In un pomeriggio dell’anno 1393, la mamma
di san Giacomo, ancora incinta di lui, si recò, come quasi ogni giorno, a
coltivare l’orticello nei declivi sottostanti al paese e a raccogliervi delle
verdure per la cena.
Ma... che fu, che non fu, il tempo passò
senza che ella se ne accorgesse e le guardie del castello chiusero le porte
secondo il rigido costume castellano e... “chi era dentro era dentro e... chi
era fuori era fuori”.
La legge del castello era uguale per tutti
e per tutti inarrendevole. Con il suono dell’ora di notte, dato dalla campana
della torre, si iniziava il coprifuoco e ciascuno doveva rientrare entro le
mura.
Mamma Antonia, accortasi del ritardo, pur
con passo affrettato non riuscì a giungere in tempo e, arrivata di fronte al
portone, se lo trovò regolarmente sbarrato.
Bussare, piangere, protestare... a che
sarebbe servito?
Essa viveva momenti di ansia per sé, per
la sua famiglia in attesa della cena, per il bambino che portava in seno.
Non restava che rassegnarsi a trascorrere
la notte sotto le stelle! Assorta in questi pensieri, pregava il buon Dio che
le offrisse il suo aiuto, quando, voltandosi verso la campagna, le sembrò di
veder venire verso di lei, da lontano, come in dissolvenza, tra nubi di polvere
d’argento, due bianchi cavalli guidati da due bianchi cavalieri riccamente
adornati di scintillante armatura. Ambedue avanzavano con tanta nobiltà e in
pochi momenti se li vide vicino, uno di qua e l’altro di là dei lati del ponte
levatoio.
Smarrita per la inconsueta visione, si
indagò rapidamente se quello fosse mai un sogno o un’allucinazione -si sentiva,
infatti, tanto stanca e con tanta fame e sete- e pregando, dal di fuori del
portone, la Madonna del Ponte, che tutt’ora si venera nello stesso posto di
allora, le chiese di usarle misericordia; e, come stringendosi in se stessa e
facendosi il segno della santa croce, si accostò ad uno degli stipiti
dell’immane portone come per lasciarli passare, quasi desiderando che il muro
si rendesse arrendevole e le facesse spazio per nasconderla.
Ma ecco che mentre stava tutta raccolta
in sé e timorosa di essere calpestata dagli zoccoli dei cavalli, i due
cavalieri rallentarono l’andamento e con sorridente gesto di squisita
nobiltà le si inchinarono innanzi con
tanta cavalleria. Dietro al gesto dei cavalieri, anche i cavalli chinarono il
capo fino a terra, sostarono alquanto e si rialzarono con leggero nitrito.
Mamma Antonia, allora, alzando
timidamente gli occhi come per ringraziarli di tanta cortesia, volta verso il
portone si accorse che le sue due parti, come sospinte da mani invisibili, si
stavano aprendo lentamente. Sorpresa dell’avvenimento, diede appena uno sguardo
intorno come per assicurarsi se fosse nel mondo della realtà, si alzò rapidamente
e, senza neppur respirare, attraversò il portale come una regina avvolta di
sogno e di fantasia, dirigendosi velocemente verso la sua casetta, ringraziando
in cuor suo chi l’aveva liberata da guaio sicuro.
Chiusa la porta, appoggiò la verdura sul
tavolo della cucina, si assettò i capelli, si mise lo zinale e, in pochi
minuti, pane, verdure, olive, alici, acqua e vino erano pronti sul tavolo per
la cena.
Da ogni parte sbucarono tutti i
diciassette fratelli che avevano tanta fame e tanta sete e si accomodarono
negli sgabelli attorno alla tavola; poi venne babbo Antonio, iniziò la
preghiera e tutti, ignari di quanto era accaduto, mangiarono spensieratamente.
Ma mamma Antonia no, non mangiò. Aveva il
cuore gonfio di emozione e, preferendo star seduta nel cantuccio del camino,
andava pensando tra sé: “Che senso hanno questi fatti? e... chi saranno mai
stati i due cavalieri? e... che sarà mai di questo mio bambino?”.
Per molto tempo nessuno seppe nulla del
fatto.
Poi, un giorno, si confidò con un’amica.
Questa lo disse ad un’altra.
Bastò questo perché tutto il paese lo
sapesse.
Se ne parlò per molto tempo e tutti
furono convinti, e lo sono anche oggi, che quei due cavalieri non erano altri
che i due Angeli Custodi: quello di mamma Antonia e quello del piccolo
Domenico.