Per poco che si allunghi lo sguardo verso
il retroterra dove la cinta dei monti Sibillini incornicia le Marche, tra le
varie cime che si disegnano nell’azzurro del cielo e toccano le nubi, c’è anche
il monte dell’Ascensione.
Per la sua vicinanza alla città di Ascoli
e per la sua accessibilità, serviva e serve molto bene alla organizzazione di
gite forse proprio in occasione di quella festività religiosa e probabilmente
l’origine del nome si deve a questa consuetudine.
Ma poi, anche se non fosse per questo
motivo, ogni monte si presta ad una ascesa; e sia che permetta di dimostrare
capacità da rocciatori, sia che ti faccia restare nel ruolo di semplici
turisti, ogni monte che si eleva al cielo è un’ascensione sia nel senso fisico
sia nel senso spirituale.
E questo lo conoscevano molto bene i
boscaioli delle località limitrofe; ma per loro il monte non era tanto
un’occasione di gite, quanto una sede di lavoro. Lavoro duro e pesante per
segare e trasportare legna da bruciare; faticoso e sporco nel fare il carbone;
delicato e rischioso nel selezionare i legnami destinati ai lavori.
Ma, a volte, sorgevano difficoltà e, tra
queste, quelle che più temevano i boscaioli erano il fuoco e la siccità.
Il fuoco si poteva spegnere; ma, se
l’acqua non c’era, come fare? Se le sorgenti si essiccavano, essi e gli animali
soffrivano e i frutti si rifiutavano di giungere a maturazione.
Erano molti mesi che il cielo non mandava
più la pioggia, e tutto sembrava congiurare contro di loro e la loro fatica;
essi si innervosivano, imprecavano, diventavano cattivi e qualcuno giungeva
perfino a bestemmiare il cielo.
Ma un giorno uno dei boscaioli ebbe
un’idea: a che prò innervosirsi, imprecare, bestemmiare? Forse che... bestemmiando,
l’acqua sarebbe venuta dal cielo? Forse che essi e gli animali non avrebbero
più sofferto la sete? Forse che i frutti si sarebbero maturati?
Certamente no.
Allora, dopo averci pensato su, cambiò
sistema: avendo sentito dire che proprio lì, nella loro terra, a pochi
chilometri di distanza, c’era un santo che il cielo aveva mandato tutto per
loro, lo volle invocare. Cadde in ginocchio in mezzo alle foglie umide e pregò:
“San Giacomo, aiutaci!”.
Lo stesso fecero la moglie e i figlioli.
Poco dopo si aggiunsero alcuni colleghi;
poi altri, poi altri ancora.
Solo qualcuno scrollò la testa e accennò
ad un sorriso di dubbio.
Ma lì, nel gruppo, tutti credettero e
pregarono sul serio.
Poi, giunta la sera, tutti si chiusero
nelle loro capanne e cominciarono a dormire.
Ma ecco che verso le ore più buie, quando
nessuno ci pensava più, cominciarono a sentirsi alcune folate di vento e dei
tuoni che venivano da lontano e, poco dopo, dagli spiragli delle finestre di
tavole e di lamiere, entravano gli sprazzi intermittenti dei lampi.
Qualcuno si impaurì e si rannicchiò sotto
le coperte.
Non passò molto tempo che le stelle
furono coperte dalle nubi, l’aria cominciò ad agitarsi e, finalmente, ecco la
sospirata pioggia che cominciò prima a ticchettare sulle foglie e bussare sui
tetti con timidezza, come per farsi avvertire, e poi a cadere giù con tutta
libertà per tutta la notte e su tutta la regione.
Quei legnaioli, il giorno dopo,
commentando il fatto piuttosto inconsueto, dicevano l’un l’altro: “San Giacomo,
che conosceva il peso del lavoro, questa volta ci ha ascoltato”.
Il raccolto che seguì fu un segno
visibile del risultato di una preghiera fatta con fede.