L’UOMO – IL MAESTRO – IL SANTO
di BRUNERO GHERARDINI
Capitolo
I
PROFILO
BIOGRAFICO
Nella storia,
ogni tanto, fanno la loro comparsa straordinarie persone: straordinarie perché dotate
di qualità non comuni e perché evidentemente chiamate a compiti altrettanto non
comuni. Persone carismatiche, con doni proporzionati alla missione loro
assegnata. Persone, quindi, della divina Provvidenza.
Chi potrebbe
mai dubitare che il Pontefice felicemente regnante, Karol Wojtyla, sia una di
tali persone? La sua statura morale, la ricchezza carismatica che lo distingue
e la coerenza con la quale ad essa corrisponde non lasciano dubbi sul compito
divinamente affidatogli, non solo di "pascere la Chiesa di Dio" (At
20,28), ma di traghettarne la barca tra i marosi del tempo, il più felicemente
possibile, dall’uno all’altro millennio.
Si è stati
testimoni di questo passaggio: la figura del vecchio e malandato Pilota ha
giganteggiato dinanzi al mondo intero e si è consegnata alla storia come
protagonista assoluto del passaggio stesso.
E’ una figura
che, per analogie storiche ma non personali, ne evoca un’altra, anch’essa
protagonista al di sopra di altri: quella di Pio IX. Vistosamente diverso da
Giovanni Paolo II per temperamento e per altre qualità naturali, non meno di
lui ricco di grazia e di destino, proprio da lui, dal vecchio e malandato papa
polacco, ha ricevuto l’aureola della santità ufficiale
Anche Pio IX
ebbe dalla divina Provvidenza un compito immane da svolgere e doni
proporzionati a quel compito: in tempi anche più procellosi dei nostri,
resistendo alla furia delle onde in rivolta e vincendola, traghettò egli pure
il naviglio di Pietro da un’epoca ad un’altra.
Il confronto
tra i due Pontefici mette in evidenza difficoltà di pilotaggio
incomparabilmente maggiori nel caso di Pio IX rispetto a quello di Giovanni
Paolo II: questi è passato da un millennio all’altro, certo non senza avvertire
l’urto di forze avverse (comunismo, secolarismo e la strisciante "inimica
vis" che mai demorde); l’altro, sotto i colpi del liberalismo massonico ed
anticlericale, portò la Chiesa da un mondo ad un altro salvando tutto il
patrimonio della tradizione cattolica, rifiutando nettamente ogni attentato ad
essa, ma con essa componendo, nei limiti del possibile, i valori del moderno e
del nuovo. Non è né un caso, né un’esagerazione il fatto che l’ultima biografia
del grande Pontefice porti come titolo: “Pio IX; Papa moderno”.
Fu, il suo, un
pontificato epocale. Una mentalità, una cultura stava consumando i suoi guizzi
residui; egli non le permise di travolgere il patrimonio affidato alla sua
tutela. Nasceva e s’imponeva una diversa visione delle cose e dinanzi ad essa
tremò, ma senza mai capitolare. Alla visione incentrata in Dio e nella sua
rivelazione tentava di sostituirsi quella incentrata nell’uomo, nella sua
ragione, nella sua libertà e nei suoi diritti. Martire della prima, fu il primo
papa che seppe saggiamente aprirsi alla seconda. Gli altri hanno continuato la
sua strada.
Le condizioni
socio-politiche d’allora misero spesso le due mentalità in irriducibile
contrasto, quasi che l’una volesse sostituirsi all’altra non solo come diversa
nella sua genesi e nel suo orientamento, ma come alternativa, ed alternativa
diametralmente opposta. Per divina disposizione, a Pio IX toccò in sorte di
fronteggiare questa enorme contrapposizione, ma anche d'assumerne alcuni
elementi di sicuro valore (per es.: sul piano delle istituzioni sociali) e
d’impedire che la scomposta affermazione di altri elementi ridondasse a danno
di quel patrimonio, per la cui salvaguardia era al timone della Chiesa.
Di questo
Pontefice, che chiamare “grande” è poco, non ripercorrerò la lunga vicenda né
mi soffermerò su di essa con intenti biografici. L’interesse biografico è già
stato ampiamente soddisfatto ed "ogni lingua" (Rm.14,11; Ef.2,11)
ha tessuto le lodi di papa Mastai Ferretti. Intere biblioteche, infatti, o
parti di esse, sono intitolate al suo nome.
Qui l’interesse
è volto, in perfetta continuità con l’evento della sua beatificazione, al
perché di esso, cioè alla santità di cui l’evento stesso testimonia non senza
provocarne l’approfondimento e l’analisi. S’intende, in altri termini,
rispondere, sia pur brevemente, alla domanda che ognuno potrebbe porsi: perché
beato? che senso ha per la Chiesa e per il mondo questa beatificazione?
Ovviamente si
dovrà procedere con ordine in mezzo alle non poche difficoltà di lettura del
passato e interpretazione di esso.
1 - Dalla
nascita al sacerdozio
Benché il
presente scritto prescinda dal genere biografico, la vita di papa Mastai ed i
fatti salienti che lo videro in prima fila non possono essere ignorati del
tutto.
Egli dunque
nacque a Senigallia il 13 maggio 1792, nono figlio di Girolamo Benedetto Gaspare
dei conti Mastai Ferretti e di Antonia Caterina Maddalena Solazzi, del
patriarcato locale. Dei figli maschi era il quarto, dopo Gabriele, Gaetano e
Giuseppe. Fu battezzato il giorno stesso della nascita col nome di Giovanni
Maria Battista Pellegrino Isidoro da uno zio, il canonico Angelo Mastai, poi
vescovo di Pesaro.
Era di delicata
costituzione fisica, ma d’intelligenza sveglia e d’indole ottima. Appena poté,
andò a messa ogni giorno con la pia mamma. Rivelò presto la sua devozione
eucaristica e mariana. Fu dedito alla pratica dei "fioretti". Era
stato cresimato il 6 giugno 1799 dall’Em.mo B. Honorati, vescovo di Senigallia,
ed ammesso alla prima comunione nella cappella della Madonna della Speranza in
cattedrale il 2 febbraio 1803.
I1 20 ottobre
di quel medesimo anno entrò nel Collegio dei Nobili, tenuto in Volterra dai
Padri delle Scuole Pie. Vi rimase fino al 26 settembre 1809, dando prova
d’ingegno vivace e d’esemplare comportamento.
Lo zio Paolino
Mastai, canonico vaticano, l’accolse presso di sé, quando, nel 1809, Giovanni
Maria lasciò Volterra e venne a Roma per gli studi superiori presso il Collegio
Romano. Il giovane conte, a quell’epoca, non aveva dato ancora la sterzata decisiva
alla sua vita in direzione del sacerdozio. Era ancora "in stato
secolare", come egli stesso s’esprime, quel 10 aprile 1810, quando, a
conclusione d’un ritiro spirituale, gettò le basi di tutta la sua futura
esistenza: lotta al peccato, fuga da ogni occasione moralmente
pericolosa, studio "non per l’ambizione del sapere" ma per il bene
altrui, abbandono di sé nelle mani di Dio. E non mancò di rivolgere
a se stesso un’esortazione finale, per impegnarsi con tutte le sue forze
all’osservanza dei suoi buoni propositi: "Eseguisci il sistema divino
che hai disegnato".
Quel programma
(o "sistema divino") era sintomatico della limpidezza interiore del
giovane studente, già soprannaturalmente orientato; purtroppo non erano floride
le sue condizioni di salute. Soffriva d’improvvisi attacchi che qualcuno
considerò epilettici, anche se non si hanno prove sicure al riguardo. La cosa
certa è che fu per questo costretto ad interrompere gli studi. Nel 1812, la
malattia gli ottenne 1’esonero dalla chiamata di leva nelle Guardie d’onore
del Regno. Chiese, invece, ed ottenne nel 1815 di far parte della Guardia
Nobile Pontificia; ma a causa del suo male, ne fu presto dimesso.
Paradossalmente, proprio in quello scorcio di tempo, San Vincenzo Pallotti gli
vaticinò il supremo pontificato e la Vergine di Loreto lo liberò, sia pure in
modo graduale, dal male che l’affliggeva.
Sempre nel 1815
fu tra i volontari che prestavano la loro opera educativo-didattica ai ragazzi
del Tata Giovanni, un istituto dove prenderà poi dimora e che gli
resterà caro per tutta la vita. Nel 1816 ebbe una parentesi senigalliese come
catechista in una memorabile missione popolare. Poco dopo, nella Chiesa
dell’Orazione e Morte, dove aveva appena finito di servire una Messa, si decise
per il sacerdozio, ponendo fine ad un quinquennio d’ondeggiamenti. Vestì
l’abito talare, riprese gli studi, ebbe gli ordini minori il 5 gennaio 1817, il
suddiaconato il 20 dicembre 1818 ed il diaconato il 6 marzo 1819. Un mese dopo,
il 10 aprile, per grazia personale di Pio VII, venne ordinato prete. Ed egli,
con chiara consapevolezza del suo nuovo stato, s’impegnò formalmente con se
stesso ad evitare la carriera prelatizia per rimanere sempre e soltanto al servizio
della Santa Chiesa. Vi rimase di fatto, anche nella carriera e nonostante gli
inarrestabili scatti di essa.
2 – Prete e Vescovo
Celebrò la sua
Prima Messa ai suoi cari ragazzi del Tata Giovanni, nella Chiesa di Sant’Anna.
Nominato rettore di quell’istituto, vi si fermò fin al 1823.
Fu subito
evidente con quale spirito fosse andato incontro al sacerdozio. Assiduo alla
preghiera, al ministero della parola, alle sacre funzioni, al confessionale, il
prete Mastai era ormai l’uomo per gli altri, specie per i più umili e
bisognosi. Univa il raccoglimento alla disponibilità più generosa, l’unione con
Dio all’attività del ministero vissuto sulla breccia, la vita contemplativa
alla predicazione ed a qualunque altro servizio gli richiedessero le attese e
le necessità delle anime. Foglietti provvidenzialmente sfuggiti alla
distruzione costituiscono la più probante testimonianza della sua vita
interiore di giovane prete, dei suoi spietati esami di coscienza, del suo
rifugiarsi nel Cuore Sacratissimo di Gesù ed in Maria.
Nel 1823 parve
prender concretezza il suo sogno segreto: farsi missionario. I1 3 luglio lasciò
Tata Giovanni per accompagnare in Cile il Nunzio Apostolico S. E. Mons.
Giovanni Muzi e vi restò fin al 1825. Per tale missione, il Segretario di
"Propaganda Fide" l’aveva così presentato: "E’ difficile
ritrovare persone che riuniscano tutti i requisiti che s’incontrano in questo
rispettabilissimo sacerdote. Pietà singolare e soda, dolcezza di carattere,
prudenza ed avvedutezza non ordinarie, zelo grandissimo accompagnato dalla
scienza che in lui bene si trova in abbondanza,...desiderio di servire Dio e di
essere utile al prossimo per le missioni presso gli infedeli".
La madre ne fu
profondamente addolorata, soprattutto per l’incognita della salute. Ma né la
costernazione materna, né altre contrarietà fermarono l’ardente “missionario”.
La missione si
rivelò più difficile del previsto e richiese soprattutto saggezza, prudenza e
spirito di Fede. Erano le doti precipue del giovane Mastai, le uniche armi che
egli impugnò per il bene della società cilena e l’onore di Dio. Non era un
diplomatico; non lo sarà mai in tutta la vita. Era un prete. E come tale si
comportò anche in un contesto diplomatico come quello della missione cilena.
Sarebbe rimasto
molto volentieri in quella terra ormai da lui amata. Ma Roma lo reclamò per
altri e non meno delicati servizi. Obbedì serenamente.
Nel 1825 fu
eletto preside dell’Ospizio Apostolico di San Michele: un’opera complessa e
grandiosa, ma per non pochi motivi non più all’altezza dei suoi compiti e
bisognosa perciò di seria riforma. E’ quel che fece il Mastai con oculatezza
pari all’intraprendenza. Gli esiti furono lusinghieri.
Ma il campo nel
quale egli prodigava i tesori di natura e di grazia di cui era
straordinariamente dotato, restò sempre quello pastorale. Fu un vero apostolo.
Aveva appena 35
anni, quando Leone XII, il 3 giugno 1827, lo destinò all’arcidiocesi spoletina.
Il novello Pastore vi fece solenne ingresso il 7 luglio. L’obbedienza al
successore di Pietro ne vinse la non formale resistenza: non si sentiva
meritevole di tanto e soprattutto era convinto d’essere impari a quanto la
responsabilità episcopale gli avrebbe richiesto. Ma il Papa fu fermo nel suo
disegno e fece di lui, in quell’occasione, il seguente elogio: "Uomo
commendevole per gravità, prudenza, dottrina, rettitudine di costumi,
esperienza delle cose". L’elogio rivelava la grande fiducia del
Pontefice nel suo collaboratore, il quale lo ripagò da par suo: a Spoleto fu un
prodigio di zelo pastorale, che vinse diffidenze ed ostilità di prevenuti,
questi a sé conciliando ed assimilando a quanti lo stimavano, amavano e
seguivano.
Il suo zelo,
peraltro, fu fecondato anche da non poche sofferenze. La rivoluzione nel
febbraio del 1831, imperversò in tutta 1’Umbria, dopo aver preso le mosse dai
ducati di Parma e di Modena, lasciando il segno del suo passaggio a Bologna e
perfino a Roma. A Spoleto trovò la strada spianata da frodi e tradimenti, che
resero ancor più pesante la difficile situazione sul cuore dell’Arcivescovo.
Questi seguì la vicenda, rivivendone intimamente il dramma. Con dolore
acconsentì alla difesa, ma non allo spargimento di sangue fraterno. E quando la
calma fu ristabilita, elargì a tutti, anche a chi non lo meritava, il suo
paterno perdono.
Dopo Spoleto
l’attendeva un’altra non facile diocesi. Il vecchio card. Giacomo Giustiniani
non aveva potuto far altro che dimettersi dalla guida della diocesi di Imola. E
Gregorio XVI nulla di meglio intravide che trasferire ad essa lo zelante ed
affermato vescovo di Spoleto: era il 22 dicembre 1832.
Il compito,
difficile oltre ogni ragionevole sospetto, non sgomentò il Mastai, il quale,
della sua nuova diocesi, fece il teatro della sua fede invitta, della sua
carità senza limiti, del suo instancabile zelo. Ad Imola, infatti, si confermò
uomo di profonda preghiera, predicatore facondo e suasivo, col cuore aperto a
tutti, di ogni ordine e ceto; ricercatore indefesso del bene soprannaturale, ma
anche materiale, dei suoi diocesani; difensore strenuo della giustizia contro
ogni intemperanza e sopruso; promotore d’opportune forme d’educazione
giovanile; spiritualmente e materialmente vicino ai monasteri di vita
contemplativa, alla cui importanza ed alle cui esigenze sarà anche in seguito
sensibilissimo; infiammato per la devozione al Sacro Cuore di Gesù e alla
Madonna; tutto premure, se pur fermo sui principi, per i suoi preti ed il suo
seminario.
Aveva appena 48
anni, quando, il 10 dicembre 1840, gli fu conferito 1’onore della sacra porpora.
3 - Papa
Pur rifuggendo dagli onori per
indole e per decisione, si trovò presto sotto il loro peso, tanto più grave
quanto più alto fosse l’onore stesso.
Il 1° giugno
1846 morì Gregorio XVI; due settimane dopo, il 14, cinquantadue cardinali si riunirono
in conclave per eleggerne il successore. Sulla sera del 16, il card. Giovanni
Maria Mastai Ferretti era già Papa con il nome di Pio IX. Rimarrà sul soglio di
Pietro per 32 anni, dando vita al più lungo pontificato della storia.
Non è stato, e
non è facile, per l’incrocio di circostanze varie e segnatamente per la
presenza di passioni politiche, darne un giudizio univoco. Qualcuno definì Pio
IX una "figura complessa"; c’è perfino chi lo giudica mediocre e non
adatto all’altissimo compito: gli uni e gli altri dando prova di non poca
superficialità e di scarsa informazione. Come ieri, così anche oggi la passione
e l’emotività sono spesso una griglia deformante nei riguardi della sua figura
e del suo operato. Il pontificato di Pio IX fu indubbiamente difficile, tra i
più difficili in tutto l’arco della storia ecclesiastica; il santo Pontefice lo
visse tutto raccolto nella sua autocoscienza di Vicario di Cristo, che
non gli consenti mai né transazioni né compromessi, pagando di persona la sua
coerenza.
Sta qui, in
gran parte, la spiegazione delle difficoltà da lui incontrate e delle obiezioni
che gli vennero mosse. Al di sopra delle une e delle altre, giganteggia il suo
animo di prete, di pastore e di padre.
I1 16 luglio
1846, dimostrando per 1’ennesima volta il sentire cristiano che l’animava,
promulgò l’amnistia per tutti i detenuti politici.
Di qualche mese dopo è la sua prima enciclica: la Qui pluribus, del 9 novembre,
un documento impressionante per la sua chiarezza, il suo realismo, la sua ampia
visione degli incombenti pericoli e dei necessari rimedi. "In nuce"
c’era già tutto Pio IX, almeno sul piano magisteriale. I punti essenziali del
Vaticano I vi erano anticipati; gli errori di fondo erano nettamente percepiti
e condannati; la delimitazione tra verità ed errore in materia di fede e della
sua traduzione morale era decisamente segnata ed altrettanto quella tra Chiesa
e società segrete.
Che non si
trattasse di miopia culturale e di spirito reazionario è comprovato dal fatto
che, poco dopo, il 13 marzo 1847, concesse per decreto
ampia e sorprendente liberta di stampa.
Il 5 ottobre fu
la volta della Guardia civica, nel quadro di altre aperture liberali.
Pio IX si rivelava in tal modo un sovrano saggio ed aperto, capace d’indiscussa
fedeltà alla tradizione, ma non per questo meschinamente ottuso dinanzi alla
cultura emergente. Il suo acuto discernimento, pur intuendone i pericoli, ne
colse anche i pregi. Ed a tale discernimento restano legati i suoi primi atti
di governo, i più difficili proprio perché i primi: l’istituzione del
Municipio, del Consiglio comunale e della Consulta di Stato, rappresentativa di
tutte le province, ed infine dello Statuto. Ben nota e fin da allora non ben
capita fu l’allocuzione del 10 febbraio 1848, che conteneva
l’implorazione: "Benedite, Gran Dio, l’Italia e conservatele sempre questo
dono di tutti preziosissimo, la Fede".
Un’altra
allocuzione, di portata storica, fu quella del 29 aprile. Confermando in essa
il suo "paterno amore" per tutti i popoli e non per quello italiano
soltanto, Pio IX si alienò l’animo dei più accaniti liberali. A poco valse la
sua convinta difesa dell’indipendenza italiana in un dispaccio all’imperatore
d’Austria; per non pochi, più facinorosi e prevenuti che patrioti, egli fu
semplicemente un traditore. Ed anche in seguito perfino nei libri di scuola,
non gli hanno perdonato un tradimento che non c’era mai stato.
Il 15 novembre
fu ucciso il capo del governo, Pellegrino Rossi; nove giorni dopo lo stesso Pio
IX si vide costretto a lasciare la sua Roma, rifugiandosi a Gaeta.
Le cose in
effetti si facevano ogni giorno più difficili. Il 9 febbraio 1949 venne
proclamata la Repubblica Romana. L’augusto Esule prima si trasferì a Portici (4
settembre), quindi rientrò nell’Urbe e si stabili in Vaticano (12 aprile 1850),
dando da allora in poi un’ancor più definita impronta pastorale al suo
pontificato. Tutte le genti e tutti i non prevenuti sentivano d’aver in Lui un
vero padre, così come, per i suoi sudditi, fu un sovrano amabilissimo.
Subito riordinò
il Consiglio di Stato (12 settembre 1850), istituì la Consulta per le Finanze,
elargì una nuova e più ampia amnistia. Il giorno 20 ristabilì la regolare
gerarchia cattolica in Inghilterra; altrettanto fece, tre anni dopo, per
l’Olanda.
L’11 marzo l853
condannò le dottrine gallicane ed il 28 giugno fondò il Seminario Pio. Anche le
Catacombe, nel maggio del 1854, furono oggetto della sua generosa
sollecitudine; nello stesso tempo istituì la Commissione d’Archeologia
Cristiana e ne nominò il presidente nella persona del grande Giovanni Battista
de’ Rossi. E’ poi doveroso aggiungere che il 1854 sarebbe rimasto scolpito a
caratteri d’oro nella storia personale di Pio IX ed in quella della Chiesa
cattolica per la solenne proclamazione dogmatica dell’Immacolato Concepimento
di Maria (8 dicembre); in questo dogma, oltre che in quello sull’infallibilità
papale (18 luglio 1870), il magistero di papa Mastai raggiunse il suo vertice.
E non basta, il 1854 è degno di nota anche per la ricostruita Basilica di San
Paolo, distrutta dall’incendio del 15 luglio 1823.
Le iniziative
magisteriali, contestualmente a quelle sociali e politiche, si succedevano con
ritmo incalzante, confermando insieme la prudenza e l’apertura del grande Pio.
I1 3 aprile 1856 egli approvò il piano della strada ferrata
nello Stato pontificio la cui prima attuazione (tratta Roma-Civitavecchia)
venne inaugurata il 24 aprile 1859. Il Papa visitò i suoi territori dal 4
maggio al 5 settembre 1857, ovunque accolto da popolazioni in tripudio. Tra il
1855 ed il 1866 inviò missionari tra gli Esquimesi ed i Lapponi del Polo Nord,
in India, in Birmania, in Cina ed in Giappone. Intensificò le relazioni
diplomatiche in Europa e nel mondo. Continuò la sua carità, ora alla luce del
sole, ora nascosta, quotidiana, minuta ma significativa. Giorno dopo giorno,
era al suo posto, con il cuore e con le mani aperte per chiunque, persone ed
opere, avesse avuto bisogno di Lui.
L’orizzonte
però s’ottenebrava. I moti risorgimentali, le annessioni piemontesi che
smantellavano lo Stato Pontificio, l’usurpazione delle Legazioni con
discutibili plebisciti e vessazioni anche più sottili perché giuridicamente
camuffate da alta e responsabile considerazione per la Chiesa e per la Sede
Apostolica, obbligarono Pio IX a porsi sulla difensiva a tutela della libertà e
dei diritti inalienabili dell’una e dell’altra. Mantenne sempre, peraltro, il
suo sguardo attento al bene delle anime come "suprema legge" del suo
e d’ogni altro ministero ecclesiastico. Nel 1862 eresse un dicastero speciale
per gli affari con i cristiani di rito orientale e 1’8 dicembre 1864 emanò una
delle sue più famose encicliche, la Quanta cura seguita dal non meno
famoso Syllabus,
per condannare l'insieme degli errori moderni.
Le sempre
crescenti difficoltà politiche avevano l’effetto d’impegnarlo ancora di più, se
possibile, nella cura pastorale. I1 29 giugno 1867 celebrò con straordinaria
solennità il XVIII centenario del martirio di Pietro e Paolo. I1 2 maggio 1868
approvò la "Società della Gioventù Cattolica Italiana", fondata il 29
giugno 1867 da M. Fani e G. Acquaderni. L'11 aprile 1869, ricorrendo il suo
giubileo sacerdotale, ebbe dal mondo intero uno straordinario omaggio di
gratitudine e d’attaccamento alla sua venerata persona.
C’è, tra i suoi
fasti, un avvenimento d’eccezione: il Concilio Ecumenico Vaticano I,
che Egli aprì il 7 dicembre 1869 e chiuse il 18 luglio 1870.
Con la caduta
di Roma (20 settembre 1870) e la perdita dello Stato, amareggiato ma non domo
Pio IX si chiuse in volontaria prigionia in Vaticano. Resistette alla Legge
per le Guarentigie, celebrò il giubileo del suo pontificato (23 agosto
1871), approvò 1’"Opera dei Congressi" (1874), consacrò la Chiesa al
Sacro Cuore di Gesù (16 giugno 1875), disciplinò la partecipazione dei
cattolici italiani alla vita politica (29 gennaio 1877), restaurò la regolare
gerarchia in Scozia (29 gennaio 1878).
Già minato
nella sua salute, tenne il suo ultimo discorso ai parroci dell’Urbe il 2
febbraio 1878. Pochi giorni dopo, esattamente il 7, a 85 anni, spirò piamente.
Capitolo
II
L’UOMO
Dire dunque di
Lui che fu eccezionale, è dire una verità sulla quale soltanto il settarismo e la
prevenzione osano d’eccepire. Occorre però precisare meglio sia la portata
della sua eccezionalità, sia i livelli specifici sui quali essa s’impone alla
serena ed obiettiva considerazione.
1 - L
"imperterrita serenità"
Parlando di
documentazione, non bisogna ignorare quella iconografica, là ovviamente dove
esista. E nel nostro caso esiste; addirittura in abbondanza. Di Pio IX si
conserva anzi il dagherrotipo della prima fotografia d’un Papa.
L’impressione
che se ne ricava è quella d’una persona di bell’aspetto anche in età avanzata,
dai tratti regolari, lo sguardo sereno, il volto non privo di forza
accattivante ed il portamento in pari tempo aristocratico e semplice.
Dall’insieme si sprigiona una nota di maestosità, che tuttavia non incute
timore. La documentazione iconografica conferma così quella scritta e
testimoniale.
Pio IX aveva in
effetti un’innata dolcezza ed una singolare delicatezza d’animo, che si
notavano in ogni suo gesto e movimento. Armonizzava insieme dolcezza e
delicatezza, qualora ciò fosse stato necessario, con una virile energia ed una
forza irriducibile.
Bella era la
sua voce e robusta. Cantasse o parlasse, affascinava la gente. Un testimone lo
ricorda proprio per questo, senza esclusione, beninteso, d’altri motivi: "Non
ho mai udito un oratore che avesse così calda e squillante la voce, così
sovrani il gesto e lo sguardo". Il fascino della sua voce e di tutta
la sua persona non colpiva soltanto i suoi amici ed estimatori, suscitandone o
confermandone l’entusiasmo; ma incideva anche sul sospettoso e talvolta astioso
atteggiamento dei suoi dichiarati avversari.
L’indole sua,
il temperamento, il carattere depongono a favore di quella "imperterrita
serenità" che Giuseppe Toniolo, del quale pure è oggi in corso la causa di
beatificazione, rilevò nel papa marchigiano poco prima del suo pio decesso. In
queste due parole, il cui accostamento dà ragione dell’animo forte e soave poco
sopra affermato, sta forse la più obiettiva raffigurazione di Giovanni Maria
Mastai Ferretti sul piano naturale. Su tale raffigurazione concorda in genere
la critica, eccezion fatta per pochi ed irrilevanti giudizi o diversi o
contrari: anche il sole ha le sue ombre a conferma della sua luce. Depone
infatti per la sua fortezza quell’aggettivo "imperterrita" in
cui è pienamente riconoscibile il Pio IX che, senza mezzi termini, denuncia i
soprusi subìti, non si piega all’ingiustizia, condanna gli errori, difende la
Fede, la Chiesa, la Sede Apostolica. Il sostantivo "serenità"
lo riproduce qual effettivamente era: non "una canna agitata dal vento"
(Mt.11,8), non l’uomo sopraffatto da avvenimenti incontrollabili o, almeno in
apparenza, più grandi di Lui, non il fallito che tira i remi in barca e si
lascia andare rassegnato alla deriva, ma l’uomo che, forte della propria autocoscienza,
innalza una diga di coerenza e di soprannaturale fiducia dinanzi al dilagare
delle cose avverse. E di cose avverse fu lastricato il suo lunghissimo
ministero papale.
Il predecessore
Gregorio XVI, a suo modo anch’egli grande, gli aveva lasciato un’eredità
pesante. Gregorio aveva combattuto invano sia la vaga religiosità del
romanticismo, sia le rivendicazioni antidogmatiche del naturalismo
razionalistico, sia il subdolo accerchiamento delle sette segrete. La
massoneria imperversava; nelle sue avide mani era ormai ogni potere; la
presenza d’una Chiesa dotata non solo del potere spirituale, ma anche di quello
temporale, era per essa non più sopportabile. E così, sul pontificato di
Gregorio XVI soffiarono venti fortissimi, che travolgevano: discordie
dinastiche; difficoltà diplomatiche; filosofie in antitesi col pensiero
cattolico, teorie teologiche e filosofico-politiche, come il gallicanesimo ed
il febronianismo, in contrasto con l’ecclesiologia cattolica e con il diritto
pubblico ecclesiastico, contro il primato petrino e contro il suo universale
magistero, protestanti e cattolici in lotta, specialmente in Svizzera;
l’America latina dilaniata dalla rivoluzione; le idee eversive di Hermes,
Guenther e del semirazionalismo in genere. Sì, questi erano i venti, questo
l’asse ereditario che piombò d’improvviso sulle spalle del card. Giovanni Maria
Mastai Ferretti e che avrebbe fatto impallidire chiunque altro, non lui: "Ecce
indignus servus tuus, fiat voluntas tua", esclamò con le lacrime agli
occhi nel divenire Pio IX, arieggiando Lc.1,38 in cui Maria assicura a Dio la
sua totale disponibilità: "Sono la tua serva; fai di me quanto hai deciso
di fare".
Dolce e mite,
comprensivo e clemente, Pio IX fronteggiò sempre l’eversione rivoluzionaria e
non si dette mai per vinto dinanzi alle sue prepotenze. Fu proprio dinanzi ad
esse che emerse la "imperterrita serenità" dell’uomo superiore:
concesse senza scendere a patti compromissori, resistette senza violentare
l’innata mitezza. L’amnistia generale, da Lui decretata nel 1849, e gli altri
provvedimenti sociali che la contornarono e le fecero seguito sono la riprova
della "soave fortezza" di questo troppo spesso non capito e talvolta
bistrattato Pontefice.
E’ facile
scorgere, come concause d’un siffatto atteggiamento, un’intelligenza acuta e
penetrante ed una volontà pronta e conseguente. Intelligenza e volontà che, in
Lui, si sintetizzano con l’unità e l’armonia della sua "imperterrita
serenità". Vedeva la sostanza delle cose, le controllava agevolmente,
spesso le antivedeva e decideva: esattamente come avviene in ogni persona di
chiaroveggente ingegno e di risoluta determinazione.
La grandezza
non comune di Pio IX maturò in codesta sintesi. Riconobbe i tempi e ne lesse i
segni. Capì di dover accompagnare e pilotare il naviglio di Pietro in una
turbolenta fase di transizione tra la cultura imperante fino alla rivoluzione
francese e quella dei tempi nuovi, non ancora compiutamente evolutisi. Il
trapasso non era per nessuno neanche per Pio IX, di facile gestione, non privo
essendo d’incognite, di scogli non facilmente superabili e dei correlativi
pericoli. Si può perfino convenire, con il senno del poi, che avrebbe potuto
esser gestito meglio. Pio IX lo gestì da Pio IX: con una fedeltà che Egli,
lungimirante come non pochi, antepose alla lungimiranza; con la difensiva più
che con il pionierismo, combattendo a spada tratta l’errore, dovunque
affiorasse, per assicurare alla Fede e alla Chiesa un presente ed un domani
conformi ai fasti del passato.
2 - Sentimenti
ed affetti
Ogni
epistolario, così come ogni diario, è sempre una finestra aperta sulle più
recondite pieghe dell’animo e della vita intima di chi scrive. Pio IX non fa
eccezione. In ogni sua missiva si scopre qualcosa di Lui. Ed altrettanto in
quei fogli, numerosissimi e vari, che, sottratti alla dispersione o al cestino,
hanno permesso alla critica la ricostruzione storica di vicende giornaliere e
della temperie nella quale esse si svilupparono. Si sono così conosciuti
particolari interessantissimi anche se non roboanti, relativamente a ciò
ch’Egli sentì, pensò e fece, improvvise stimolazioni sui suoi stati d’animo,
vibrazioni intensissime della sua sensibilità e personalità, perfino qualche
zona d’ombra, appena percepibile, della sua umana natura.
Da tutto l’insieme
emerge un’ulteriore pennellata per una definizione più puntuale della sua
immagine, della sua indole, del suo mondo interiore, insomma dei suoi
sentimenti ed affetti.
Quando non
erano in gioco i diritti di Dio, la libertà della Chiesa e della Sede Apostolica,
il bene delle anime e la giustizia, prevaleva in Pio IX la tendenza a temperare
ogni spigolosità, a scusare le altrui miserie, a presumere una bontà di fondo,
almeno intenzionale, anche in chi lo contrastasse. Si capisce molto bene,
tuttavia, che quel suo fare conciliante né indicava, di per sé, una natura
imperturbabile, né era del tutto alieno da una forte disciplina interiore. Pio
IX aveva, infatti, conosciuto ben presto i suoi difetti e su di essi esercitò
sempre un controllo che qualcuno, mal interpretando le sue facezie, le battute
spiritose e la capacità di rilevare con immediatezza i punti deboli delle
persone e delle cose, stenta ancor oggi a riconoscergli. Non era certo colpa
sua se aveva occhi per vedere ed orecchi per intendere. Quando s’accorgeva
della piega che le circostanze prendevano, non esitava a manifestare il timore
che "sotto ci sia qualche giraccio", che responsabili ne fossero i
soliti giochi di potere, che le beghe l’avevano profondamente
"turbato", anche se si ricomponeva presto nella sua
"imperterrita serenità". Non s’equivochi tra questo “imperterrita” e
1’"imperturbabile" poco prima accennato: questo è dello stato d’animo
che non s’increspa mai, quello della serenità raggiunta con l’autocontrollo e la
costante disciplina.
Metteva a fuoco
le situazioni e le altrui posizioni giudicandole secondo la loro realtà,
cercava di capirne le motivazioni anche se non tutte poteva scusarle: su tutte
però stendeva il manto della carità e là dove s’arrestava la sua capacità
d’intervento, tutto rimetteva nelle mani di Dio.
3 - Bonomia e ilarità
Desidero
insistere ancora sulla sfaccettatura d’una personalità da qualcuno
"equivocata" in base ad alcuni del suoi tratti meno convenzionali.
Parlando di un nobile
e per giunta non dei nostri giorni, si è indotti ad immaginarlo tutto compreso
del suo alto lignaggio e delle distanze che lo separano dalla gente comune.
Trattandosi però del conte Giovanni Maria Mastai Ferretti, papa Pio IX, il
ritratto da fare è esattamente l’opposto.
Un papa tra la
gente oggi non fa più meraviglia; Giovanni Paolo II ci ha abituati ad una forse
programmata rottura degli schemi burocratici ed anche se non si può pensare
d’andar liberamente a stringere la mano del Pontefice, è spettacolo frequente
quello del Pontefice che stringe la mano ai più vicini, ai lati che
fiancheggiano il suo passaggio.
Lo schema, a
dir il vero, era già stato infranto: Paolo VI, Giovanni XXIII, Pio XII lo fecero
in diverse occasioni. Nessuno può evocare, senza commuoversi, la bianca figura
del Pastor Angelicus imbrattata di sangue in mezzo alla popolazione di
San Lorenzo, dove un bombardamento era appena cessato.
Pio IX non
conobbe limiti a questo immediato contatto con la sua gente. Ogni occasione era
buona per abbandonare la carrozza ed intrattenersi bonariamente con i suoi
Romani, o per cancellare il cerimoniale fastoso ed imponente dei tempi passati
a tutto vantaggio della comunicazione in alto ed in basso. Quasi ogni giorno
rinnovava questa comunicazione diretta e non aspettava d’essere in campagna o
fuori porta, come il cerimoniale gli imponeva, per scendere di carrozza,
camminare a piedi, fermarsi con i primi incontrati, interessarsi ai loro
problemi, ascoltarne gli umori, lasciar loro una buona parola e non soltanto
quella. Di fatto si poteva incontrarlo al Pincio, al Corso o in Piazza del
popolo, al centro o in periferia, nell’atto di rispondere ad un saluto, di
colloquiare affabilmente, d’ascoltare con paterno interesse chiunque avesse
avuto bisogno d’esporgli il suo caso. A distanza di pochi metri, il segretario
distribuiva danaro ai poveri: una scena tanto frequente da esser considerata un
copione.
Richiamo infine
l’attenzione su un aspetto tra i non meno rilevanti della personalità di Pio IX
e nel quale affrettati o prevenuti critici hanno trovato materia per riserve ed
accuse da suggerire all’"avvocato del diavolo". Tale aspetto trova la
sua spiegazione nel quadro di quell’immediatezza che fu già rilevata e
sottolineata. Alludo alla sua arguzia, alla sua ilarità, al suo umorismo. Ne
nascevano battute anche pungenti, o salaci, che o sconcertavano l’interlocutore
o lo mandavano in visibilio. Dicono che l’arguzia sia tra le caratteristiche
dei marchigiani; certo è che Pio IX ne era abbondantemente dotato. E ne faceva
uso non raro, specie se si trattava d’addolcire l’atmosfera un po’ troppo tesa,
di sollevare l’ilarità altrui, di sdrammatizzare qualche momento difficile. In
certi casi, basta una parola per troncare un discorso, sviare l’attenzione,
suscitare una provvidenziale risata. Pio IX, a questo riguardo, era un vero
maestro.
Nella sua vita
abbondano gli aneddoti legati al suo umorismo. Non posso raccontarne
molti; ne segnalo alcuni a solo titolo esemplificativo .
Sono noti, per
es., quelli che ebbero per protagonista un certo Mons. Casali, un buon uomo, ma
non un pozzo di scienza né una mente acuta. Un giorno, mentre si parlava dinanzi
a Pio IX di Papa Sisto V, il buon Casali se ne uscì in quest’esclamazione:
“Quelli sì che erano veri papi!”. Pio IX, nient’affatto offeso, replicò: “Se lo
dice lui!”. E quando Mons. Casali riferì al Pontefice d’aver ricevuto uno
schiaffo dalla madre, Pio IX domandò: “Uno solo? Ve ne doveva dare almeno due:
uno anche per conto mio!”.
Ad un
benedettino che smaniava per la porpora rivelò: “Ho intenzione di far cardinale
un benedettino”. Si fermò per tenere in tensione il buon padre, poi continuò:
“Il suo cognome incomincia con la P”. Si dà il caso che con la “P”
incominciasse quello dell’aspirante cardinale (Pescetelli), il quale però si
senti andar il sangue in acqua, quando il Papa concluse: “Ma non è un
italiano”.
Equivocando un
giorno sul significato metaforico di "pettinare", mise le mani sui
capelli d’una piccola accompagnata dalla mamma, vi nascose 2000 scudi e, con
riferimento al padre che aveva ridotto la famiglia in miseria, invitò la
bambina a farsi pettinare soltanto dalla mamma.
Aveva la bocca
piena e masticava a quattro palmenti un avventore uscito da un’osteria per
vedere Pio IX che passava, e gridargli: "Santità, muoio di fame". E
il Papa: "Lo vedo, lo vedo!".
Un prete di
Romagna, per il quale Pio IX aveva pagato di tasca propria un corso di Esercizi
Spirituali in riparazione di sfuriate romagnole, al Papa che lo invitava a non
commetterne mai più rispose: “Non dubiti, Padre Santo, ho imparato a mie
spese”. Ma il Papa corresse: “Vorrete dire a mie spese”.
Durante
un’udienza, gli fu presentata una signora dal cui cappello svettavano altissime
piume. Appena seppe che si chiamava Guerrieri, osservò: “Già, me n’ero accorto
dal cimiero!”.
A chi gli
faceva notare che il Concilio sarebbe costato ogni giorno un numero esorbitante
di scudi, Pio IX rispose: “Non so se da questo Concilio il Papa uscirà
fallibile o infallibile, so però che ne uscirà fallito!”.
Capitolo III
IL MAESTRO
Un’attenzione
particolare va riservata al magistero di Pio IX, non senza dimenticare che l’espressione
più nobile di esso è la sua stessa vita: una lezione luminosa di dedizione a
Dio ed alla Chiesa.
Un po’ per la
sua bonomia, un po’ perché non fu uno studioso, qualcuno potrebbe pensare che
Pio IX abbia dato vita ad un pontificato scialbo dal punto di vista
magisteriale. Niente di più errato. Pio IX aveva il fiuto dell’errore e
l’occhio clinico per individuarlo a prima vista. Ed aveva pronto, in pari
tempo, l’antidoto. Non tutti sanno che la ripresa del tomismo nei seminari e
nelle università, prima che di Leone XIII fu merito di Pio IX.
Ciò che
sorprende in un uomo divorato dallo zelo per le anime e non dal fascino d’una
cattedra universitaria, è l’informazione. Già da vescovo e da cardinale sapeva
riconoscere di lontano la matrice di certe storture dottrinali, giudicandole
"una meschina fusione dei pensieri di Potter, La Mennais e Bunsen".
Sapeva anzi distinguere "dal primo e dal terzo", accaniti antiromani,
il secondo, il cui equivoco consisteva in un erroneo concetto di tradizione.
Sapeva del giansenismo ed era capace di riconoscerne i sintomi anche in
teologi, e perfino in vescovi, che vi s’ispiravano più o meno scopertamente, in
Italia e all’estero. Non era cieco neanche dinanzi agli errori
teologico-politici, che attanagliavano il clero della sua epoca. Non suscita
dunque alcuna meraviglia che gran parte del suo pontificato si caratterizzi sul
piano magisteriale, a difesa del deposito della Fede e a proposta d’indirizzi
sicuri.
1 - L'Immacolata
Concezione
Era ancora a
Gaeta, esule e vittima della prepotenza politica, quando mise in moto il
progetto relativo alla definizione dogmatica dell’immacolato concepimento di
Maria. Non si trattava d’un fatto puramente devozionale e non era in gioco il
suo personale trasporto per la Vergine Santa. Si trattava di sapere se Maria
fosse stata concepita senza peccato originale e se ciò facesse parte della
rivelazione cristiana.
Una
consultazione mondiale fu allora promossa con l’enciclica Ubi primum. I
vescovi di tutto il mondo dovevano pronunciarsi sulla legittimità e
sull’opportunità o meno d’una definizione dogmatica a tale riguardo. 593 furono
le risposte, delle quali 8 soltanto negative, 2 incerte, 35 favorevoli con
riserva e tutte le altre, cioè la stragrande maggioranza, pienamente a favore.
Che Maria fosse
stata concepita senza peccato originale era solo una pia credenza, diffusa
peraltro in tutta la Chiesa, ma priva del vincolo dogmatico. Presente nella
preghiera liturgica, variamente intesa dai grandi teologi del passato dei quali
alcuni non ne erano stati entusiasti, accolta ed approfondita dalla scuola
francescana, garantita per così dire da un avallo soprannaturale (le
apparizioni a Santa Caterina Labouré) e successivamente confermata da un altro
evento soprannaturale (le apparizioni a Santta Bernadette Soubiroux), la pia
credenza s’apprestava a rivestirsi di portata dogmatica, quando il parere quasi
unanime dei vescovi confortò il progetto di papa Mastai.
Più di sei
anni, tuttavia, furono ancora necessari, sei anni di preghiera, di studio e di
riflessione, prima che con l’Ineffabilis Deus Pio IX promulgasse il
nuovo dogma mariano. Ad una preliminare commissione teologico-consultiva, altre
4 ne seguirono di cardinali, vescovi e teologi per trattare adeguatamente
l’argomento da tre distinti punti di vista: la definibilità, l’opportunità, la
redazione del testo.
Anche in tale
occasione, Pio IX rivelò una prudenza pari alla fermezza del suo intento.
Sottomise al giudizio di 16 teologi il primo abbozzo del testo, redatto da G.
Perrone. Altri 7 vennero di volta in volta preparati, analizzati e valutati.
Bisognava che ci fosse provata chiarezza non solo sull’esistenza "ab
antiquo" della pia credenza nella Chiesa universale, ma anche sul
tenore delle risposte ricevute e delle obiezioni prima ed allora sollevate. In
particolare, occorreva superarne due, senza dubbio gravi: il silenzio
neotestamentario e l’universalità del peccato originale.
I lavori delle
commissioni e dei singoli teologi furono intensi, accompagnati
dall’interessamento personale del Papa e dalla sua ininterrotta preghiera. Con
Lui pregavano tante altre persone, alle quali Egli stesso s’era rivolto; in
particolare, le claustrali. A quattro giorni dalla proclamazione, il testo non
era ancora perfettamente a posto e si deve ai suggerimenti diretti di Pio IX il
superamento definitivo delle difficoltà.
8 dicembre
1854. Con una solennità inaudita, nella patriarcale basilica di San Pietro in
Vaticano, alla presenza di 53 cardinali, 43 arcivescovi e 99 vescovi, accorsi
appositamente per testimoniare il consenso della Chiesa universale, il Santo
Padre, non senza commozione, definì come dogma di fede l’immacolato
concepimento della Vergine Maria. Tre anni dopo il Papa stesso rievocò quel
momento paradisiaco: "Quando iniziai a leggere il decreto... sentii la
mia voce incapace di farsi capire dall’immensa moltitudine che riempiva la
basilica vaticana. Ma quando arrivai alla formula, Dio donò alla voce del suo
Vicario una forza tale e tale vigore soprannaturale, da farla risuonare in
tutta la basilica. Ero così impressionato d’un tale divino soccorso, che
dovetti interrompermi un momento per dar libero sfogo alle mie lacrime".
Questo dogma,
sia ben chiaro, s’impone all’attenzione critica e alla Fede della Chiesa non
per le lacrime di Pio IX, ma per il suo contenuto pienamente conforme alla Fede
e per il valore dottrinario della sua formulazione. Pio IX capiva
l’interconnessione dell’Immacolata con le altre verità rivelate ed ebbe il
coraggio, la fermezza e la coerenza d’insistere su una siffatta connessione per
far diventare dogma una pia ed antichissima credenza. Aveva anche capito che
l’Immacolata s’articolava direi organicamente con l’Assunta, questa dipendendo
da quella; ma a chi lo sollecitava per procedere anche alla definizione
dogmatica di Maria assunta corpo ed anima nella gloria celeste, rispose di non
esserne degno, anche se sicuro che ciò si sarebbe avverato più tardi.
A scanso
d’equivoci, sembra ora opportuno sostare dinanzi al testo per coglierne il
significato autentico.
Esso s’apre con
l’appello all’autorità che dà garanzia dogmatica al magistero papale: "Per
l’autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Beati Apostoli Pietro e Paolo e
nostra". Anche dal punto di vista della formulazione tecnica, si è di
fronte ad un esordio magisteriale. L’intervento del Papa si giustifica in base
al fatto ch’esso dipende non da una decisione privata del Pontefice stesso (e
per tale motivo ho tradotto "nostra" invece che "la
nostra"; quell’articolo indicativo potrebbe in effetti distinguere
l’autorità del Papa da quella di Cristo e degli Apostoli Pietro e Paolo, mentre
si tratta della medesima ed unica autorità), ma da una decisione
"pubblica", dovuta cioè alla sua "persona pubblica", ovvero
al suo ufficio magisteriale di Capo Maestro e Pastore supremo della Chiesa, al
quale lo Spirito Santo assicura l’autorità stessa di Cristo capo Maestro e
Pastore.
"Noi
dichiariamo, affermiamo e definiamo". Linguaggio classico, che troverà
conferma, poco dopo, nella "Pastor aeternus" del Vaticano I. Nel
"noi" non risuona un semplice plurale maiestatico, ma la
limpida coscienza dell’ufficio papale: pertanto, non la sola rappresentatività
di tutta la Chiesa, ma la responsabilità universale che tutta la coinvolge, in
ogni tempo, in ogni dove, nella professione del dogma mariano.
Sta qui il
contenuto dottrinale della definizione piana, dove peraltro occorre far una
distinzione: il contenuto rigorosamente dogmatico è quello relativo alla
dottrina in quanto rivelata e perciò "credenda"; la
specificazione di tale dottrina indica i limiti di ciò che fu rivelato e che
bisogna credere: non al di sopra, non al di sotto di essi. Da notare anche la
contraddizione di qualche antica e moderna traduzione del "praeservatam
immunem" con "affrancata"; se affrancata dal peccato, Maria
non ne sarebbe stata immune.
2 - Il
Vaticano I
Procedo per
sommi capi, impossibile essendo, ora, un’esposizione analitica completa sul
magistero di Pio IX. Sarebbe di grande interesse il soffermarsi sul peso
magisteriale delle sue non poche encicliche; ma è di gran lunga maggiore
l’interesse che collega il peso suddetto all’evento epocale la cui sola memoria
basta ad immortalare il grande Pontefice: parlo del Concilio Ecumenico Vaticano
I.
Ne parlo non
per tesserne la storia, ormai investigata in ogni suo più piccolo particolare,
ma per documentarne quel peso magisteriale al quale prima accennavo, e che
ridonda in ultima analisi a merito di Colui che quel Concilio volle, aprì,
diresse e promulgò.
Anche il
progetto d’un Concilio ecumenico nacque a Gaeta nel 1849. Nel 1863 fu il card.
Wiseman a parlarne con Pio IX. E questi, il 6 dicembre 1864, confidò la sua
speranza ai 15 cardinali della Congregazione dei Riti. L’anno successivo entrò
in azione una commissione cardinalizia. E così, di commissione in commissione,
di consulta in consulta, non assenti nemmeno alcune contromanovre da parte sia
di circoli massonici ed anticlericali, sia d’ecclesiastici d’avanguardia,
s’arrivò all’apertura del Concilio: 7 dicembre 1869.
Fu davvero un
Concilio Ecumenico: 55 cardinali, 6 patriarchi, sei abati "nullius",
24 abati generali, 29 generali di ordini e congregazioni religiose, 964
vescovi. E’ risaputo che non tutto il materiale preparato venne di fatto
discusso ed approvato. I venti di guerra e le condizioni politiche italiane
determinarono la chiusura precoce del Concilio (18 luglio 1870) e due sole
furono le Costituzioni dogmatiche approvate: la "Dei Filius" e
la "Pastor aeternus".
L’una fu
discussa per oltre un mese e concluse il suo itinerario con miglioramenti e
varianti di carattere formale e teologico. Altrettanto avvenne per l’altra,
anche se l’incerto clima politico ne condizionò almeno in parte la discussione.
La "Dei
Filius", approvata in sessione plenaria il 24 aprile 1870, fu
promulgata seduta stante da Pio IX, evidentemente compiaciuto e grato al
Signore. Nel prologo si passavano in rassegna i principali errori dell’epoca
moderna, con particolare riferimento a quelli sull’esegesi biblica, sul
razionalismo e sul naturalismo, donde si cade "nell’abisso del panteismo,
del materialismo e dell’ateismo". In evidenza, ovviamente, venivano messi
anche gli errori teologici che confondevano i confini della natura e della
grazia e si discostavano dall’insegnamento tradizionale della Chiesa.
Dopo il
prologo, quattro brevi capitoli sulla genuina Fede cattolica: Dio Creatore
dell’universo; La Rivelazione divina, la Fede, la Fede e la ragione. Il
contenuto di questi quattro capitoli trova poi la sua formulazione dogmatica in
18 canoni che infliggono la scomunica a chiunque osi negarne il contenuto
dottrinale, diffondendo e sostenendo dottrine ad esso contrarie.
Non mancarono,
qua e là, delle critiche: vescovi poco convinti, teologi d’ispirazione liberale
e neogallicana, storici il cui metro per valutare la vita della Chiesa
prescindeva dal soprannaturale. La maggior parte dei destinatari, però, gioì
con Pio IX perché il Concilio aveva raggiunto uno dei suoi scopi principali:
aveva non solo condannato gli errori, ma a questi aveva contrapposto la verità
immutabile della rivelazione divina.
La seconda
Costituzione dogmatica del Vaticano I, la "Pastor aeternus", è
comunemente conosciuta come la costituzione sulla Chiesa; in realtà i tempi
ristretti dei lavori conciliari furono la causa del loro "cursus in fine
velocior". I Padri stessi, o alcuni di essi, non vedevano l’ora di far
ritorno alle loro sedi. Ne fecero le spese soprattutto i temi ecclesiologici,
dei quali si discusse ed approvò solo una piccola parte (il cap. XI dello
schema "de Ecclesia"), riguardante la dottrina del Romano Pontefice.
La si articolò in tre capitoletti, ai quali fu poi aggiunto il cap. IV
sull’infallibilità papale.
In quella fase
conciliare, infallibilisti ed antinfallibilisti misero in atto sottili ed
accorte manovre, capaci di portare la questione dell’infallibilità al centro
dell’interesse conciliare. Come sempre in casi del genere, le posizioni
andavano dal sì al no passando attraverso sfumature varie, il cui
scopo era quello di mediare gli estremi.
Il 6 marzo 1870
fu consegnato un progetto, frutto di lunghe discussioni, che s’aggiungeva al
cap. XI poco sopra ricordato e che ebbe subito il massimo interesse dei Padri
conciliari. Proseguiva intanto la discussione del cap. XI sull’ufficio
primaziale del vescovo di Roma. 139 furono gli emendamenti proposti e poi
discussi ed approvati. Alla fine, il testo ebbe il gradimento comune circa la
dottrina che stabiliva come dogma di Fede che al solo Pietro il Signore donò il
primato sulla Chiesa universale; che tale primato è per divina disposizione
transpersonale, da trasmettere cioè ai legittimi successori del principe degli
Apostoli; e che esso consiste non in una supervisione o nella posizione del
"primus inter pares", ma in una vera e propria giurisdizione.
La questione di
fondo rimaneva, tuttavia, quella del progetto aggiuntivo sulla infallibilità papale.
Le proposte s’accavallavano a vicenda. Quelle favorevoli incontravano la
resistenza d’una minoranza teologicamente agguerrita e non incline al facile
cedimento. Nuovi gallicani e frange non indifferenti di conciliarismo mitigato
pretendevano almeno questo: che prima di procedere ad una definizione
dogmatica, nella quale pertanto fosse impegnata l’infallibilità dell’asserto,
il Papa avesse l’assenso dei vescovi, per la ragione che essi concorrono con
Lui al governo della Chiesa. La maggioranza rispondeva che all’esercizio
dell’ufficio petrino, uno ed indiviso, non ha parte l’episcopato, con la
conseguenza che il Papa di per se stesso, e non mediante il consenso dei
vescovi o della Chiesa, è capace di definizioni infallibili.
Il 4 luglio, per
la sesta volta in quattro mesi, fu proposta una formula aperta ad alcuni
emendamenti, ma ferma sulla sostanza. Una maggioranza schiacciante l’approvò il
13; ma la minoranza non si dette per vinta. Valendosi dell’ampia libertà
concessa da Pio IX a chiunque volesse o avesse da eccepire, Mons. Dupanloup
suggerì al Papa d’approvare, sì, come decisione conciliare la dottrina
dell’infallibilità sulla quale confluiva il parere della maggior parte dei
Padri, ma d’astenersi dal promulgarla per non turbare gli spiriti già molto
preoccupati. Insomma, si voleva metter la mordacchia a Pio IX, il quale non era
affatto disposto a lasciarsela mettere.
Arrivò il 18
luglio. Su 535 presenti, 2 soltanto si dissero contrari, una quarantina di
vescovi aveva lasciato Roma, un po’ per la precarietà della situazione
politica, un po’ per non partecipare alla plenaria. Non senza commozione ma
fermo sulle sue posizioni, Pio IX rassicurò i confratelli nell’episcopato sui
rapporti tra l’episcopato stesso e l’infallibilità, nel senso che questa
suprema prerogativa dell’autorità papale, anziché schiacciare quella
episcopale, è a tutela e garanzia di essa.
In realtà, non
si trattava della divinizzazione d’un uomo né dell’assorbimento, da parte sua,
delle responsabilità e prerogative dei vescovi. Il Papa, chiunque fosse, anche
dopo la definizione dogmatica della sua infallibilità restava l’uomo che era e
come era: con i suoi pregi ed i suoi difetti. In quanto dottore privato, può
sempre cadere in errore come ogni altro privato dottore. Ma in quanto Capo
supremo, Maestro e Pastore di tutta la Chiesa, in ciò che riguarda le verità da
credere e da incarnare nel tessuto quotidiano, gode d’uno speciale carisma,
cioè di quell’infallibilità che rende le sue decisioni irreformabili di per sé
e non per il consenso della Chiesa.
Tale formula
entrò come quarto capitolo nella "Pastor aeternus". Ognuno dei
quattro capitoli venne quindi specificato da un canone dogmatico. Si chiudeva
in tal modo, con una evidentissima vittoria della Divina Provvidenza che guida
i passi degli uomini verso i suoi traguardi, oltre che con l’oscurarsi
dell’orizzonte politico internazionale ed italiano, il Concilio Ecumenico
Vaticano I. Esso fu pure, in ultima analisi, la vittoria di Pio IX. A me piace
considerarlo, per le sue due Costituzioni dogmatiche, una perla del magistero
piano.
3 - Il
Sillabo
Affronto per
ultima, anche se cronologicamente avrei dovuto parlarne prima, una delicata
questione, causa di non rari malintesi e d’infondate accuse sia contro Pio IX
sia contro la Chiesa: la questione del Sillabo.
Il 9 giugno
1862, ad un buon terzo dell’episcopato mondiale convenuto a Roma per la
beatificazione di 26 martiri giapponesi, Pio IX tenne una ben nota allocuzione
sui "terribili mali" che affliggevano la Chiesa e la stessa società
civile. Fu, da parte sua, l’ennesima denuncia del razionalismo, del panteismo,
dell’ateismo e di ciò che tra breve sarebbe stato chiamato modernismo. In
particolare erano direttamente colpiti quanti giudicavano la divina rivelazione
"imperfetta e soggetta ad un progresso continuo ed indefinito, conforme al
progressivo sviluppo della ragione umana". Pio IX colpiva inoltre chi
riduceva a favole i miracoli e le profezie dei Libri Sacri, chi nei misteri
della Fede null’altro vedeva che il risultato d’investigazioni filosofiche, chi
dava per scientificamente accertato che Antico e Nuovo Testamento contenessero
soltanto dei miti e che lo stesso Cristo fosse "mito e finzione".
Sembra che il
suggerimento di catalogare e condannare pubblicamente gli errori moderni sia
stato rivolto a Pio IX per la prima volta, già nel 1849, dal card. Gioacchino
Pecci, il futuro Leone XIII: un collegamento significativo, che annulla sul
nascere troppo precipitose contrapposizioni dei due Pontefici. Nel 1851 toccò
ad un laico di Torino Emiliano Avogadro della Motta, a sollecitare dal Papa la
pubblica condanna dei numerosi e perniciosi errori moderni. E nel maggio di
quel medesimo anno, Pio IX ordinò un primo sondaggio su vasta scala in ordine
ad una tale prospettiva. Nuove indagini vennero condotte tra il 1859 ed il
1860. L’esito si concretò in 79 proposizioni condannabili, raccolte sotto il
titolo "Syllabus errorum in Europa vigentium".
L’enciclica
richiamava ancora una volta l’attenzione del mondo cattolico sui pericoli che
correva la Fede cristiana a causa del propalarsi, a livelli sempre meno
controllabili, d’errori gravissimi. Ancora una volta era messo a fuoco il
naturalismo, che sopprime ogni legame tra società e religione; la libertà di
coscienza e di culto, che già sant’Agostino aveva definito "libertà di
perdizione"; l’estromissione della Chiesa da ogni compito educativo nei
confronti dei giovani, che veniva riservato soltanto allo Stato; la
sottomissione di essa, privata dei suoi nativi diritti temporali, allo Stato stesso;
la negazione della divinità di Cristo. Pio IX parlava a tale riguardo d’
"insolenza criminale" e di "cospirazione...contro il
Cattolicesimo e la Sede Apostolica".
Il Sillabo, richiamandosi
ai precedenti atti papali d’analogo contenuto, condensava in 80 proposizioni,
queste distinguendo in 10 settori, tutte riguardanti la
"cospirazione" sopra accennata.
In particolare
cadevano sotto condanna:
- il
naturalismo, il panteismo ed il razionalismo assoluto;
- il
naturalismo moderato, con riferimento a Gunther, Frohschammer, Dollinger ed
altri;
-
l’indifferentismo ed il latitudinarismo;
- il
socialismo, il comunismo, le società segrete ed altre società clerico-liberali;
- le idee
eversive della natura della Chiesa e negatrici dei suoi diritti;
- gli errori
sulla natura della società civile, specie su quello che asservisce la Chiesa
allo Stato;
- gli errori
relativi alla morale naturale e cristiana;
- gli errori
sul matrimonio cristiano;
- gli errori
sul potere temporale del Romano Pontefice;
- gli errori
che sottopongono il Papa e la Chiesa al progresso, al liberalismo, ed alla
moderna civilizzazione.
Capitolo
IV
IL
SANTO
La spiritualità
di Pio IX, già ben definita negli anni della giovinezza (che pur conobbe in Lui
alti e bassi e non fu priva di pericoli e tentazioni) venne affinandosi nel
tempo. E’ una legge comune: nessuno nasce con l’aureola. Quando Pio IX morì,
l’accompagnava alla tomba non solo l’odio bieco ed astioso
dell’anticlericalismo piazzaiolo, ma anche e soprattutto una fama di santità,
diffusissima e al di sopra di ogni sospetto. "E’ morto un santo", fu
il grido che attraversò l’orbe cattolico; e non mancarono riconoscimenti in tal
senso anche da parte acattolica. Don Bosco, che gli era stato vicino e lo
conosceva a fondo, pronosticò subito la gloria degli altari. Dopo un esame minuzioso e lungo quasi un
secolo, la Chiesa scioglie oggi ogni riserva e lo proclama pubblicamente beato.
Il lettore,
tuttavia, ha diritto di sapere su quali basi.
1 - Un
vero prete
Sono
innumerevoli le grazie attribuite al grande Pontefice sia prima, sia dopo la
sua morte. Certo, nessuna di esse può esser addotta a fondamento della sua
santità, anche se è un indice della richiesta "Fama sanctitatis": il
fondamento unico ed irrefragabile della santità è "la perfezione della
carità". E’ questa l’angolatura dalla quale occorre posare lo sguardo su
Pio IX, nel chiedersi se fosse o meno un vero santo.
Tuttavia, nel
complesso delle grazie sopra accennate ce n’è una che, attentamente analizzata
e valutata dalla Consulta Medica della Congregazione per le Cause dei Santi, è
stata dichiarata miracolo. La detta Consulta, infatti, l’ha definita
naturalmente e scientificamente inspiegabile. Da questa base è poi partito il
giudizio teologico per approdare al miracolo e riconoscere in esso il dito di
Dio, ossia l'avallo soprannaturale del giudizio di santità.
Sopra ho
accennato alla perfezione della carità; santo infatti non è colui che va in
estasi e sposta le montagne, ma colui che ama Dio al di sopra di tutto e di
tutti e tutti gli altri per amore di Dio. E proprio questa è la nota che
rifulge nella personalità di Pio IX: amava Dio immensamente, intensamente e, sotto
certi aspetti, fanciullescamente traducendo il suo medesimo amore di Dio in
amore del prossimo, di qualunque prossimo anche dei suoi nemici. Fu così nel
fervore dei suoi anni verdi, preludio di ciò che sarebbe maturato negli anni
del suo ministero vescovile e papale, fino alla vecchiaia e alla morte.
Visse il suo
eccezionale momento storico, così ricco d'eventi che cambiarono il corso della
storia in Italia, nella Chiesa e nel mondo, in perfetta amorosa unione con Dio
ed altrettanto amorosa disponibilità per gli altri. In mezzo a vicende che
oltrepassavano di gran lunga il limite dell'ordinario, oggetto non di rado
d'accuse ingenerose e di lotte a tutto campo, continuava a dar il suo alto
esempio d'amor di Dio e del prossimo, in tutto e per tutto abbandonato alla
divina Provvidenza. Tale abbandono, che a qualcuno è sembrato debolezza,
"mancanza di senso politico, pericoloso misticismo, attesa inerte e
passiva". era la sua arma politica. Non soggiaceva alla prepotenza, ma la
collocava nel Cuore del suo Cristo e tutto risolveva in un atto d'amore. Quando
poi parlava del divino Amore, voce e gesti s'infiammavano a tal punto che
l'uditorio ne rimaneva conquiso e commosso.
Il suo amore
per il prossimo come riflesso e testimonianza di quello per Dio non era mai puramente
verbale, ma concreto e risolutivo. Mite, buono e comprensivo, a quanti ne
avessero bisogno lasciava dietro i suoi passi un aiuto che superava talvolta le
attese. E' risaputa la sua carità per le claustrali e le religiose in genere;
ma anche per i poveri, i perseguitati, i prigionieri. Lenì più volte i deleteri
effetti della guerra, sottrasse alla cattura da parte degli Austriaci non pochi
rivoluzionari in fuga, raccomandò e per quanto era in suo potere Egli stesso
concesse condoni e riduzioni di pene. Visitò gli ammalati e non esitò ad
assistere personalmente i colerosi dei vari ospedali. Non solo disse parole di
pace e di perdono ai garibaldini, prigionieri dopo la battaglia di Mentana in
Castel Sant'Angelo, ma li rifornì anche di cibo e di vestiario ed infine li
fece rimettere in libertà. Ho già ricordato che passeggiava per Roma con
accanto il Segretario, nelle cui mani era sempre una borsa per sovvenire ai
bisognosi che incontrava.
Pensò perfino a
forme di pensionamento, non ancora previste nemmeno dagli ordinamenti più
avanzati dell'epoca, per quei civili e militari della vecchia amministrazione
pontificia, che dopo l'occupazione di Roma non avevano aderito al nuovo
governo.
Ma fu
soprattutto un prete. Un prete vero, perché "uomo di Dio" (2^Tm.3,17)
tutto preso dal suo amore e votato al bene degli altri. Per i preti ebbe sempre
speciali preoccupazioni. Curò la formazione sacerdotale, promosse i seminari,
caldeggiò i buoni studi. Certo, non poté risolvere tutti problemi da Lui
incontrati, benché tutto facesse quant'era nelle sue possibilità per
risolverli. Ebbe anch'egli, come uomo, i condizionamenti della sua natura; e
come papa, i problemi immani dell'epoca in trapasso, cui rispondeva come sapeva
e poteva. Ma su una cosa dovrebbero tutti concordare sostenitori e critici: sul
fatto che fu prete esemplare, specchio delle più belle virtù sacerdotali e
cristiane.
Specie negli
ultimi anni del suo pontificato, crebbe la considerazione comune della sua
santità in base alle sue virtù. Peccato, umanamente parlando, che il
riconoscimento ufficiale di esse sia venuto così tardi !
2 - Pio di nome e di fatto
Se la carità
ebbe tanto rilievo nella sua vita, fu perché tutto il complesso delle sue virtù
trovò in essa la sua radice e la sua sintesi. Fu vibrante d'amore, quindi fu
pieno di fede e di speranza, proiettato in Dio e sicuro del suo aiuto, da Lui
solo attendendo la soluzione umanamente impossibile dei suoi gravissimi
problemi. Dio solo cercava quando opponeva un irremovibile no all'onda montante
del liberalismo anticlericale, del secolarismo che addormentava il senso
religioso dell'esistenza e dell'ormai diffuso ateismo. Dio era la sola
motivazione del suo tetragono atteggiamento di resistenza agli eventi
inarrestabili, per cui anteponeva i diritti della Chiesa, della religione
cristiana e delle Sede Apostolica, della stessa legge naturale ad ogni
prospettiva secolarizzante. Fu e visse soltanto come "homo Dei".
Incarnò nel suo
tenore quotidiano la pietà non soltanto come ragione del suo personale rapporto
con Dio, la Vergine Immacolata, San Giuseppe ed altri Santi, ma anche come
punto di riferimento e faro del suo senso pratico, del suo dovere d'ogni giorno
e degli imprevisti che, pure ogni giorno, s'affacciavano sull'ingresso della
sua stanza di lavoro.
"Non è un
mistico - è stato scritto - o un asceta nel senso stretto dei termini
quantunque le sue effusioni spirituali, che si rintracciano dovunque nelle sue
lettere e nei suoi discorsi, possano talora farlo pensare, ma è un uomo che
aspira del continuo alla perfezione". Forse si voleva soltanto osservare
che era non privo di qualche difetto, ma deciso ad emendarsene, tanto da
aspirare "del continuo alla perfezione". Lo strumento da Lui a tal
fine adoperato, il rimedio assunto, continua il medesimo biografo, "è la
preghiera; in ogni evenienza prega e fa pregare; Egli è principalmente l'uomo
della preghiera...Tale sarà sempre fino alla morte".
Da questa sua
qualità di orante discendono alcuni indirizzi particolari che, nulla togliendo
all'insieme e nulla al centro della sua religiosità, la specificano e ne
definiscono le componenti varie. Fin da giovane, il Mastai si rivelò
devotissimo del Sacro Cuore di Gesù e fin dai primissimi anni del suo ministero
episcopale s'impegno a diffondere questa devozione. Ne percepiva con chiarezza
il senso teologico. Sapeva che ogni omaggio al Sacro Cuore ridondava sulla
persona adorabile di Cristo e sulla sua umanità sacrosanta. Ne derivava non
solo il suo devoto atteggiamento, ma anche lo zelo con cui ne parlava ed
operava. E' qui praticamente impossibile riferire quanto Egli fece per il Sacro
Cuore; ma non posso tacere su alcuni discorsi da Lui tenuti agli albori del suo
presbiterato e come piattaforma del suo sviluppo futuro. Si tratta di due
tridui, già nei quali il Sacro Cuore si poneva in evidenza come un chiaro
coefficiente della sua spiritualità, la quale pertanto già preludeva alle
caratteristiche e dimensioni che avrebbe assunto in seguito. E quante opere
videro la luce, da Lui promosse o da Lui approvate, riguardanti il Sacro Cuore:
confraternite, chiese, famiglie religiose. Si capisce così la ragione per la
quale consacrò al Sacro Cuore la Chiesa.
Un altro
aspetto non meno significativo del suo orientamento spirituale è la devozione alla
Madonna. Anche questa seppe ben radicare in opportune ragioni teologiche ed
innestare sul suo costume personale, come un'espressione tipica di esso. Era
una delle devozioni nate nel suo animo fin dalla fanciullezza; e fu il suo
distintivo per tutta la vita. Avrebbe potuto ben dire anch'Egli: "Totus
tuus"; era davvero tutto di Maria. A Lei riferiva tutto quanto ebbe una
speciale rilevanza nella sua lunga giornata: la guarigione da una malattia che
per qualcuno fu epilessia, anche se la fondatezza di tale diagnosi non fu mai
dimostrata, la vocazione sacerdotale, l'episcopato spoletino ed imolese; la
stessa porpora cardinalizia. Sotto il manto della Vergine Immacolata e
segnatamente della Madonna di Loreto (www.santuarioloreto.it) Egli pose poi il suo ministero papale. Tutta
la sua esistenza si svolse in atmosfera mariana.
Si conoscono,
inoltre, i suoi discorsi giovanili su Maria Assunta in cielo. Col loro impianto
biblico-teologico, già preludevano al suo futuro e ben consolidato
convincimento circa il vincolo esistente tra Immacolata Concezione ed
Assunzione. Ho già ricordato codesto convincimento. Nel 1864 ne parlò una volta
alla Regina di Spagna, che già pregustava la gioia d'una nuova definizione
dogmatica: "Non c'è dubbio che l'Assunzione...è una conseguenza del
dogma della sua Concezione Immacolata...io non mi credo degno istrumento per
pubblicare come dogma anche questo secondo Mistero; ma tempo verrà..."
La medesima speranza aveva del resto espresso in altre occasioni, anche molto
prima.
In un certo
senso, Maria era nel suo cuore; la causa di Lei faceva parte di Lui, perciò non
poteva non parlarne e lo faceva non senza personale trasporto.
La storiografia
ricorda anche la sua devozione a San Giuseppe, che culminò, 1'8 dicembre 1870,
con la proclamazione del verginale Sposo di Maria a patrono della Chiesa
universale.
Ma il giudizio
sulla sua spiritualità né si evince del tutto da queste sue devozioni, né
s'esaurisce in esse. Queste, anzi, potettero sussistere solo grazie alla
qualità teologale della sua vita. Era davvero "l'uomo di Dio" tutto
proteso verso di Lui; Dio, a sua volta, era nell'intimo del suo Servo fedele:
la sua forza, la sua luce, la ragione unica del suo essere ed operare. Se qualcuno
continuerà a valutarlo prescindendo da questo rapporto, continuerà pure a non
capirlo e a diffonderne un'immagine irreale. E' un rapporto, del resto,
che traspare da tutte le sue scelte: non solo, e sono le più importanti, da
quelle decise sul soglio di Pietro, ma anche da quelle anteriori, queste pure
colme dello stesso significato. Sono le scelte che hanno in Dio il loro senso e
la loro motivazione. Sì, la loro causa immediata, che forse sarebbe meglio
chiamare occasione, è riconoscibile nei gravi problemi che Pio IX dovette
affrontare, nelle non facili relazioni interne ed esterne della Chiesa, nelle
mire nemmeno tanto coperte del mondo massonico ed anticlericale, ma la causa
profonda è quella che tutto riconduceva a Dio e alla "pietas" filiale
del novello Beato verso di Lui.
Non posso
terminare questo paragrafo senza accennare, almeno di sfuggita, ad un'altra
componente della sua spiritualità: la direzione delle anime. Figurano tra
queste molte religiose: Sr. Castellano di Spoleto, Sr. Rosa Felice Mayer di
Fognano, Sr Maria Nazarena Zampieri di Santo Stefano in Imola, Sr. Chiara
Teresa del Sacro Cuore di Maria di Montefalco. E tante altre ancora.
Logicamente, tale direzione non si fermò alle Religiose. Erano i virgulti del
giardino di Dio, dovunque si trovassero, ad esser da Lui coltivati. Giovani,
seminaristi, preti, personalità insigni o no, trovarono nella persona del
Mastai il "cultore" illuminato e pio. Il fatto è che il Santo
comunica sempre, per via diretta o per le articolazioni misteriose della
Comunione dei Santi, i segreti e i benefici della santità. E Pio IX, in codesta
comunicazione, si distinse egregiamente.
3 - La
Causa di Beatificazione
Ufficialmente
ebbe inizio nel 1907 e terminò nel 1999 con la lettura del decreto
d'approvazione del miracolo attribuito all'intercessione del Ven. Servo di Dio
Papa Pio IX. In seguito alla sua beatificazione, s'apre un'altra fase, l'ultima
o della canonizzazione, che gli darà il titolo di Santo.
Dopo che quattro cardinali (Pietro Parente,
Sergio Guerri, Umberto Mozzoni e Pietro Palazzini) il 6 novembre 1973
inoltrarono una supplica al papa Paolo VI perché disponesse la ripresa della
causa, il promotore generale della Fede P. Pérez Femandez, sollecitato ancora
dai card. Palazzini e Parente, fece conoscere le 13 obiezioni emerse durante le
sedute antepreparatoria e preparatoria; era il 15 aprile del 1974. La
postulazione nominò allora un nuovo Patrono nella persona dello svizzero avv. Carlo Snider
il quale, il 7 ottobre 1984, presentò una risposta esauriente ed ineccepibile,
anche sul piano metodologico, ad ognuna delle 13 obiezioni.
Poté aver luogo
allora la terza congregazione, quella generale, che 1'11 dicembre 1984 si
pronunciò affermativamente sul quesito: "Se consti che il Servo di Dio
Giovanni Maria Mastai Ferretti papa Pio IX abbia esercitato in grado eroico le
virtù teologali della Fede, della Speranza e della Carità verso Dio e verso il
prossimo; le virtù cardinali della Prudenza, della Giustizia, della Temperanza
e della Fortezza; nonché le virtù con esse collegate". Avutane risposta
affermativa, il Santo Padre Giovanni Paolo II ordinò allora il decreto
sull'eroicità delle virtù che, firmato dal Card. Palazzini, prefetto della
Congregazione per le cause dei Santi, e da S. E. Mons. Traiano Crisan,
segretario, fu reso di pubblica ragione il 6 luglio 1985. Da quel momento il
Servo di Dio Pio IX era di fatto e di diritto insignito del titolo di
"Venerabile".
Non era ancora,
però, "Beato". Le cose, tuttavia, se pur lentamente s'avviarono verso
l'epilogo da tutti sperato. I1 15 gennaio 1986 la Consulta medica della
Congregazione per le cause dei Santi attestò l'inspiegabilità naturale e
scientifica della guarigione di Sr. Marie-Thérèse de St-Paul, carmelitana di
Nantes, la quale si dichiarava miracolosamente (cioè d’improvviso,
completamente, senza ricadute né uso di farmaci) guarita da grave malattia
ossea.
Quando tutto
pareva ormai pronto, un nuovo sussulto di scrupolosità portò alla costituzione
(nel 1987) d'una nuova speciale commissione di 7 membri, che avrebbero dovuto
pronunziarsi sull'opportunità della beatificazione. Al termine della
quarta seduta, la commissione passò alla votazione: 5 membri di essa furono per
il si, uno per il si con riserva ed uno solo nettamente negativo.
Bastò questo per bloccare di nuovo, se pur momentaneamente, la felice
conclusione d'un iter quasi centenario.
Finalmente il
21 dicembre 1999 papa Wojtyla promulgò il decreto sul miracolo di cui sopra e,
successivamente, stabilì il giorno tanto atteso della beatificazione: il 3
settembre del 2000,1'anno del Grande Giubileo.
Iter concluso? Come ho detto, quello della beatificazione ne apre
un altro che si concluderà, a Dio piacendo, con la canonizzazione.
BRUNERO GHERARDINI
Pio IX vegliardo
Foto
di Enrico Battista Canè, 1877.
Dall'album
conservato nel Museo Pio IX al Palazzo Mastai di Senigallia
PER UN APPROFONDIMENTO DELLA BIOGRAFIA E
DELL’OPERA DEL PAPA PIO IX
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