Siena, in Toscana, è una delle più belle
città d’Italia, dove l’arte, la fede, l’educazione, il sapere e lo spirito del
bello hanno sempre costituito la costante direttiva di ogni attività.
Dall’alto della sua posizione di
prestigio ha dominato e domina una vasta cerchia di interessi e a nessuno
poteva sfuggire il suo fascino.
San Bernardino Albizeschi e santa
Caterina Benincasa sono i suoi due luminosi figli, nati dal popolo e saliti
alle alte vette dello spirito.
Né il fascino di tale città poteva
sfuggire ai francescani, ammiratori nati del bello, del buono e del santo e fin
dai tempi antichi vi presero stanza in un modesto convento di malta e sassi,
detto de La Capriola . Ma nella loro povertà seppero portare a tutta quella
gente (definita peraltro “botoli furiosi” da Dante -ma a lui era lecito lasciar
dire!-) tutto quello che è il patrimonio della spiritualità.
San Giacomo e san Bernardino, amici per
la pelle, si ritrovarono spesso in questo conventino dove la serenità, la pace,
il silenzio e la preghiera erano gli elementi costitutivi di quella comunità di
frati.
Questo modo di vivere non sfuggì alla
gente che si chiedeva come potevano vivere tutti quei frati, forse erano una
dozzina, essendo poveri davvero.
Or avvenne che un giorno, come suol
avvenire in tante parti del mondo, una pia signora, specialista nel fare certi
dolci, volle farne omaggio “ai suoi fraticelli”, diceva. Li aveva confezionati
con le proprie mani ed era sicura che erano una specialità perché di certo non
le sarebbe piaciuto fare una brutta figura, specialmente di fronte ai due più
grandi predicatori del tempo.
Volendo donarli essa stessa, si avviò per
la strada che conduce al convento, e, strada facendo, incontrò proprio i due
frati che cercava, frate Bernardino e frate Giacomo.
Alla vista dei due santi sacerdoti, fece
un inchino profondo, baciò loro la corda e provò a dire alcune parole: “Cari
padri, io... con le mie mani ho confezionato questi piccoli dolci per voi e per
tutti i frati del convento. Ho fatto del mio meglio e spero che siano venuti
bene. Vi ringrazio se li gradirete...” e così dicendo glieli consegnò e fece
per ritornare in paese; ma fatti pochi passi, si voltò e disse: “...voi siete
santi, fate una preghiera per me...!”.
Il fagotto, che era alquanto pesante, fu
diviso e Bernardino e Giacomo portarono tutto in convento.
Lungo la via “Come faremo”, diceva san
Giacomo, uomo severo e inflessibile giurista, ligio alla regola, “come faremo,
oggi è venerdì e non è bene mangiare questi dolci mentre abbiamo in mente il
ricordo della Passione del Signore; per domani, essendo fatti con la ricotta,
si guasteranno. Diamoli ai poveri, perché a noi questi dolci non convengono
perché siamo uomini di penitenza e poi, questo è un cibo superfluo... diamoli
al padre guardiano, ci penserà lui...”.
Come si vede, Giacomo era un carattere
molto rigoroso.
Bernardino era all’opposto e ascoltava in
silenzio e sembrava proprio non condividere l’opinione di frate Giacomo; lui
era molto allegro e liberale e non guardava troppo alle leggi, specialmente
certe leggi, e giunto in convento, ridendo come non mai, suonò il campanello,
chiamò tutti i frati e senza attendere l’ora del pranzo o badare al venerdì,
disse soltanto poche parole sulla perfetta letizia e “...Ovvia, mangiate
fratelli, mangiate questi dolci che una santa signora ha confezionato per noi,
per oggi. Anche con un piccolo dolce in bocca si può osservare il venerdì e
pensare alla Passione del Signore...” e così dicendo ne prese alcuni e cominciò
proprio lui a mangiarne per primo.
Poi guardò il volto un po’oscurato di
frate Giacomo e “Allegria, allegria, padre Giacomo” gridava mangiando e ad alta
voce: “Ringraziamo il Signore, alleluja!”.
A questa uscita di Bernardino, Giacomo
sentì sciogliersi la propria severità, sorrise, disse: “Va bene, va bene!” e si
unì a tutti, mostrando che anche lui gradiva quel dolce, frutto della carità.
Questo episodio ci mostra come due
caratteri ben diversi come quello di san Bernardino e quello di san Giacomo si
possono ben armonizzare quando i vincoli che uniscono sono la stima reciproca e
la carità a... mille gradi.
Ne parlò tutta
la città.
Nello stresso convento avvenne un altro
episodio che sa davvero di leggenda.
Il nome del frate ortolano era frate
Pietro.
Nella sua qualità di fratello laico non
poteva andare a predicare come i suoi due illustri compagni, ma amava Dio e
serviva i fratelli proprio come diceva san Francesco “servirsi vicendevolmente
in umiltà”.
Nella sua lunga permanenza in quel
convento de La Capriola aveva piantato una modesta vigna; ma, si sa, la vigna
va custodita con attenzione e frate Pietro queste attenzioni non gliele negava.
Un giorno che frate Bernardino e frate
Giacomo si trovarono insieme e videro frate Pietro alle prese con grossi
forbicioni per potare, vollero cimentarsi anch’essi in quel lavoro.
San Bernardino era un raffinato cittadino
e per di più letterato e chiedeva in continuità: “Pietro, come si taglia qui?
come si taglia qua? dove si ferma questo vitigno? e quest’altro? come si fa ad
annodare i rami? ecc. ecc.”.
San Giacomo, paesano, uomo di legge e di
carattere duro, stava a guardare e ridacchiava. A volte rispondeva al posto di
frate Pietro e diceva: “Si fa così, si fa cosà; taglia in quel punto, ferma
quel ramo” e notava che in certe cose il maestro non sapeva proprio
districarsi. San Giacomo, invece, pur non essendo coltivatore diretto, era
pratico delle cose di campagna e ci si trovava a più agio.
Poco più avanti c’era frate Pietro che
non sapeva di lettere né di diritto, ma solo un po' di vita pratica per i
lavori casalinghi. Sapeva però ascoltare i discorsi dei due grandi compagni che
aveva accanto e li seguiva con occhi da birbone, guardando ora l’uno ora
l’altro.
Quando essi si allontanorono di qualche
passo, egli parlando tra sé e sé in modo che essi sentissero le parole ma non
comprendessero, andava dicendo: “Ohi! e che lavoro è mai cotesto? qui si doveva
tagliare così; qui si doveva tagliare qua; qui bisognava girare il ramo
all’insù; qui è stato tagliato il ramo buono e si è lasciato il cattivo; ohi!
che questa vite non darà mai un grappolo d’uva; si vedrà a settembre...” e così di seguito.
Frate Bernardino e frate Giacomo
discutevano tra di loro e non comprendevano quello che frate Pietro andava
dicendo.
Giunti alla fine del lavoro, i due
reggitori della sorte dell’Ordine francescano, sicuri di aver fatto un buon
servizio, felici e sorridenti si rivolsero a frate Pietro dicendo: “Frate
Pietro, che te ne pare? non siamo anche noi dei bravi potatori?”.
Frate Pietro li guardò, sorrise e
dondolando la testa disse: “Lo si vedrà, lo si vedrà a settembre; come
predicatori siete bravissimi e vi bacio la mano; ma come potatori, siamo
sinceri, siete voi che dovete baciare la mano a me”.
Tutti e tre esplosero in una sonora
risata.
Pur senza tanti libri in testa, frate
Pietro aveva vinto la gara.
Così si racconta in quel di Siena.
Verità o leggenda?
Nell’uno e nell’altro caso, tutto è
bellissimo.