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       È tradizione che all’età di circa sedici anni Giacomo si recasse a garzone presso qualche contadino per guadagnarsi qualche cosa per vivere e per aiutare la sua numerosa famiglia.

       Il contadino presso il quale prestava servizio aveva un terreno scosceso, posto a metà strada tra il paese e la via Salaria; ed essendo nel periodo dopo la mietitura, la terra era molto dura, resa ancora più dura per la mancanza di piogge. Il caldo affocante del luglio monteprandonese metteva a dura prova la sua e la resistenza dei buoi che guidava, i quali per la grande arsura di quell’anno mettevano muggiti così profondi e rumorosi che sembravano uscire da lontane caverne. A ben poco servivano gli incitamenti del garzoncello che, a volte, usava abbondantemente anche la frusta; ma quando non ne potevano più si fermavano e non c’era modo di farli muovere, e dai grossi occhi rotondi e languidi sembravano implorare pietà.

       Allora sospese il lavoro, si guardò attorno e, tergendosi il sudore, si avviò verso il fossato, anche oggi detto Fosso san Mauro, per vedere se ci fosse almeno un secchio d’acqua. Ma dell’acqua neppure l’ombra; il fossato era in secca completa. Che fare? Ritornare alla casa del contadino? Ma anche nella vasca presso la casa l’acqua non c’era e si sarebbe sentito forse anche una solenne ramanzina. Andare fino al fiume Tronto? Ma era troppo lontano e poi tra l’andare e il tornare ci sarebbero volute due ore e più e al ritorno le bestie avrebbero avuto sete di nuovo!

       Allora, liberandole dal giogo e dall’aratro, le condusse all’ombra di una grossa quercia per farle riposare e mentre stavano ruminando, egli si sedette lì accanto per riposarsi anche lui a quell’ombra benedetta. Ma il riposo non lo faceva consistere nello stare inoperoso e mentre mangiucchiava un po' di pane, estrasse dalle tasche un libriccino. Lo aprì a caso e vi lesse un episodio che parve dargli tanto conforto:

       “Francesco -diceva il testo- (si parla di san Francesco d’Assisi), voleva un giorno recarsi ad un eremo per dedicarsi più liberamente alla contemplazione; ma poiché era assai debole, ottenne da un contadino di poter usare il suo asino.

       Si era d’estate e il campagnolo che seguiva il Santo per i sentieri di montagna, era stanco morto per l’asprezza e la lunghezza del viaggio. Ad un tratto, prima di giungere all’eremo, si sentì venir meno riarso dalla sete. Si mise a gridare dietro al Santo, supplicandolo di aver misericordia di lui, perché senza il conforto di un po' d’acqua sarebbe certamente morto.

       Il Santo, sempre compassionevole verso gli afflitti, scese dall’asino e, inginocchiato a terra, alzò le mani al cielo e non cessò di pregare fino a che non si sentì esaudito. "Su, in fretta, disse al contadino, là troverai acqua viva che Cristo misericordioso ha fatto scaturire ora dalla roccia per dissetarti".

       Mirabile compiacenza di Dio che si piega così facilmente ai suoi servi!

       L’uomo bevve l’acqua scaturita dalla roccia per merito di chi pregava e si dissetò alla durissima selce. Non vi era mai stato in quel luogo un corso d’acqua, né si trovò dopo per quante ricerche siano state fatte.

       Quale meraviglia se un uomo di Dio, ripieno di Spirito Santo, riunisce in sé le opere mirabili di tutti i giusti?

        Non è certo cosa straordinaria se ripete azioni simili a quelle di altri Santi chi ha il dono di essere unito a Cristo per una grazia particolare”.

       Il brano era tratto dalla vita di san Francesco che Domenico già da tempo stimava ed amava e sognava già di seguire iscrivendosi nella sua milizia.

       Anche lui in quel momento aveva bisogno di qualche cosa di simile e si veniva augurando in cuor suo di trovare un simile soccorso. Con questi pensieri si alzò, prese l’arella, cioè un raschiello, e cominciò a liberare il vomere da erbacce e sterpi che vi si erano intricati ed ecco che, in un momento, dando con l’arella un colpo più forte, questa toccò a terra e l’aprì alquanto e... sì, era proprio vero, nella piccola buca vide una certa strana umidità che andava allargandosi pian piano; sì, era proprio una polla d’acqua sorgiva. Pieno di sorpresa e di contentezza gridava di meraviglia e si guardava d’intorno per partecipare il sorprendente episodio a qualche eventuale passante; ma mentre si tratteneva in questi pensieri, ecco l’acqua farsi abbondante talmente che si aprì subito un piccolo rigagnolo per andare poi a raccogliersi in un vicino avvallamento del terreno.

       Pur passando tra la terra, era limpidissima; ne prese a giumelle, la sentì buona, la gustò, si dissetò; vi condusse anche i suoi buoi che bevvero a sazietà e poterono proseguire il loro lavoro senza più alcuna stanchezza.

       Tanta fu la gioia che provò che il giovane non riuscì a stare zitto.

       Lo disse a tutti.

       E tutto il circondario si precipitò a sentire quell’acqua che fu trovata così buona da essere particolarmente ricercata.

       Quando Domenico, che si chiamò poi Giacomo, salì alla gloria degli altari, la gente si ricordò del fatto e quella fonte prese il suo nome: la “Fonte di san Giacomo”.

 

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