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       Che le acque di un fiume possano essere curative per le loro qualità sulfuree, arsenicali, ferruginose, magnesiache, salsoiodiche, o salsobromoiodiche, come a Fiuggi, a Montecatini, a S. Vittore, a Baden o in altre cento località della terra, è una cosa ben nota.

       Tante, infatti sono le persone che, affette da disturbi, ogni anno accedono alle varie località per curarsi con i mezzi naturali che il buon Dio ha messo a disposizione di tutti.

       Ma che le acque di un fiume ridestino il buon umore, creino allegria, destino il riso in coloro che vi si bagnano e rendano tutti ridanciani a non finire, questo non si è mai udito al mondo.

       Eppure san Giacomo ottenne proprio questo.

       Stando il Santo nella terra di Bosnia, notò con vero rammarico come la popolazione di quei luoghi, caduta in povertà per la carestia, le malattie e le invasioni, fosse molto abbattuta e a nulla valsero le sue parole di incoraggiamento, i suoi inviti alla fiducia nel Padre di tutti che sta dappertutto.

       A considerare bene le cose, i guai c’erano stati e c’erano ancora: la mancanza di pioggia, il deperimento delle coltivazioni, la morte degli armenti, la perdita degli uomini migliori nelle imboscate tramate dai Turchi, la lontananza di tanti giovani e ragazzi presi come ostaggio e che nessuno riusciva a riscattare, le case o abbattute o incendiate, le malattie che sempre si affacciavano nelle famiglie e non si potevano curare per la penuria di medici e di medicine, la mancanza di denaro, di legna, di vesti, di pane. Tutto ciò dava veramente adito a tanta tristezza.

       Un giorno il nostro Santo, conosciuto questo stato di cose, convocò la popolazione nel bosco del convento, la fece sedere all’ombra, diede ad essa una buona merenda, e poi tenne un breve ma succoso discorso, esponendo soprattutto tre argomenti: la fiducia nella Provvidenza, la necessità di riacquistare la serenità e l’urgenza di rifiutare un male che dipendeva da essa e che nessuna medicina avrebbe guarito, cioè l’avvilimento.

       “L’avvilimento, spiegò, è uno stato di abbattimento e di prostrazione che toglie ogni energia, distrugge lo spirito di iniziativa, degrada i valori morali e asservisce la personalità.

       L’avvilimento non giova a nessuno e non fa altro che accrescere il male che già c’è...”.

       Bastarono queste poche parole di verità che, accolte con gioia, rinfrancarono l’animo di tutti.

       Tutti emisero un profondo respiro di sollievo, “...e poi, concluse il Santo, se avrete fiducia, il Signore Iddio onnipotente saprà ridonarvi la felicità..., voi lo vedrete!”.

       Prese due torce, un secchiello di acqua benedetta che affidò a dei ragazzi, e andando avanti a tutti e portando una croce, aprì una improvvisata processione.

       Tutto il popolo lo seguiva per la campagna pregando con la fede di chi ha dentro tanto dolore e povertà.

       Giunti sul greto del fiume che passava poco distante, il Santo si fermò e, con lui, si fermarono tutti.

       Allora aprì la Sacra Scrittura e lesse alcune espressioni:

       “Io sono stato inviato qui per benedire; non posso rifiutare la benedizione”.

       Dopo alcune parole di commento sulla sua missione di apostolo, mandato a portare conforto alle genti, lesse un altro passo:

       “...ogni cosa creata da Dio è buona, e nessuna è da rigettarsi...”.

       Spiegò loro i disegni di Dio nella creazione, nella redenzione e nella santificazione e invitò tutti a ringraziarlo per i tanti doni di cui siamo circondati; e, indicando il fiumicello ai loro piedi, magnificò il dono dell’acqua, i suoi benefici, il suo simbolismo, il valore che ha nella chiesa che se ne serve come mezzo sensibile per impartire il battesimo; e, rievocando la grande epopea del popolo ebraico che passò il fiume a piedi, pieno di letizia in Dio espose come la sua benedizione, la benedizione di Dio, li avrebbe inondati come un fiume di felicità.

       Allora, parlando ancora della bontà di Dio, li invitò ad attingere con gioia alle acque perenni della fonte del Salvatore e diede loro la benedizione che si legge nel Libro dei Numeri  dicendo: “Il Signore vi benedica e vi custodisca; il Signore vi mostri il suo volto e abbia misericordia di voi; il Signore vi guardi e vi dia pace”.

       Poi li licenziò, lasciando nel loro animo una grande pace.

       Chi dei presenti poteva pensare che cosa significasse mai quella funzione così improvvisata e quel discorso così denso di mistero?

       Pieni di serenità, tutti tornarono alle loro case e non ci pensarono più.

       Ma quando dopo qualche giorno i bambini e i giovani si recarono a prendere il bagno in quel fiumicello, si sentirono così risanati ed euforici, così pieni di voglia di ridere e di scherzare da non poter contenere la loro allegria.

       La notizia si diffuse rapidamente e, dopo pochi giorni, tutti: cristiani, maomettani, pagani ed eretici in mezzo a quelle acque benedette trovarono salute per il corpo e buonumore per lo spirito.

       Il fiumicello, chiamato in lingua slava Radovan, cioè fiume delle acque letificanti (in latino laetabundus), porta anche oggi il nome del grande monteprandonese: Fiume del beato Giacomo della Marca.

 

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