un’immagine
di quella dello Sposo Celeste, Cui Ti consacrasti fin dai teneri anni
nell’Ordine di S. Francesco d’Assisi. O nostra amorosa protettrice, ottienici
di vivere secondo lo spirito delle virtù cristiane affinché, imitandoTi sulla
terra, meritiamo di godere con Te nel cielo.
Padre,
Ave, Gloria
2 – La
Tua morte, o Beata Mattia, fu accesa dall’Amore Divino, che in Te ardeva e che,
consumando la Tua vita mortale in perfetto olocausto di carità, Ti donò la vita
beata in seno a Dio. O nostra amorosa protettrice, impetraci da Dio una
scintilla di questo sacro fuoco affinché noi pure, con l’amore di Dio e del
prossimo, abbiamo la grazia di morire della morte dei giusti.
Padre,
Ave, Gloria
3 – La
Tua Spoglia mortale, o gloriosa Beata Mattia, glorificata da Dio subito dopo la
Tua preziosa morte con luminosi prodigi, tramanda una fragranza di Paradiso e
questo prodigioso Umore Sanguigno soccorre l’inferma umanità. O nostra amorosa
protettrice, fa’ che noi pure sperimentiamo i graziosi effetti della Tua intercessione
impetrandoci da Dio quelle grazie, che domandiamo, se sono conformi, alla Sua
divina volontà.
Padre,
Ave, Gloria
Antifona:
Vieni, Sposa di Cristo, ricevi la corona che Dio Ti ha preparato per
l’eternità.
V) Prega per noi Beata Mattia.
R) Perché siamo fatti degni delle promesse di
Cristo.
PREGHIAMO
Signore
Gesù Cristo, che con ricchi doni attirasti a Te la Tua vergine Beata Mattia per
servirTi in purezza e semplicità di vita, Ti preghiamo di concederci per la Sua
intercessione di ugualmente servirTi per conseguire l’eterna corona di gloria.
Tu che vivi e regni nei secoli. Amen
PREGHIERA DI RINGRAZIAMENTO
Prostrati
innanzi al Tuo sacro Sepolcro, testimone eloquente dei Tuoi continui favori, o nostra
cara Protettrice Beata Mattia, Sposa diletta del Crocifisso e fulgido splendore
dell’Ordine francescano, noi Ti onoriamo col più profondo rispetto e, vivamente
compresi delle innumerevoli misericordie concesse da Dio per la Tua
intercessione, Ti ringraziamo in modo particolare della grazia speciale
ottenuta dalla Tua amorevole protezione, per cui Ti presentiamo in questo
giorno l’omaggio della nostra riconoscenza e del nostro affetto. O nostra
pietosa Protettrice, che tutte le genti sperimentino gli effetti della Tua
protezione. Amen
3
Gloria
PREGHIERA DOPO LA COMUNIONE
O Dio che ci hai saziato con il pane della vita,
fa’ che sull’esempio della Beata Mattia vergine
portiamo nel nostro corpo mortale
la passione di Cristo Gesù
per aderire a Te, unico e sommo bene.
Per Cristo nostro Signore.
INNO DELLE VERGINI
1. Celebriamo
con gioia la festa
della
vergine santa Mattia:
ha
seguito fedele il Signore
con
letizia ed integro cuore.
2. Sei il
re delle Vergini, o Cristo,
sei il
giglio più candido e puro:
custodiscici
casti e ferventi
e
allontana le insidie del male.
3. O Gesù,
che ti pasci tra i gigli,
presta
ascolto alle nostre preghiere:
dona a
noi la Tua grazia e il perdono
per le
colpe che abbiamo commesso.
4. Ti lodiamo
con fede, o Signore,
Tu che
insegni agli erranti la via;
con
paterna indulgenza soccorri
noi
che a Te ricorriamo fidenti.
5. A Te,
Cristo, salvezza del mondo,
che
sei nato da Vergine Madre,
con il
Padre e lo Spirito Santo
sia
gloria nei secoli eterni.
TU DELLA TERRA NOSTRA
1. Tu
della terra nostra,
lucente
stella,
consoli
tutti e illumini,
Mattia,
col tuo splendore
Rit.
Beata Mattia,
fa’
che tra noi
nel
mondo intero
pace
regni e amore
Conduci
i tuoi fratelli,
Sposa del
Signore,
per i
sentieri che portano
doni
di gioia e grazia
Rit.
Beata Mattia ...
2. Tu del
giardin di Chiara,
umile
viola,
pura
al tuo Sposo mistico
offristi
lieta il profumo.
Rit.
Beata Mattia ...
Tu
appari ancora a noi
Stupenda
rosa
Per
quell’umor che t’imporpora
Come
un mantello regale.
Rit.
Beata Mattia ...
3. Dal dì
che verso il cielo
Cinta
di luce
Salisti
in seno agli angeli
Non ci
hai negato aiuto
Rit.
Beata Mattia ...
Il
gemito dei bimbi
T’inteneriva;
Come
una madre il suo piccolo
Tu li
proteggi amorosa.
Rit.
Beata Mattia ...
Preghiera
alla Beata Mattia Nazzarei
Madre Mattia,
Tu che
fosti spiritualmente mamma delle tue monache e di tutti quei fratelli che in Te
hanno sempre trovato pace per riposare dalle tempeste della vita, assisti il
mio cuore stanco, la mia anima affannata nel vivere di ogni giorno.
Chiedi
al Padre, per mezzo di Gesù, al quale donasti la tua casta vita di sposa
consacrata, che plachi le tempeste e mi conceda la pace dello spirito, la
salute del corpo e la speranza che, con la carità e la fede, sono i tesori
indispensabili per una vita semplice.
Francesco, Chiara, Mattia, assistete i miei giorni e
accompagnatemi tra le braccia di Dio.
Amen.
Padre, Ave, Gloria
Preghiera alla Beata Mattia
Beata Mattia, consapevoli della grande potenza di
mediazione che godi presso l’Altissimo, ti invochiamo perché Egli arricchisca
la nostra vita interiore di una fede operosa;
ci apra ai grandi orizzonti della speranza
cristiana;
ci doni la conformità ai Suoi divini voleri,
specialmente negli accadimenti dolorosi nostri e dei nostri fratelli; ci
infondi lo spirito di orazione;
ci aiuti sempre a distinguere il vero dal falso e il
bene dal male;
ci conduca all’unione con Lui;
ci apra gli occhi e il cuore alle necessità dei
fratelli;
ci aiuti a distaccarci dal mondo, dalla carne e
dall’io;
ci mantenga nella Sua grazia e nella Sua pace;
ci dia la grazia della perseveranza e ci doni il suo
paradiso.
Amen
Comunità Clarisse della Beata Mattia - 62024 MATELICA (MC)
Tel. 0737.84463
a cura di GIORGIO NICOLINI
Posta Elettronica: giorgio.nicolini@libero.it
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