QUATTRO CASTELLI UN COMUNE |
(tratto dal libro FALCONARA - Storie e immagini, di Giuseppe
Campana, Giorgio Marinelli, Gilberto Piccinini, Sirio Sebastianelli) |
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Le origini |
Il territorio che oggi costituisce il Comune di Falconara
Marittima è stato oggetto di insediamenti umani fin dalla preistoria |
Armi ed utensili in pietra del neolitico sono stati ritrovati
a Barcaglione, secondo quanto riferiscono Ciavarini, Bevilacqua e De Bosis
nella Guida illustrata di Ancona, pubblicata nel 1870: i reperti sono
tra quelli andati dispersi a causa dei danni bellici subiti nel 1944 dal
Museo Nazionale delle Marche di Ancona, che aveva allora la propria sede
nell'ex convento di S. Francesco alle Scale. |
Di recente sono stati segnalati ritrovamenti di materiale
fittile, punte di lance, asce in pietra, oggetti in osso lavorato in terreni
di Falconara Alta e Castelferretti. |
Documentato è anche il rinvenimento, a Falconara Alta, di un
frammento di martello-ascia appartenente alla civiltà eneolitica. |
La presenza, poi, di un abitato piceno a Falconara Alta è
stata segnalata dalla prof. Delia Lollini, Soprintendente archeologo per le
Marche, in una pubblicazione del 1977. |
Dell'epoca romana resta la cisterna in località Tesoro, forse
parte di un acquedotto o deposito per le acque di una vicina villa patrizia:
tutto il complesso è riferibile al primo secolo d.C. |
Nello stesso luogo sono stati frequenti, in passato, i ritrovamenti
di tombe mentre è possibile anche oggi osservare tratti di selciato di strada
e rinvenire, sparsi per la vicina campagna, frammenti di anfore, tessere di
mosaico per pavimenti, tegole per lo scolo delle acque. |
Nel castello di Falconara, durante i lavori di restauro, sono
venute alla luce opere in muratura, oggi visibili attraverso lastre di vetro,
che si fanno risalire ad epoca romana. |
A Castelferretti, alcuni ruderi situati nei pressi del ponte
di S. Sebastiano, lungo il Fossatello, farebbero pensare ai resti di
un ponte romano, mentre è documentato il ritrovamento di monete romane
avvenuto in terreni dello stesso paese. |
Nel mare di fronte a Palombina Vecchia, a circa duecento metri
dalla linea di spiaggia ed in corrispondenza del casello ferroviario, è stato
infine localizzato, nel 1970, il relitto di una nave romana, su segnalazione
del Centro di Attività Subacquee di Ancona. |
A cura della Soprintendenza archeologica per le Marche sono
stati parzialmente recuperati alcuni campioni delle ordinate e del fasciame
della nave nonchè alcune anfore del carico, che oggi fanno parte delle
collezioni del Museo Nazionale delle Marche. |
L'apertura di alcuni scavi, la prosecuzione degli studi, sia
generali che in particolare sulla viabilità marchigiana, potranno gettare un
pò più di luce sulla localizzazione e sulle origini degli insediamenti che
hanno determinato la nascita e lo sviluppo della città. |
Allo stato attuale delle ricerche è opportuno fissare un punto
d'inizio, più convenzionale che reale, delle vicende storiche cittadine,
identificandolo nella costruzione dei castelli di Falconara, Barcaglione,
Rocca Priora e Castelferretti. |
Il castello sorge, com'è noto, con compiti di difesa di un
determinato territorio in posizioni, altura, guado o riva ad esempio, che ne
fanno un'opera strettamente collegata ed integrata con l'ambiente
circostante. |
Nel castello si riparano, per ottenere la protezione del
signore del luogo in caso d'invasione, i contadini fuggiti dalla campagna
circostante con le famiglie, le provviste, il bestiame. |
Con la edificazione dei quattro castelli, che hanno origini e
storie diverse tra loro, anche nel falconarese si costituiscono delle
comunità che, proprio all'ombra della relativa sicurezza offerta dalle
fortificazioni, iniziano a lavorare, produrre e ad intessere quei rapporti
sociali ed economici che porteranno, attraverso varie vicende, alla
formazione del Comune di Falconara Marittima. |
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I castelli |
FALCONARA. Presso l'archivio della chiesa di S. Giovanni
Battista di Ancona è conservato un documento che riporta la denominazione di
una località che potrebbe coincidere con l'odierna Falconara Alta, il nucleo
originario di Falconara. |
Si tratta del cosiddetto Privilegio Magno, rilasciato
dal papa Innocenzo IV nel 1252 ai monaci del monastero di S. Giovanni
"in Peneclaria", in cui si nomina un fundus falconarie. |
Tale documento, che conferma ai monaci il possesso di alcuni
beni, richiama due precedenti pergamene del 1051 e del 1188. |
Nelle Rationes Decimarum degli anni 1290-1292 sono
riportati alcuni pagamenti di decime effettuati ad una chiesa di S. Marie
Montis Falconarii, che può essere identificata con l'odierna chiesa di S.
Maria delle Grazie. |
Ma il momento fondamentale, e che diede origine in qualche
maniera al centro abitato di Falconara, è la costruzione del castello. |
Sull'epoca di edificazione si possono fare solo delle ipotesi:
tuttavia alcuni documenti successivi fanno ritenere, con fondamento, che
anche a Falconara, attorno all'anno Mille, esisteva una piccola comunità
rurale soggetta ad un feudatario ed organizzata secondo gli schemi
dell'economia curtense. |
E' ormai d'uso accettare la tradizione, accolta da quasi tutti
gli storici anconitani, secondo cui la costruzione del castello fu opera dei
conti Cortesi, discendenti di un condottiero germanico giunto in Italia con
Belisario nel secolo VI, al tempo delle guerre tra Bizantini e Goti. |
I Cortesi entrarono in possesso di terre nei dintorni di
Ancona dove edificarono, in tempi successivi, i castelli di Falconara, Varano
e Sirolo. |
Il loro stemma era un falcone coronato con le ali aperte dal
mezzo in su e, dal mezzo in giù, con le gambe torte all'indietro. |
Tale tradizione si rifà alla storia redatta da Pietro
Graziani, vissuto sul finire del Quattrocento e marito di Diana Cortesi,
discendente della nobile famiglia. |
Il documento è conservato, in copia redatta nella seconda metà
del Cinquecento dal cancelliere Francesco Maria Beldoni, presso l'Archivio
storico comunale di Ancona. |
Ma già il Peruzzi, nel secolo scorso, ha messo in dubbio la
narrazione del Graziani per la presenza di alcuni elementi leggendari ed
inconciliabili con le reali vicende storiche del tempo. |
Occorre poi dire che non erano infrequenti, nei secoli
passati, i tentativi di accreditare con scritti e memorie, che spesso
risultavano frutto di fantasia, le nobili origini di ricche famiglie. |
Così può essere stato anche con i Cortesi. |
A questo proposito vogliamo ricordare che Bartolomeo Alfeo,
umanista del Cinquecento ed autore di una storia di Ancona, metteva in
relazione la fondazione di Falconara con la calata in Italia di Brenno,
condottiero dei Galli, avvenuta alla fine del IV sec. a.C. |
Sempre secondo l'Alfeo dopo la sconfitta di Brenno da parte di
Furio Camillo, tre fratelli Cortesi si sarebbero fermati nell'agro piceno ed
uno di essi, il minore, avrebbe fatto edificare il castello di Falconara
"molto ampio e bello et nominandolo dal nome suo, chiamandosi M.
Falcone". |
In epoca più recente il racconto del Graziani è stato
riesaminato dal Canaletti-Gaudenti, il quale afferma che l'origine germanica
del capostipite dei Cortesi non deve meravigliare, in quanto non erano così
rari i casi in cui popoli germanici fossero alleati dei Bizantini. |
Gli stessi Goti superstiti dopo la disfatta subita nel 552
erano rimasti alle dipendenze dell'impero di Bisanzio come soldati mercenari. |
Secondo il Canaletti-Gaudenti è quindi probabile che uno dei
Cortesi abbia avuto in premio alcune terre nelle pertinenze occidentali e
meridionali della città di Ancona, occupando, in posizione collinosa e
geograficamente importante, un'antica villa romana o un preesistente
fortilizio, oppure semplicemente un vasto territorio che ha poi, nei punti
più strategici, presidiato di torri. |
I presidi, poi, dovrebbero aver dato origine ai castelli di
Falconara, di Varano e, in seguito, a quello di Sirolo. |
Il Cardinaletti-Gaudenti fa anche l'ipotesi che il nome dei
Cortesi derivi proprio dalle curtes di cui entrarono in possesso. |
L'intera questione è stata anni fa riesaminata dal Natalucci
in un articolo apparso sulla "Rivista di Ancona". |
Il Natalucci, pur ritenendo teoricamente accettabile l'ipotesi
formulata dal Canaletti-Gaudenti, la confuta in alcune sue conclusioni e
tenta di inserire la particolare vicenda di Falconara in maniera coerente ai
convulsi avvenimenti che si susseguirono nel Piceno dopo le prime invasioni
barbariche. |
Infatti, secondo il Natalucci, dopo la già ricordata sconfitta
dei Goti, Ancona ed il suo territorio passarono sotto il dominio bizantino e
il centro politico della Pentapoli, di cui la città faceva parte, divenne
Ravenna. |
Con la successiva invasione dei Longobardi, nella seconda metà
del secolo VI, gran parte del Piceno venne occupata e furono travolti i
presidi e i fortilizi della nobiltà bizantina. |
Ai Longobardi, poi, nella seconda metà del secolo VIII,
succedettero i Franchi provocando nuovi sconvolgimenti politico-territoriali. |
Una tale situazione di continua e perdurante crisi delle
istituzioni politiche ed amministrative aveva provocato un decadimento dei
centri abitati e un generale abbandono delle attività produttive. |
Le popolazioni avevano cercato rifugio e protezione nelle
istituzioni ecclesiastiche. |
Ciò aveva favorito, dal VII al IX secolo, la formazione, nelle
terre della Pentapoli, di un vasto patrimonio fondario di proprietà
dell'arcivescovo di Ravenna che, in contrasto con il pontefice, si
considerava erede dell'Esarca bizantino e vantava diritti temporali non solo
sulla Romagna, ma sulla stessa Pentapoli. |
Quanto sopra risulta, secondo il Natalucci, da documenti
reperibili presso l'Archivio arcivescovile di Ravenna; sembra poi che a
Falconara, secondo una nota del Peruzzi, esistesse una chiesetta dedicata a
S. Apollinare, che lascia pensare alla reale presenza di beni ravennati nel
Falconarese. |
Contemporaneamente al patrimonio della chiesa ravennate, si
era sviluppato quello non meno considerevole delle comunità monastiche, che
si erano sparse a poco a poco, a partire dal VII secolo, lungo la vallata
dell'Esino. |
Ci par sufficiente ricordare il monastero benedettino di S.
Lorenzo in Castagnola, posto nella selva omonima a sud-ovest di Chiaravalle,
lungo la via detta Anconitana e quello di S. Maria in Castagnola, che
divenne successivamente l'abbazia cistercense di Chiaravalle. |
A proposito della selva di Castagnola, che si estendeva dal
territorio di Jesi fin quasi al mare, ricordiamo che il nome, secondo recenti
interpretazioni, deriva non dalla presenza in essa di castagni bensì di un
particolare tipo di quercia le cui infruttescenze erano appunto chiamate
"castagnole" ed erano usate, in tempi di carestia, anche per
l'alimentazione umana. |
Sempre secondo il Natalucci, la formazione di una casta
feudale nelle terre dalla vecchia Pentapoli si compì proprio attraverso la
dissoluzione delle proprietà dell'arcivescovo di Ravenna e delle comunità
monastiche, prima attraverso regolari contratti enfiteutici a lunga scadenza
e quindi attraverso l'occupazione permanente delle curtes , in cui
sorsero, come abbiamo detto, tra i secoli XI e XIII, i castelli. |
I Cortesi sarebbero quindi, secondo questa ipotesi, da
considerarsi appartenenti a quella nobiltà rurale, i conti rurali appunto,
che si afferma dopo i secoli drammatici delle invasioni, quando si assiste al
risvegio della vita e delle attività civili. |
Alcuni studiosi li hanno identificati con quei signori del
Conero che edificarono l'abbazia di S. Pietro, sul monte, e quella di S.
Maria di Portonovo, ai suoi piedi. |
Un'altra questione controversa riguarda l'origine del nome
Falconara. |
Secondo il già citato Graziani, il nome deriverebbe dallo
stemma gentilizio dei Cortesi mentre secondo altre interpretazioni, che
sembrano più probabili, il nome viene posto in relazione con l'esercizio
della caccia con il falcone, molto diffuso nel Medioevo: a sostegno di
quest'ultima ipotesi ricordiamo che in alcune autentiche carte geografiche il
luogo è denominato "Lo Falconaro". |
Un anno fondamentale per la storia di Falconara è il 1225
quando, sempre secondo il racconto del Graziani, essendo pontefice Onorio II
e imperatore Federico II, i conti Cortesi, Gentili, Pietro, Rinaldo, Ugolino,
Guido, Vinciguerra suo figlio e Matteo suo nipote "spontaneamente, di
loro libera volontà" si diedero con i loro castelli di Falconara, Varano
e Sirolo in protezione del comune di Ancona. |
I conti Cortesi ebbero la cittadinanza anconitana e furono
aggregati "al pubblico consiglio e nobiltà di Ancona"; ebbero
inoltre gli "onori, prerogative, privilegi, esentioni ed officii"
che gli altri nobili cittadini originari godevano nella città; giurarono
sottomissione e fedeltà ad Ancona che, a sua volta, promise di difenderli. |
Di questa aggregazione e della relativa convenzione parlano,
tra gli altri, il Ferretti, il Saracini, l'Albertini, il Leoni, il Peruzzi. |
In altre opere di storici anconitani si cita Falconara in
riferimento agli avvenimenti accaduti verso la metà del secolo XIV, nel
periodo in cui la Chiesa aveva quasi completamente perduto il controllo dei
suoi possedimenti. |
I territori della Marca erano soggetti alle incursioni delle
compagnie di ventura; tra esse era particolarmente famosa per la sua ferocia
la Gran Compagnia di fra' Moriale, che nel 1353 mise a sacco molte città e
castelli, tra cui Falconara che si arrese solo a patto che fossero
risparmiate le persone, come è riferito nella cronaca di Matteo e Filippo
Villani: "... e presono la Falconara a patti, salve le persone". |
Si ritrova poi il nome di Falconara nella Descriptio
Marchiae Anconitanae che risale al 1356, al tempo del cardinale Egidio
Albornoz, la cui opera di restaurazione dello Stato della Chiesa pose le
premesse per il ritorno del papa a Roma da Avignone. |
Nella Descriptio, Falconara, Barcaglione e Fiumesino
sono nominati tra i "castra" che la "Civitas Anconitana habet
sub se". |
In seguito all'annessione ad Ancona, Falconara divenne una
delle castella del contado, pur mantenendo una limitata autonomia
amministrativa. |
Nei documenti e nei sigilli apparirà la dicitura
"Comunitas Castri Falconarii", Comunità del Castello di Falconara,
dove con il termine Castello si designa non solo il singolo edificio
ma, come già accennato, l'intero nucleo abitato sviluppatosi intorno ad esso. |
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BARCAGLIONE. Sul punto più elevato del territorio comunale, a
204 metri sul livello del mare, è possibile anche oggi osservare, sia pure a
fatica, alcuni ruderi che potrebbero essere attribuiti all'antica rocca o
torre di Barcaglione. |
Le notizie sono molto scarse: la rocca risulta, dalla già
citata Descriptio Marchiae, appartenere ad Ancona intorno al 1356. |
Nel 1373 si dette al conte Lucio, tedesco, capitano generale
della lega contro la Chiesa, che si apprestava ad attaccare Ancona. |
Secondo Oddo di Biagio, le "persone fonno poste in preda,
et le robbe ad saccomanno", nonostante la resa. |
Partito il conte Lucio, il comune di Ancona fece abbattere,
per punizione, la rocca ed il materiale venne usato per la riparazione delle
mura di Ancona e, forse, anche del castello di Falconara. |
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ROCCA PRIORA. Quella che oggi conosciamo con il nome di Rocca
Priora è nota fin dai primi secoli dopo il Mille come Rocca di Fiumesino. |
Lo storico Baldassini mette in relazione le sue origini con la
nascita di Federico II di Svevia, avvenuta a Jesi il 26 dicembre 1194. |
Secondo tale fonte la città, in memoria del fausto evento,
avrebbe fatto innalzare la Rocca alla foce del fiume Esino, sulla riva
sinistra, per difendere i propri confini dagli attacchi di Ancona. |
Secondo il Saracini gli Anconitani, ben consapevoli
dell'importanza della Rocca, l'avrebbero acquistata durante il pontificato di
Innocenzo III (1198-1216). |
Queste notizie consentono di intravedere il successivo
svolgimento delle vicende storiche della Rocca, imperniate principalmente
sulle guerre tra le città di Ancona e di Jesi, protrattesi per secoli e
miranti al suo possesso, che avrebbe garantito a Jesi lo sbocco verso il mare
e ad Ancona il controllo delle vie di accesso da nord e da nord-ovest e del
mare antistante. |
Sulle vicende della Rocca, in relazione alla storia di Ancona,
Daniela Baldoni ha pubblicato un'interessante monografia e ad essa rimandiamo
per ulteriori approfondimenti. |
E' sufficiente qui ricordare che la Rocca, come indicato in
precedenza, intorno al 1356 risulta elencata tra i castelli dominati dalla
città di Ancona. |
Nel 1382 ne prese possesso Luigi d'Angiò con il suo esercito
che il cronista anconitano Oddo di Biagio definisce "famelico et
sitibundo". |
Dieci anni dopo il Consiglio degli Anziani di Ancona decide di
far riparare e fortificare la Rocca, deliberando successivamente la nomina
del nobile Balligano di Filippuzio dei Balligani a castellano. |
Nella Rocca, siamo nel 1446, fu stipulato l'atto di armistizio
tra il cardinale Scarampo e la città di Ancona. |
Dopo alterne vicende dovute al riaccendersi delle questioni
territoriali tra Ancona e Jesi, un intervento del pontefice Leone X assegnò
definitivamente, nel 1516, la Rocca al comune di Ancona, che intraprese
un'importante opera di bonifica delle terre che si estendevano intorno ad
essa e che a causa delle dispute ed anche delle frequenti piene del fiume
Esino, erano rimaste improduttive. |
Le terre, come riferisce il Peruzzi, furono divise tra i
Consiglieri che dovevano versare la Comune, ogni anno, "una coppa di
frumento per ogni soma di seminato". |
Quando nel 1547 venne ricostituito ad Ancona il Monte di Pietà,
il Comune stabilì che le rendite dei terreni della Rocca fossero devolute ad
esclusivo beneficio del Monte stesso. |
In seguito, verso la fine del XVI secolo, il pontefice Sisto V
dispose che i profitti ricavati dai terreni fossero destinati, per quattro
anni, alla costruzione del Monastero di S. Palazia. |
Nel Seicento la Rocca svolse un ruolo determinante nella
difesa di Ancona e divenne sede di una guarnigione militare con compiti di
vigilanza contro gli attacchi di Venezia e dei pirati turchi. |
Nella seconda metà del secolo XVIII il Comune di Ancona, nel
tentativo di favorire la ripresa economica del territorio, cedette in
affitto, mediante asta pubblica, la Rocca e le terre di Fiumesino. |
La concessione enfiteutica viene assegnata a Francesco Trionfi
(1706-1772), ricco mercante di Ancona, titolare della maggiore casa di
commercio della Marca e cointeressato a varie imprese industriali, società di
assicurazioni e privative. |
Il contratto, firmato nel 1755 e registrato l'anno successivo,
prevede che l'enfiteusi sia perpetua e trasmissibile, che vi sia diritto
all'uso della Rocca, all'istituzione di una fiera franca di tre giorni e che
il canone annuo sia di 2.105 scudi. |
Il Trionfi investe cifre cospicue in piantagioni, restauri di
fabbricati, acquisto di bestiame, sistemazione delle acque, tanto che,
all'atto dell'apertura del suo testamento i periti conteranno 104 bovini
grossi e 134 piccoli, 8.800 alberi diversi 27.400 piante di vite. |
La stessa Rocca, che prende il nome di Rocca Priora, subisce
profonde modificazioni con la costruzione del portale d'ingresso, della
cappella e di locali per uso abitativo: l'antica fortezza medievale perde
così il suo originario carattere militare per assumere la funzione di villa padronale
al centro della vasta tenuta agricola. |
Nel 1757 Francesco Trionfi, precedentemente patrizio di
Ancona, riceve dal papa Benedetto XIV l'investitura sul fondo posseduto con
il titolo di marchese di Rocca Priora, trasmissibile agli eredi in linea maschile. |
Dopo il raggiungimento del successo economico, il Trionfi
entra così a pieno diritto nella nobiltà anconitana, con il riconoscimento
dei titoli spettanti ai propri avi, anche se sussiste qualche perplessità sul
modo in cui erano stati raccolti alcuni remoti attestati araldici. |
Alla morte del Trionfi, come già accennato, il patrimonio era
talmente elevato che un curioso aneddoto, appartenente alla tradizione
familiare, racconta che il figlio esclamasse: "Come farò a spendere
tutto questo denaro?". |
Passata prima al figlio Luigi e poi al secondo genito Bonizio,
l'intera proprietà venne acquisita nel 1826 dalla Camera Apostolica per
56.000 scudi a causa dell'impossibilità, per Bonizio Trionfi, di pagare i
canoni e le tasse arretrate richieste dal Governo Pontificio. |
Come ogni Rocca che si rispetti, anche qui un famoso
personaggio ha trascorso una notte: si tratta di Gioacchino Murat che vi
soggiornò il 29 aprile 1815, poco prima che si concludesse con la disfatta, a
Tolentino, la sua utopistica impresa di combattere per l'unità e
l'indipendenza d'Italia. |
Va poi segnalato che proprio nella Rocca, e precisamente nella
casa juxta horologium, nacque Pasquale Andreoli, aeronauta e pioniere
del volo, noto soptrattutto per aver raggiunto nel 1808, con il suo pallone
aerostatico, l'altitudine di circa 8.000 metri. |
Una recente ricerca, svolta presso l'Archivio parrocchiale di
Falconara Alta, ci ha consentito di accertare la data di nascita
dell'Andreoli, riportata in modo non corretto in alcune pubblicazioni. |
Dal "Libro VII" dei battesimi, relativo agli anni
1735-1771, si rileva che Giuseppe Maria Pasquale Andreoli nacque il 22
novembre 1771 da Marco, fattore dei Trionfi, e da Maria Moracci e che venne
battezzato il 24 successivo nella chiesa di S. Maria delle Grazie di
Falconara. |
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CASTELFERRETTI. L'edificazione del castello, e la stessa
storia del paese, sono strettamente legate alle vicende della famiglia
Ferretti, che ha posseduto questo territorio dai primi del Duecento fino a
tutto il Settecento, esercitandovi i diritti feudali dal 1397. |
Sei secoli fa, nel 1384, Francesco Ferretti, discendente da
uomini d'arme e condottieri originari della Germania venuti in Italia nel
primo Duecento, chiede ed ottiene dal vicario generale della Marca anconitana
Andrea Bontempi di poter trasformare un'antica torre di guardia, posseduta nella
piana de' Ronchi, tra Falconara e Chiaravalle, in un luogo fortificato capace
di contenere armati, vettovaglie e bestiame. |
E' il primo atto con cui si dà l'avvio all'edificazione di un
munito castello a custodia delle proprietà che i Ferretti possiedono
tutt'intorno creando insieme una buona piazzaforte a completamento del
sistema difensivo del territorio anconetano. |
All'incirca negli stessi anni vengono ristrutturate quasi
tutte le altre rocche dislocate lungo i confini anconitani da Bolignano, al Cassero,
a Fiumesino, onde poter meglio difendere la città dalle scorrerie delle
armate angioine impegnate nella guerra tra i fedeli del papa Urbano VI e i
seguaci dell'antipapa avignonese Clemente VII. |
Una controversia scaturita sì dalla faziosità dei cardinali
francesi contrastanti il potere del collegio cardinalizio dominato dagli
italiani, ma motivata pure da un malcelato interesse del partito di Luigi
d'Angiò di conquistare e sottomettere parte delle terre dello Stato della
Chiesa. |
La costruzione del castello è completata nel giro di pochi
anni tanto che nel 1397 Francesco Ferretti viene nominato conte di Castel
Francesco da papa Bonifacio IX. |
La contea, su cui i Ferretti godono delle stesse immunità e
dei privilegi concessi ai nobili palatini, si estende dal fiume Esino ai
confini con il territorio di Ancona a quelli con le proprietà dei benedettini
cistercensi di S. Maria in Castagnola di Chiaravalle, in una pianura fertile
e ricca di acque occupante in patrte l'antico alveo dell'Esino ormai asciutto
per la deviazione subita dal fiume dopo le ripetute frane delle rupi di Jesi. |
Il riconoscimento del feudo ai Ferretti, famiglia di spicco
nel governo di Ancona, dà luogo ad una disputa tra Anconitani e Jesini per il
possesso delle terre al di qua e al di là dell'Esino che nel Quattrocento
sfocia in duri scontri tra gli eserciti delle due città. |
Della questione territoriale, chiusasi solo nei primi decenni
del XVI secolo, restano parecchi documenti, anche cartografici, che ben
introducono nell'ambiente in cui vivono ed operano gli abitanti di Castel
Francesco nei primi anni di sviluppo del centro abitato. |
Il castello offre una sicura abitazione agli agricoltori che
lavorano nei campi circostanti e agli artigiani dediti ad attività di
sostegno all'economia agraria. |
Secondo la descrizione resa da uno storico appartenente alla
stessa famiglia Ferretti il fortilizio ha una forma quadrata con profonde
mura a controscarpa, "recinto da ampla e capace fossa" alimentata
attraverso "sotterranei condotti" da una vena tanto abbondante da
colmare pure una cisterna scavata nella piazza interna. |
Lasciata in piedi l'antica torre di guardia, vengono elevate
altre tre torri "di grossissime mura, e di ben considerabil
altezza" e tra una torre e l'altra va un "corridore" merlato. |
Un'altra torre domina l'ingresso, a cui si accede per un ponte
levatoio, che si apre sul cortile interno dove c'è la chiesa, col forno e una
gran quantità di fosse capaci di contenere e conservare il grano frutto delle
annuali raccolte. |
L'intera tenuta dei Ferretti "paludosa e selvata"
fin verso la metà del Quattrocento è bonificata e messa a coltura
dall'infaticabile opera di gruppi di albanesi stabilitisi in Castel Francesco,
così come un pò per tutte le Marche, dopo un esodo dalle località d'origine,
protrattosi per parecchi decenni, sotto la spinta delle incursioni turche
nella penisola balcanica, e la pesante crisi economica conseguente al
continuo stato di guerra. |
Al di qua dell'Adriatico, lungo tutta la fascia costiera dalla
Romagna alle Puglie, è facile trovare ove insediarsi per lo spopolamento di
molti centri seguito alla tremenda "peste nera", la stessa
ricordata nelle novelle del Boccaccio, che nel Trecento ha mietuto gran
numero di vittime in quasi tutta l'Europa. |
Mancando il lavoro dell'uomo la selva presto ha prevalso nelle
terre già un tempo dissodate e per la ripresa occorre innanzitutto procedere
ai disboscamenti per cui è necessario il lavoro di molte braccia rendendo
utile l'apporto degli immigrati albanesi. |
Anche in Castel Francesco molto si deve al duro lavoro degli
albanesi costretti a vivere nei primi tempi del loro soggiorno in "rozze
capanne" e ammessi poi in avanzati anni ad alloggiare nel castello. |
A loro sono affidate le attività più umili. |
Molti sono i muratori e manovali come Lione Scanna e Tanusio
Balasio, entrambi "albanesi", che nel 1584 sono incaricati dal
conte Vincenzo Ferretti di restaurare la chiesa di S. Maria della Misericordia,
sita poco fuori il paese, luogo di sepoltura degli abitanti di Castel
Francesco. |
La chiesa della Misericordia è, con l'iconografia degli
affreschi che adornano le pareti di fondo e laterali, una delle migliori
testimonianze delle decimazioni prodotte dalle pesti trecentesche. |
La fede e la devozione dei superstiti hanno inteso ricordare
il triste avvenimento rappresentando lo scampato pericolo e la salvezza
dovuti all'accogliente abbraccio della Madonna che sotto il suo ampio
mantello protegge e difende le genti inermi di fronte al terribile morbo. |
La gratitudine degli abitanti di Castel Francesco e dintorni è
espressa pure da una confermata devozione a Santi già oggetto di assiduo
culto nella zona come S. Pietro e S. Paolo, S. Bernardino, S. Giacomo della
Marca, S. Giovanni e S. Sebastiano. |
Il complesso ecclesiale è dunque un importante monumento
d'arte per le pitture murarie degli interni,attribuibili alla scuola
umbro-marchigiana, uniche in tutto l'Anconetano, e nello stesso tempo è un
significativo documento di un'epoca storica che va preservato e fatto meglio
conoscere. |
Il feudo dei Ferretti ha una rapida crescita demografica e già
nel Cinquecento Castel Francesco è uno dei più vivaci centri della bassa
valle dell'Esino, cosicchè a metà del secolo, secondo lo storico Francesco
Ferretti autore nel 1685 della Pietra del Paragone, è abitato da 65
famiglie sistemate in 23 appartamenti all'interno del castello e in altre
piccole abitazioni raccolte in un borgo ed in alcune ville di
campagna. |
In totale si contano quasi 500 abitanti distribuiti in un
territorio della superficie di 650 some, più o meno 1300 ettari. |
L'intera popolazione vive consumando quanto ricava dalla
coltivazione dei campi che con abbondanza producono vino e grano più che
sufficiente alla necessità dell'annata. |
Tanto infatti è il frumento raccolto che circa 500 some l'anno
sono vendute sul mercato di Ancona. |
Così pure al mercato della vicina città è destinato il
sovrappiù annuo di 50 some di orzo. |
I ricavi sono utilizzati per acquistare olio, lino e
quant'altro serve alla vita della comunità. |
Il bestiame conta 60 bovini, 400 pecore, 110 porci, 35 paia di
buoi da lavoro e 30 animali da soma. |
La relativa tranquillità che s'instaura per tutto il
Cinquecento fa sì che il Castel Francesco continui a svilupparsi e a
raggiungere sul finire del Seicento una popolazione di 610 persone raccolte
in 121 famiglie. |
A testimonianza del florido periodo si ricordano le opere
promosse dal capitano Francesco Ferretti consistenti in ampliamenti
dell'intera rocca, nella costruzione di un "casino" nel borgo con
logge e giardino e di una chiesa dedicata a S. Stefano. |
E' poi più o meno nello stesso periodo che i Ferretti
completano l'edificazione della villa di Monte Domini, un superbo esempio di
edilizia signorile cinquecentesca ad uso di abitazione estiva. |
C'è ancora da aggiungere che in relazione allo sviluppo
dell'abitato, che nel primo Seicento assume la definitiva denominazione di
Castel Ferretti, viene decisa, nel 1629, la fabbrica di una nuova chiesa
all'interno del castello, in luogo dell'antica ormai inadeguata ad ospitare i
fedeli nel corso delle varie cerimonie liturgiche. |
La chiesa, che mantiene il titolo di S. Andrea, è sede di un
parroco nominato dagli stessi conti Ferretti. |
La canonica di due sole stanze è anch'essa all'interno del
castello. |
Fra Seicento e Settecento la tranquilla vita paesana, scandita
secondo i ritmi naturali, non conosce grandi turbamenti risentendo poco dei
problemi assillanti alcuni esponenti della famiglia Ferretti che si trovano
coinvolti in due impegnative liti con la comunità di Ancona. |
La questione, insorta negli ultimi decenni del '600, riguarda
soprattutto la pretesa di Ancona di comprendere anche Castel Ferretti nel
numero dei castelli soggetti alla propria giurisdizione e perciò tenuti al
pagamento di gabelle e tributi alla Dominante. |
Già una prima volta la lite si risolve a favore dei Ferretti i
quali possono ampiamente dimostrare i loro diritti feudali sanzionati da
parecchie bolle pontificie emanate tra XV e XVI secolo, da ultima quella di
Clemente VIII del marzo 1593. |
Dopo quasi mezzo secolo la disputa si riaccende nel 1760, ma
ancora una volta i Ferretti hanno la meglio ed è a loro confermato ogni
diritto sul castello e suo territorio da ritenersi luogo baronale. |
Il governo dei Ferretti seguita così a reggere le sorti del
paese fino agli anni della prima invasione bonapartista, quando nel triennio
1797-99 i Ferretti son chiamati diverse volte a contribuire alle spese per lo
stazionamento dell'esercito d'occupazione. |
Non avendo sempre sufficiente denaro a disposizione la
famiglia è costretta a porre ipoteche sui beni di Castel Ferretti. |
Beni che negli anni della prima restaurazione, ristabilito il
sovrano pontefice, i Ferretti riscattano per la maggior parte. |
Sono poi i decreti consalviani del 1817 a privare anche i
Ferretti, e questa volta definitivamente, di ogni diritto giurisdizionale
sulla loro contea. |
Dopo quasi cinque secoli ha così termine la signoria dei
Ferretti e di lì a qualche decennio si estingue anche il ramo principale
dell'illustre famiglia. |
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Il comune |
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E' ancora in gran parte da esplorare l'articolato sistema
legislativo che per qualche centinaia d'anni, dal medioevo alla fine
dell'ancien régime, ha guidato gli amministratori delle castella del
contado anconitano nel regolare la vita pubblica. |
Manca finora un'indagine sistematica intorno alla ricca
produzione regolamentare raccolta nella nutrita serie degli atti consiliari
del Comune di Ancona che, senza grandi lacune, va dagli ultimi decenni del
Trecento all'età contemporanea. |
Né c'è stata una particolare attenzione per le varie versioni
statuarie della città, sia per quanto riguarda i testi manoscritti del 1394,
e relative addizioni del 1400 e del 1458, sia per l'edizione a stampa del
1513, curata dal perugino Marco de' Rossi. |
Miglior sorte ha avuto presso gli studiosi l'ultima edizione
degli Statuti di Ancona del 1566, affidata dagli Anziani della città alla
cultura giuridica del concittadino Giovan Battista Ferretti. |
Le norme generali dell'amministrazione pubblica contenute
negli statuti sono di più facile accesso, ma restano sempre piuttosto oscure
se non raffrontate alle consuetudini o alle molteplici diverse
interpretazioni applicate al dettato statutario nel civico consesso
cittadino. |
Si pensi solo ai mutamenti nei rapporti fra città e contado
che s'instaurano dopo gli avvenimenti del 1532, quando Ancona è
definitivamente incamerata nello Stato della Chiesa. |
Da quella data ogni particolare atto del governo locale passa
sotto il controllo di un prelato governatore al quale l'autorità statale
concede ampi poteri di vigilanza sulla vita comunale, estensibili all'intero
territorio sul quale si espande al giurisdizione anconitana. |
A partire quindi dal 1532 non è più solo la città ad operare
una tutela sui castelli; ad essa si aggiunge una nuova autorità che, pur se
non sempre nelle stesse forme, fa pesare la mano e interviene ogniqualvolta
vien messa in discussione l'autorità sovrana tanto nel capoluogo che nelle
comunità castellane. |
Il cumulo legislativo realizzato in oltre due secoli di libera
attività degli organismi comunali, trattenuto in vigore nella nuova realtà
statale anche se non in tutto conforme alle normative pontificie, ha dato
adito a conflitti di varia natura tra gli stessi organi dell'amministrazione
cittadina, e in questa sede è nostra intenzione cogliere alcuni momenti di
più aspro contenzioso tra la Dominante e uno dei castelli del contado,
Falconara per l'appunto, come indice di un progressivo, lento distacco del
Falconarese dalla protezione anconitana verso un più serrato concetto di
autonomia. |
Quanto occorresse intervenire per far chiaro nei rapporti tra
il centro e la periferia nell'ambito comunale anconitano risalta dalla
decisione presa dal governatore Bussi nel 1765 di affidare al tipografo di
Ancona Pietro Ferri la stampa di un opuscolo di undici pagine contenente Istruzione
ed ordini da osservarsi dai podestà che saranno destinati per li Castelli
soggetti al Governo d'Ancona. |
Nel libello viene ripresa, commentata e aggiornata la rubrica
22, De Officio Potestatum, della collatio prima, degli statuti
del 1566 e nelle intenzioni del Bussi il lavoro è destinato particolarmente
ai podestà di nuova nomina. |
Essi ne ricevono una copia dalle mani dei segretari delle
comunità, all'atto della presa di possesso dell'ufficio, perchè si preparino
"ad essere più attenti all'adempimento del proprio debito, e per rendere
più inscusabili le loro mancanze". |
Il Bussi elenca, in quindici punti, i doveri propri dei
podestà delle castella e delimita il perimetro entro cui può esser
esercitato il mandato podestarile conferito dal governatore pro tempore, in
nome e per conto del sovrano pontefice, accolta la designazione deliberata
dal consiglio anzianale di Ancona. |
In particolar modo il podestà dei castelli è tenuto a vigilare
sull'attività dell'ufficio di segreteria e come primi compiti ha la verifica
degli atti civili, e il controllo delle raccolte dei bandi, degli editti e
delle lettere di ufficio, dai quali ricava una esatta conoscenza degli atti
compiuti dai predecessori, utile a "ben regolar(si) nel suo
impiego". |
E' assolutamente vietato al podestà servirsi del segretario
comunale ordinandogli di svolgere funzioni di attuario, ossia di
notaio della comunità. |
L'esercizio del notariato a livelo locale spetta, secondo
alcune norme fissate negli antichi statuti, agli aventi diritto purchè nati o
residenti in altro Comune. |
Le istruzioni del Bussi toccano anche alcuni aspetti della
politica tributaria degli enti locali. |
Ad esempio si chiarisce che le tasse applicate sugli atti
relativi a cause civili, trattate dal podestà nel tribunale locale, il cui
importo è elencato in una tabella inserita nelle ultime pagine del libretto
del Bussi, debbono essere le stesse che si esigono presso il Tribunale della
Dogana di Ancona. |
Il governatore ricorda quindi le responsabilità del podestà
riguardo alla vigilanza sull'esercizio del commercio in sede locale. |
Dà disposizioni sulle modalità di convocazione dei consigli
comunali e richiama le disposizioni inerenti all'obbligo della richiesta di
specfifiche autorizzazioni per le spese di carattere straordinario. |
Il governatore delega anche al podestà la facoltà di poter
amministrare la giustizia per i reati risolvibili con una oblazione di meno
di uno scudo. |
Il Bussi indica pure i provvedimenti punitivi per gli
inadempienti all'Istruzione. |
Le pene possono consistere nella sospensione o privazione
dell'ufficio, e in condanne più pesanti quando sia stata riscontrata una
violazione di una certa gravità. |
Comunque ogni reato commesso dai podestà è trascritto in un
apposito registro, depositato presso gli uffici del governatorato, del quale
si può prendere visione ogni anno nel momento delle "mutazioni delle
podestarie". |
Non c'è altro in quella che potremmo definire una guida alla
preparazione di uomini destinati al buon governo della cosa pubblica. |
Il Bussi ha volutamente concentrato l'intera normativa in
pochi articoli, chiari e ben formulati, intellegibili anche da persone con
una modesta preparazione culturale, che poi sono la maggior parte tra coloro
che s'avviano a seguire la carriera di podestà nei piccoli centri dei contadi
urbani, escluse le rare occasioni in cui la podestaria è in mano a persone
dall'ottima preparazione giuridico-amministrativa. |
L'Istruzione del Bussi, pur volendo apparire un
semplice tentativo di aggiornamento di un articolo dello statuto anconitano,
appare subito come un'innovazione dalla portata storica rilevante. |
La sua pubblicazione significa che l'esercizio del potere
locale nelle comunità del contado è vigilato, controllato e disciplinato dal
governatore, che va sempre più aumentando in forza e in prestigio, a tutto
vantaggio dell'autorità dello Stato centrale, indebolendo senza dubbio e
rendendo sempre più vacuo il potere assoggettante del Comune capoluogo. |
Il secondo Settecento è il periodo in cui si avvia una
modernizzazione del sistema municipale, segno di un tardivo ma avviato
ingresso dello Stato pontificio tra la schiera delle nazioni europee dove il
perfezionamento della macchina burocratica conta una consolidata tradizione. |
Le volontà del governatore Bussi, rimasto per un solo anno ad
Ancona, non cadono nel vuoto. |
Esse costituiscono a lungo un metro di misura per
circoscrivere gli ambiti entro cui può agire il podestà, almeno finchè tiene
la formula del governo locale affidato alla tutela podestarile. |
Ma, perchè qualcosa muti, occorrerà attendere la sferzante
lezione amministrativa costruita su modelli sperimentati in Francia e
introdotti quasi a forza, a fine Settecento, da tardi epigoni della rivoluzione
dell'Ottantanove giunti in Italia al seguito del generale Bonaparte. |
Per restare ancora con il Bussi va aggiunto che il suo
"libretto" continua a circolare nelle comunità locali e a volte
preso come strumento di difesa contro malcelati tentativi di tornare a
superate maniere di sentire le funzioni amministrative a livello municipale. |
Si verifica anche il caso che un segretario comunale, tal
Pietro Biloni, presente a Falconara dagli anni Settanta del XVIII secolo al
primo decennio del XIX, intenda mettere in chiaro le distinzioni che
sussistono nella vita comunale tra Ancona e Falconara, riducendo ampiamente
il concetto di mera sottomissione e dipendenza di un centro dall'altro. |
Il Biloni in una testimonianza giurata, destinata alle
autorità della S. Congregazione del Buon Governo, e stesa il 22 giugno del
1779, riassume la sua decennale esperienza a capo della segreteria
falconarese. |
Ebbene egli si sforza di far comprendere che in quegli anni
non c'è stata mai una assoluta "dipendenza" dalla comunità di
Ancona, e porta ad esempio gli affitti dei "proventi pubblici",
cioè dei tributi comunali, interessanti il forno del pan venale, il macello,
il dazio della foglietta e il raccolto del grano e dei brastimi (legumi), i quali
sono stati sempre appaltati dalla comunità di Falconara. |
Cos' pure per la scelta e l'annuale conferma dei salariati
pubblici e per l'elezione dei pubblici ufficiali, tra i quali figura
l'esattore o "depositario" dei "pubblici proventi", sono
avvenute libere votazioni del consiglio comunale di Falconara. |
Anche i registri sui quali il "depositario" annota
le somme percepite dagli appaltatori delle gabelle sono firmati dai priori in
carica e sono vidimati con il sigillo priorale, lo stesso che porta lo stemma
della comunità, col falcone che spicca il volo da tre piccoli colli. |
Anno dopo anno, alla fine dell'esercizio finanziario, la
revisione dei conti è affidata al dirigente la ragioneria del Comune di
Ancona, assistito nell'operazione dai priori di Falconara e dal segretario
comunale, con l'esclusione di qualsiasi altro rappresentante di Ancona,
voglia che esso sia anche un consigliere del Comune capoluogo. |
Ultimato il controllo contabile si predispone la tabella delle
spese ordinarie e straordinarie, la quale è poi controfirmata dai priori
falconaresi, e vi viene apposto il sigillo della comunità. |
Su questo punto dell'autonoma gestione delle entrate e delle
spese il Biloni torna a mettere l'accento più volte tanto da ricordare che
sia per i piccoli, come per i grandi investimenti, occorre la deliberazione
approvata dai priori e dal consiglio comunitativo "senza veruna
intelligenza del Pubblico di Ancona", overossia non occorre nessuna
particolare autorizzazione da parte del governo anconitano. |
Nel solo caso di spese d'ingente portata è necessario sentire
il Buongoverno e attenderne l'approvazione. |
L'intera finanza comunale è trascritta in un registro titolato
Conti della Comunità, anch'esso sottoposto ad annuali revisioni da
persone incaricate dal governatore di Ancona pro tempore. |
E' un adempimento al quale la comunità di Falconara si è
puntualmente sottoposta a partire dal 31 gennaio 1687, stando al più antico
libro dei conti che il Biloni ha potuto rintracciare nel pubblico archivio. |
E' in quell'anno che, sempre secondo il Biloni, il governatore
Grimaldi, ha ordinato alle comunità sottoposte alla sua giurisdizione la
tenuta di un tale registro. |
Falconara si adegua sempre con prontezza e con la massima
puntualità ogni anno porta alla firma e al controllo delle persone incaricate
i registri contabili. |
Sporadicamente l'incaricato della revisione è scelto tra gli
impiegati della ragioneria del Comune di Ancona. |
Spesse volte o si tratta di impiegati di altri Comuni vicini o
di uomini del governatore. |
La testimonianza di Pietro Biloni si sofferma soprattutto
sugli aspetti fiscali dell'autonomia falconarese; non affronta affatto altri
momenti del funzionamento dell'apparato amministrativo locale, nè spiega come
avvenga la successione all'ufficio priorale, nè in qual modo si regoli la
vita del consiglio comunitativo. |
Per questi altri aspetti qualche lume viene dalle poche carte
consiliari giunte fino a noi a testimonianza dell'operosità del consiglio
comunitativo del XVIII secolo. |
L'unico volume di atti consiliari superstite, dopo la
distruzione dell'antico archivio falconarese operata all'incirca mezzo secolo
fa, raccoglie le deliberazioni adottate dal civico consesso tra il 1748 e il
1768, e documenta una gestione della cosa pubblica costantemente preoccupata
di non far troppo pesare sui governati le pur dure vicende alle quali la
comunità falconarese, alla stregua di molte altre nell'anconitano, è
sottoposta in quel ventennio del Settecento. |
Sono infatti gli anni in cui si sopportano i residui
strascichi delle guerre per gli equilibri italiani ed europei, con i
conseguenti gravosi indebitamenti del pubblico erario per il sostentamento
delle truppe di passaggio e d'occupazione. |
Nè mancano le calamità naturali che investono il territorio
con andamenti stagionali sfavorevoli; basta, per tutte, rammentare le
ripetute carestie degli anni 1765-67. |
E vanno ancora aggiunti altri momenti difficili per crisi
sismiche o per fatti endemici che sfibrano le popolazioni locali. |
L'intervento di Pietro Biloni avviene in un momento per così
dire cruciale della storia comunale di Falconara. |
Si è appena detto che la memoria giurata del Biloni è
depositata nel giugno del 1779. |
In quell'anno si apre infatti una vertenza con Ancona, alla
quale partecipano più o meno direttamente un pò tutte le castella del
contado, e che scaturisce da una ripartizione delle spese necessarie al
mantenimento della strada consolare Flaminia, ritenuta non del tutto equa. |
La via Flaminia è la principale arteria che mette in
comunicazione Ancona con Roma e con il settentrione d'Italia. |
E' tra i tracciati meglio curati di tutta le rete stradale
dello Stato pontificio. |
Su di essa corre anche il servizio postale ed essendo di
interesse nazionale è soggetta nel tempo ad una legislazione che muta secondo
il mutare delle situazioni politiche e delle congiunture economiche dello Stato. |
Potrebbe sembrar strano, secondo le più attuali accezioni del
termine statale, ma la Flaminia, che pure è, come detto, un asse viario
rilevante nel sistema delle comunicazioni dello Stato romano, dipende per le
opere di manutenzione ordinaria dai Comuni che essa attraversa dal Lazio alla
Romagna. |
Nel caso di Ancona per almeno due secoli si discute
sull'opportunità che alle spese per i lavori stradali sulla Flaminia
contribuiscano, oltre al capoluogo, tutte le comunità castellane ovvero solo
quelle sul cui territorio corre l'antica strada romana, cioè a dire Ancona,
Camerano, Varano e Falconara. |
Il primo tentativo di quietare le castella vien
compiuto negli anni Settanta del Cinquecento dal pontefice Gregorio XIII e le
disposizioni da lui emanate vengono rispettate fin verso la metà del XVII
secolo, quando mons. Aragona, governatore della Marca e Commissario generale
sopra le strade, stabilisce che la strada romana, come più comunemente vien
chiamata la Flaminia, sia "fatta, stabilita e mantenuta colli suoi ponti
perpetuamente da tutte le Castella della Città di Ancona, e Contadini di uso
Distretto". |
Ciò significa che ciascuna comunità ha un tratto di strada
assegnato, distintamente indicato da pietre miliari con su inciso lo stemma
delle comunità, e sul quale ogni anno, nella stagione migliore, le comunità
inviano validi operai, con carri, animali da traino e da trasporto, ed
attrezzi vari, per eseguire i lavori di manutenzione. |
All'antica disposizione si ribella nel 1744 la comunità di
Monte S. Vito, uno dei castelli non attraversati dalla via Flaminia, che
ottiene dalla Congregazione del Buon Governo l'esenzione dal partecipare
tanto alle contribuzioni, quanto ai lavori per la transitabilità della
Flaminia. |
E' un provvedimento impolitico capace solo di dar l'avvio ad
una sequela di richieste da parte di molte altre comunità del contado, e
importanti decisioni in merito vengono prese nel decennio 1752-1762. |
Non c'è disposizione che non confermi il vecchio provvedimento
e che non prescriva alle comunità del contado di partecipare alle spese per
la Flaminia " a misura delle forze di ciascuna". |
S'arriva così al 1779 quando Falconara decide di riaprire la
diatriba e di intentare causa contro Ancona, al fine di ottenere una
revisione delle norme che disciplinano la materia. |
Falconara, per bocca dell'avvocato Giovanni Maria Baldi,
chiede alla Congregazione del Buon Governo che siano rivisti innanzitutto i
termini dei tronchi stradali assegnati alle comunità del contado. |
I Falconaresi contestano che il tratto di loro pertinenza non
resti interamente compreso nel loro territorio, che va dalle Torrette al
ponte sull'Esino, e si dicono non più disposti a reperire il denaro
necessario ad assicurare una continua transitabilità ed agibilità della
Flaminia. |
A sostegno della richiesta vengono adottate motivazioni che
poggiano tutte sul fatto che negli ultimi anni la comunità di Falconara ha
sostenuto ingenti spese per i lavori nel percorso compreso tra la Palombella
e le Torrette, il quale, secondo il vecchio schema di riparto, è una porzione
del tracciato affidato alla comunità di Falconara. |
Lungo quelle poche miglia di strada, considerata oltre i
confini di Falconara, visto che si sostiene a forza di prove testimoniali che
il territorio della comunità deve coincidere con quello della parrocchia, si
è messa in moto una vecchia lama, producendo danni ingenti. |
Per fermare il movimento franoso "con una gravissima
spesa" la carreggiata è stata spostata "al di sopra" della
sede precedente. |
Si tratta nè più nè meno dell'area in frana, più nota ai
giorni nostri sotto il nome di frana Barducci, in una zona
geologicamente instabile e che anche di recente ha ripreso a muoversi
sconvolgendo il percorso della statale, della limitrofa ferrovia, e scalzando
dalle fondamenta il gruppo di case del cosiddetto Borghetto della Palombella. |
Nonostante che Falconara abbia richiesto una conveniente
partecipazione di Ancona e degli altri castelli all'aumentato onere, la
risposta ottenuta non solo è stato un secco diniego ma da parte delle altre
comunità si è recriminato contro Falconara, la quale a parer loro ha potuto
risparmiare parecchio negli anni precedenti, essendo il suo tratto di strada
tutto in pianura e prossimo alla riva del mare. |
Una prima sentenza vien pronunciata da mons. Porta, segretario
del Buongoverno, il 17 luglio 1780, e in essa vengono accettate tutte le
osservazioni proposte dai Falconaresi. |
Quasi subito Ancona interpone appello e attraverso il proprio
legale, l'avvocato Antonio Bassi, fa giungere al Buongoverno le sue
controdeduzioni. |
La questione viene rimessa al competente Tribunale del
Buongoverno e affidata al ponente mons. Pignatelli. |
Il giudizio pronunciato il 15 gennaio 1782 è a favore di
Falconara. |
Ancona non demorde e presenta un ulteriore ricorso illustrato
di fronte ai giudici del Buongoverno dal ponente mons. Rusconi. |
Egli, nonostante una accalorata difesa, non riesce ad ottenere
una revisione della risoluzione, e quindi ha pieno valore il dispositivo
emesso dal Porta due anni prima. |
A documentare l'intera controversia restano un ricco fascicolo
nell'archivio anconitano e le edizioni a stampa, per i torchi del romano
Lazzarini, datate 1781, 1782 e 1783, dei ricorsi e delle arringhe dei legali
e dei ponenti, presentate nell'iter processuale della Anconitana
Viae Flaminiae alla S. Congregazione del Buongoverno. |
Gli atti giudiziari a stampa sono di notevole valore sul piano
storico per la ricchezza dei contenuti nei sommari, nei quali sono stati
raccolti tutti quei documenti ritenuti essenziali a sostegno delle pratiche legali. |
Tra i tanti documenti citati a ripetizione nelle tre edizioni
dell'Anconitana forse quello che desta maggior interesse è una
trascrizione del lodo arbitrale pronunciato due secoli avanti, il 28 marzo
1582, dai giudici chierici della Camera Apostolica, il vescovo Girolamo
Melchiori, ordinario di Macerata, e il vescovo Antonio Maria Salvati. |
A giudizio dei due chierici camerali le comunità castellane
hanno l'obbligo di pagare le rate dei pesi camerali, ossia dei tributi
spettanti all'erario statale, in mano al depositario di Ancona. |
I castelli devono poi contribuire con la città alle spese
occorrenti per le opere pubbliche, e "segnatamente per il risarcimento
delle strade". |
Le conclusioni della vertenza, aperta invero da troppi anni,
sono approvate dal civico consesso anconitano il 28 maggio 1582 e di seguito
tutte le università degli uomini dei castelli, ad una ad una, sottoscrivono
il lodo rinnovando al contempo il giuramento di fedeltà ad Ancona. |
A Falconara il 4 luglio del 1582, nella solita sala del
castello ove si tengono le periodiche sedute del "pubblico e generale
parlamento" falconarese, si riunisce il consiglio che esamina e discute
il documento, approvato poi all'unanimità. |
Sono eletti due procuratori nelle persone di Pellegrino
Pellegrini e Domenico di Giacomo, incaricati di recarsi ad Ancona per
prestare formale giuramento. |
L'atto di sottomissione serve pure a riconfermare la fedeltà
dichiarata da Falconara rispetto ad Ancona il 22 aprile 1540, quando i sindici
Pietro Domenico Bartolucci e Antonio Carloni, a nome di tutti i Falconaresi
da loro rappresentati, per precisa delega del parlamento locale, pronunciano
la formula secondo la quale d'allora in poi Falconara si dimostrerà
"figlia fedelissima e suddita della Magnifica Comunità di Ancona, e
della S. Sede Apostolica" nonchè dei pontefici destinati a salire sulla
cattedra di S. Pietro, come lo è stata fino all'anno 1532. |
Nel 1540 è avvenuta una sorta di restaurazione dell'antico dominio
anconetano sulle castella. |
Quest'ultime sono tornate ad assoggettarsi alla Dominante,
ridando vita anche agli antichi vincoli feudali e di vassallaggio, i quali
vengono rinsaldati nel corso di pubbliche manifestazioni durante le quali si
consegna, nelle mani degli Anziani del Comune, un simbolico omaggio
rappresentante le chiavi del castello o il pallio fiorato nell'annuale
ricorrenza della festa patronale di S. Ciriaco. |
Con l'atto di sottomissione del 1540 Falconara ottiene anche
qualche riconoscimento, quale la conferma della proprietà di molte terre nel
Falconarese, e la possibilità di indire fiere per le merci e il bestiame,
anche in occasioni straordinarie. |
Avviene così che per i festeggiamenti del giubileo del 1561,
indetto per solennizzare la riapertura del Concilio a Trento, nella chiesa di
S. Maria del piano di Fiumegino, si indice una fiera della durata di
quindici giorni, a partire dalla ricorrenza di S. Lorenzo (10 agosto). |
La fiera gode di tutti i privilegi, delle immunità e delle
esenzioni previste in simili circostanze e la comunità di Falconara vuole che
i guadagni realizzati siano impiegati nella "augumentazione" di
quella chiesa, da poco tempo ristrutturata con lavori iniziati nel 1546, al
fine pure di favorirne la "frequentazione" e ridar vigore al culto
verso la sacra immagine della Vergine della Marina, che conta una lunga
tradizione tra i fedeli del luogo. |
Ma quando all'inizio degli anni Ottanta del XVI secolo
l'impianto del governo anconitano torna a mostrare qualche preoccupante crepa
e s'incrinano i rapporti col contado ciò dimostra come sia in atto un
mutamento di rotta nella politica dello Stato e come si stia entrando in una
nuova fase di ridistribuzione dei poteri all'interno dello Stato pontificio. |
Motivo per cui il litigio, insorto come sempre in materia
fiscale nel quale sono coinvolte tutte le comunità delle castella
trova una soluzione solo attraverso un diretto intervento dei rappresentanti
della Camera Apostolica, quale supremo organismo di controllo finanziario
della Chiesa. |
Intorno al 1580 la questione principale si sviluppa sul
criterio da scegliere per ripartire i carichi tributari e sulle competenze
per la gestione degli incassi dei tributi, secondo la consueta distinzione
tra camerali e comunitativi. |
L'accettazione del lodo del 1582, quasi una imposizione della
Camera Apostolica, rinsalda, come detto, il vincolo di soggezione esistente
tra i castelli del contado e la città di Ancona. |
Ma è pure il motivo per l'avvio o il riacutizzarsi di altre
controversie, originate sempre dalla confusione regnante nella legislazione
finanziaria dello Stato. |
E' il caso dell'annosa vertenza, che si trascina dal 1555, tra
gli eredi del capitano Roberto Santoni di Jesi, proprietario di vaste
estensioni di terra nel Falconarese, e la comunità locale che si vede privata
di una notevole somma di tributi per una pretesa esenzione dei Santoni. |
E va aggiunto che a fianco della famiglia Santoni, altri
gruppi familiari, addirittura non residenti, come quello dei Duchi di Urbino
o dei Cesarini di Civitanova, possidenti di terre nel Falconarese, non pagano
gabelle in quanto appartenenti al ceto nobiliare, privilegiato, e quindi
favorito in alcune esenzioni dal pagamento delle imposte indirette. |
Passano pochi mesi dalla firma dell'intesa del marzo 1582 e
nel consiglio comunale di Ancona viene riproposta all'ordine del giorno la
nomina di procuratori, incaricati di affiancare i rappresentanti di
Falconara, nel tentativo di raggiungere un onorevole compromesso con gli
eredi Santoni, e in primo luogo con il marito di Giovanna Santoni,
Guid'Ascanio del Monte. |
Egli attraverso il matrimonio con la ricca ereditiera ha dato
il via all'espansione della sua famiglia nell'Anconitano, forte dei diritti
feudali già da tempo riconosciuti sulla terra di Mombaroccio nel Pesarese, e
in quanto appartenente alla potente casata dei del Monte, marchesi di S.
Maria, tra Umbria e Toscana. |
Nella deliberazione del consiglio di Ancona si dà tempo un
mese per trovare un accomodamento. |
Un tempo che presto si rivelerà insufficiente anche perchè
occorrerà adire le sedi giudiziarie romane. |
Solo nell'estate del 1584 si giunge ad un compromesso tra i
del Monte e i rappresentanti del Comune di Ancona, nelle persone di Girolamo
Benincasa, di Pietro Leoni, di Gabriele Ferrantini, di Nicolò Trionfi, nonchè
quelli di Falconara Girolamo di Giacomo, detto Girone, Rocco di Simone,
Giovanni Paolo Angelucci. |
Il 22 dicembre 1584 le parti si ritrovano nell'abitazione
anconitana dei marchesi del Monte, in parrocchia di S. Pietro, e alla
presenza del notaio Ascanio Stracca viene steso l'atto col quale i del Monte
si impegnano a pagare la somma di cento scudi, al depositario di
Ancona, per le tasse degli anni decorsi e altri cento scudi allo stesso depositario
nel corso del successivo quadriennio, a rate di venticinque scudi l'anno,
sempre al fine di appianare i vecchi debiti sia nei confronti della tesoreria
di Ancona, che di quella di Falconara. |
I del Monte poi acconsentono a pagare l'imposta sul terratico
per le proprietà inscritte nel catasto di Falconara e a contribuire al
sussidio triennale sui cavalli morti, applicata per lo più sui capi di
bestiame posseduti. |
Ai del Monte viene riconosciuta l'esenzione, senza darne
chiara ragione, dalla tassa sulla carne porcina. |
In tal modo Falconara non solo può recuperare una quota
significativa dei tributi necessari a raggiungere la somma richiesta dallo
Stato come colletta camerale, ma ottiene il ben più ambito obiettivo
di limitare l'affermazione della famiglia dei del Monte in Falconara e
dintorni. |
I del Monte già possiedono oltre alle terre, molti
appartamenti nel castello e case nel borgo, e il timore dei Falconaresi è
quello che la ricca famiglia, arrivata a Falconara da non più di quattro
decenni, punti in quegli ultimi scorci del Cinquecento a divenire la più
forte nel territorio dando vita ad una signoria, alla stregua di quanto avvenuto
diversi decenni prima nella non lontana Mombaroccio. |
Ciò avrebbe dato luogo ad una difficile convivenza e avrebbe
certamente leso le poche autonomie comunali godute dai Falconaresi. |
S'avverte in questa vicenda una prima forte affermazione della
volontà dei ceti medi produttivi per tenere il controllo di alcuni gangli
della vita politica locale. |
E in Falconara, un piccolo centro dell'Adriatico con un basso
animato, sfuggito alle attenzioni delle famiglie titolate, la nascente
borghesia non è disposta all'apertura di alcun tipo di varco attraverso il
quale un gruppo familiare sopravanzi gli altri. |
Il consiglio degli uomini di Falconara prosegue ed attua, pur
nei limiti della sua modestia, le linee della politica del pontificato di
Paolo IV, sostenitore della sovranità limitata delle comunità e ben disposto
ad aiutare i grandi mercanti nell'ottenere locazioni di feudi papali a
scapito delle più antiche famiglie di sangue. |
Il caso dei nobili Orsini, nella provincia pontificia del
Patrimonio, ridotti ad affittare parte del feudo ai ricchi mercanti
fiorentini dei Cavlcanti, è un esempio sintomatico di una realtà nuova che
pian piano investe l'intera area dei domini della S. Sede: una politica di
rinnovamento delle basi sociali dello Stato proseguita dai successori Pio IV
e PIo V, fino a Gregorio XIII. |
Di quest'ultimo pontefice si ricordano, tra i tanti
provvedimenti, la riforma della Camera Apostolica e una generale revisione
della legislazione finanziaria. |
Non a caso quindi il lodo del 1582 dà buoni risultati. |
Esso rappresenta una minima attuazione di un programma ben più
vasto di revisione istituzionale annunciato e condotto avanti da Gregorio
XIII. |
Non mancano però altre occasioni in cui la solidarietà e il
buon vivere vengono meno tra Ancona e le comunità delle castella. |
E' sempre la distribuzione dei carichi fiscali a suscitare
risentimenti e contrasti e ad aprire lunghe vertenze giudiziarie. |
Ancora nel XVII secolo, o meglio a precisare nel 1614, è
necessario un pronunciamento del governatore di Ancona, il milanese Onorato
Visconti, per costringere il Comune capoluogo e le università degli uomini
dei castelli del contado a firmare un atto di concordia nel quale è definita
la controversa questione, aperta nel 1567, sulla tassazione dei beni
posseduti dai cittadini nel contado e dai contadisti in città. |
Nel settembre del 1614 il consiglio comunale di Ancona vota la
ratifica e approva l'instrumento di transazione e concordia redatto dal
notaio Cicconi, con l'assistenza del notaio Sbordiga, il 7 agosto
antecedente, alla presenza dei deputati di Ancona Francesco Cresci, Antonio
Giachelli e Girolamo Hiparchi, e i deputati dell'Università di tutto il
contado Girolamo Simonelli di Monte S. Vito, Tommaso Borresi di Offagna,
Domenico De Vecchi di Camerano e Domenico Biondi di Polverigi. |
Nell'atto di conciliazione si prevede che le tasse sui beni
stabili e sui terreni sono fissate autonomamente dalla città e dal contado
sulle proprietà accatastate, indipendentemente dalla residenza dei
proprietari. |
Si permette così ai castelli di incamerare direttamente i
tributi per il terratico, dovuti dai cittadini anconetani per i beni
posseduti nelle pertinenze dei castelli. |
Non è un provvedimento da poco se si considera che la maggior
parte dei terreni circostanti i castelli sono posseduti dai cittadini di
Ancona. |
Mentre invece sono piuttosto rari i casi di possedimenti di
contadisti entro il perimetro urbano. |
Ad ulteriore incremento delle entrate dei castelli si
stabilisce pure di autorizzare le comunità all'applicazione di proprie
gabelle sul bestiame, comprese le affide e le stime, limitatamente
però ai capi posseduti dalla parte colonica. |
Inoltre è previsto che le stesse comunità possano aumentare
alcune gabelle onde rinvenire i mezzi necessari al pagamento delle
retribuzioni e al rifornimento delle guardie di spiaggia, allorquando
si rivelerà necessaria la costituzione di un tal corpo di vigilanza costiera. |
Il che può succedere più facilmente in occasione della
propagazione di epidemie, al fine di creare cordoni sanitari, e ogniqualvolta
si diffonde la notizia di probabili attacchi dal mare di bande piratesche,
più spesso identificabili sulla costa anconitana con gruppi animosi di
uscocchi, alla ricerca di facili prede, e provenienti dalla sponda opposta
dell'Adriatico, ove trovano facile e sicuro riparo nella frastagliata costa
dalmata. |
Non si vorrebbe però tirare troppo il discorso in una lunga
disamina della sovrabbondante documentazione relativa alle dispute di natura
finanziaria. |
S'è visto come spesso accadeva che una causa si accavallasse
all'altra, e che alcune disposizioni emesse per quietare una lite
costituissero lo spunto per l'avvio di nuovi procedimenti di fronte alle più
svariate sedi della giustizia amministrativa dello Stato pontificio. |
Lo "spirito riformatore" del Settecento, che investe
lo Stato ecclesiastico almeno a partire dal pontificato di Clemente XII e
s'avverte di più durante quello di Benedetto XIV, colto appieno nei preziosi
studi di Dal Pane, si può dire faccia emergere un nutrito stuolo di cultori
di una nascente scienza della pubblica amministrazione. |
Tra le maggiori opere edite nel primo Settecento, che si
potrebbero prendere come veri e propri tentativi di prima codificazione di
norme per la gestione della cosa pubblica, in senso moderno, vanno ricordati
i ponderosi volumi del De Bono Regimine, stampati sotto gli auspici di
Papa Clemente XII e del card. Rivera, in gran parte curati dal giurista
romano Pier Andrea Vecchi. |
Un testo che vien messo a disposizione di ogni cancelleria
pubblica, e la presenza nella biblioteca comunale di Falconara di copie del
secondo e terzo tomo, i più utili nel disbrigo degli affari relativi alla
gestione di un Comune, è la testimonianza viva di un frequente ricorso alla
loro consultazione da parte dei segretari comunali che si succedono a
Falconara tra Settecento e Ottocento. |
Non è detto che l'acquisto delle copie per la cancelleria
falconarese non sia stata un'iniziativa del segretario Biloni, che già si è
visto particolarmente attento a seguire le disposizioni per un corretto
indirizzo della vita comunale, tanto da trattenerlo a Falconara per oltre quattro
decenni. |
Anche la citata monografia del governatore Bussi degli anni
Sessanta dello stesso secolo può passare come un'appendice o meglio
una glossa all'opera del Vecchi, con l'intenzione evidente da parte
dell'autore di far comprendere meglio ai podestà le disposizioni emanate dal
governo centrale, operando un raccordo con la normativa locale. |
Da qui i ripetuti richiami di qualche rubrica dello Statuto
anconitano, il testo di principale riferimento nell'amministrazione dei
Comuni prossimi ad Ancona fin quasi all'Unità d'Italia. |
La possibilità di avere a disposizione un segretario comunale
attento ai doveri del suo ufficio permette a Falconara di godere, nella
seconda metà del Settecento, di una stabilità del governo locale, facilitata
anche dalla pressocchè continua presenza, sicuramente nel periodo 1747-1760,
del podestà Saverio Rossi, segno evidente di un'incontrastata stima dei
Falconaresi nell'equilibrato operare del podestà. |
Con lui non muta granchè neppure la composizione delle
compagini comunali che si susseguono e aiutano il podestà nel disbrigo degli
affari pubblici. |
Anno dopo anno sono i membri delle stesse famiglie dei Gratti,
dei Gerundini, dei Marini, dei Pauri, dei Pighetti, degli Scaradozzi a
passarsi di mano le maggiori cariche all'interno del Comune. |
Essi garantiscono una solidità del governo locale e fanno
ipotizzare la formazione di un'embrionale oligarchia borghese, adattata al
luogo, che ha pure una sua continuità in quanto le stesse famiglie si
ritrovano nel secolo successivo e continuano a presenziare il Comune fino ai
primi decenni del Novecento. |
La stabilità politica dà frutti anche nella gestione economica
e se si osservano le tabelle comunitative si nota come il pareggio tra
entrate e spese sia quasi una costante alla fine di ogni anno finanziario. |
Ciò permette pure lo sviluppo, che seppur condotto a piccole
tappe, porta ad una trasformazione del tessuto urbano falconarese, con una
crescita degli abitanti e un maggior impiego della manodopera nei servizi
presso ditte e famiglie della vicina Ancona, in un aumento delle iniziative
artigianali ed infine in un più razionale sfruttamento delle campagne con un
rinnovamento delle colture e una generale revisione del patto mezzadrile,
portato a condizioni un pò più favorevoli per l'agricoltore. |
L'indice più apprezzabile della crescita di Falconara sul
finire del Settecento è fornito dall'aumento della popolazione passata
celermente dai 1.500 abitanti circa dei primi anni Settanta ai quasi 2.000
della fine del secolo. |
Quale ulteriore prova di una fortunata stagione e
dell'incremento avuto dalla vita locale nell'ultimo decennio del XVIII secolo
si può far riferimento alla deliberazione del 21 luglio 1794 con il quale il
civico consesso falconarese decide la costruzione di una nuova sede per gli
uffici comunali. |
Viene incaricato della progettazione dell'edificio
l'architetto Pietro Zara, il quale è in grado, nel giro di un breve lasso di
tempo, di far pervenire ai consiglieri il disegno e la stima dei lavori
necessari per innalzare un palazzetto suddiviso in un piano terra, due
altri piani con copertura a solaio, un campanile per la campana pubblica, con
una spesa prevista di 384,87 scudi. |
A parere dei priori Antonio Pauri, Domenico Belardinelli e
Giovan Battista Ricciotti, urge la costruzione di una nuova residenza
comunale per poter disporre di un'adeguata abitazione per il podestà, privato
della solita casa affittata dalla famiglia Fatati, al canone di 8 scudi
l'anno pagato dalla comunità. |
Al versamento della pigione di 8 scudi contribuiscono la
comunità di Falconara per 4 scudi e quelle di Camerata e Paterno, per 2 scudi
ciascuna, in quanto il podestà residente a Falconara estende la sua
giurisdizione anche sulle due comunità vicine. |
L'urgenza di trovare un'abitazione per il podestà deriva
dall'improvvisa decisione della famiglia Fatati di cedere la proprietà della
casa a don Angelo Paladini, a sua volta pressato dalla necessità di poter
godere della nuova abitazione. |
Nella deliberazione consiliare si stabilisce pure di cedere a
terzi la vecchia sede comunale, posta in un sito nascosto del paese, fornita
di una scala d'accesso all'unica stanza utilizzata per le riunioni del
consiglio. |
L'edificio piuttosto mal ridotto e la scala dell'ingresso,
sistemata allo scoperto, negli ultimi tempi, a causa di dissesti vari, è
divenuta insicura tanto che lo stesso pievano Frampoli, in un giorno in cui
ha deciso di recarsi ad una seduta del consiglio, allargata ai deputati
ecclesiastici, era caduto procurandosi fastidiose contusioni. |
Dalla vendita, per stare ad una perizia del mastro muratore
Giovanni Severini di Montemarciano, è possibile in quegli anni ricavare la
somma di 256,71 scudi. |
Se a tale cifra si uniscono gli 8 scudi pagati per il nolo
dell'abitazione per il podestà, ancora altri 8 scudi per la pigione di una
casa di proprietà della Pieve ad uso di abitazione del Commissario e dei
birri, e altri 6 scudi pagati per due stanze prese in affitto da Domenico
Biloni, per il magazzino ove ammassare i generi alimentari raccolti dalla
pubblica annona, si può radunare il denaro sufficiente a garantire il
pagamento degli interessi per il prestito da sottoscrivere onde disporre
della somma necessaria per innalzare la nuova sede. |
L'architetto Zara ha infatti previsto di ricavare
nell'edificio, oltre all'abitazione per il podestà, una capiente sala per le
riunioni del consiglio, l'ufficio di segreteria, l'abitazione per il
Commissario, un magazzino per l'Annona, un altro per i legnami, una
camera per i birri, un camerino per i carcerati e una cantina. |
La risoluzione approvata all'unanimità degli undici
consiglieri presenti è immediatamente inviata al Buongoverno per la
nececssaria autorizzazione. |
Appena in possesso del permesso dell'ufficio centrale di
controllo sugli atti amministrativi, si dà avvio alla costruzione e il 5
marzo 1795, in una ulteriore tornata del consiglio, si delibera di elevare
l'edificio con l'aggiunta di un altro piano, da destinare all'abitazione del
medico condotto. |
Non ci sarebbe quindi più bisogno di continuare a pagare il canone
di 6 scudi l'anno versato dalla comunità per assicurare un tetto al medico. |
L'elevazione del terzo piano alza il preventivo di spesa fino
ad oltre i mille scudi, e la comunità è certa di rinvenire i mezzi necessari
per far fronte agli impegni. |
Del resto c'è sempre da percorrere la solita via del prestito
garantito dalle entrate comunitative. |
Ecco la ragione per cui le tabelle della comunità degli ultimi
anni del Settecento non chiudono più a pareggio e per diverse annualità si
sopporta il carico degli interessi pagati sui mutui contratti per innalzare
la nuova residenza, in quella piazza centrale dell'antico borgo, a fianco
delle mura esterne del castello, tuttora visibile. |
La facciata sulla piazza è adornata, nei primi anni
dell'Ottocento, di una macchina oraria, che ha bisogno però d'essere
sostituita nel 1827 per la sua vetustà. |
Un nuovo orologio viene commissionato ad Antonio Palazzi di
Montesicuro, il quale nel progetto presentato al Comune fornisce una
dettagliata descizione del meccanismo funzionante per mezzo di bilancieri e
congegni di nuova invenzione, con un quadrante in pietra d'Istria, le
lancette in bronzo dorato e le ore in piombo. |
La scansione del tempo è data da una campana che batte le ore
e i quarti. |
Il costo è di 215 scudi. |
La residenza comunale, appena ultimata, diviene luogo
d'incontro e di scambio di opinioni. |
Tra quelle mura si vivono le calde giornate dei mesi che
precedono l'arrivo dei francesi, avvenuto nel febbraio del 1797. |
In quelle stesse stanze si alzano le grida e i canti
inneggianti alla democrazia e alla libertà, si decide la composizione del
governo rivoluzionario, si ascolta la lettura dei messaggi del generale
Bonaparte o dei suoi luogotenenti, dalla viva voce degli uomini messi a capo
della municipalità del cantone rurale. |
Una grande influenza sulle scelte dei Falconaresi nel periodo
giacobino la esercita Francesco Montino del Monte, persona ben nota a
Falconara, quale maggior possidente tra i nobili e non nobili, e presto
divenuto uomo di spicco nella municipalità di Ancona, ove vien eletto a capo
del governo provvisorio repubblicano e componente la missione a Milano che
tratta l'ingresso di Ancona nella Cisalpina. |
Francesco del Monte è ognora presente nella vita falconarese e
pronto a contribuire al risanamento dei debiti comunali, prestando di tasca
sua quanto necessita per far fronte alle più impellenti esigenze. |
Anche nella vicenda della costruzione della residenza comunale
il del Monte interviene con la concessione di denaro a cambio, per una
somma pari a 450 scudi, al tasso del 5%, capace di garantire alla comunità i
fondi necessari per l'ultimazione dell'edificio e per l'allestimento degli
arredi interni. |
Tramontata la breve stagione democratica, non muta gran che
l'atteggiamento di Falconara nei confronti del restaurato governo pontificio,
anzi si torna ad affermare con un più fresco linguaggio i limiti di
un'indipendenza da Ancona, e non mancano continui riferimenti alle vertenze
vinte di fronte alla magistratura nel corso del Settecento. |
Si ricorda spesso agli Anconetani il contributo fornito da
Falconara, senza troppe ritrosie, per sostenere la municipalità giacobina,
tanto da evitare il verificarsi della necessità di ricorrere ad interventi
repressivi contro i Falconaresi, al contrario di quanto avvenuto per altre
comunità castellane. |
Vengono più volte ricordate la forzata unione in un'unica
comunità di Sirolo e Numana e la soppressione dei comuni di Castel d'Emilio,
di Poggio e di Massignano, trasformati in entità soggette ad Ancona nel 1798. |
Nessuno poi dimentica le minacce rivolte in quei mesi alle
popolazioni di Monte S. Vito e Chiaravalle, onde quietarle e sottometterle ad
Ancona. |
Si torna a ripetere che la vicinanza di Francesco del Monte
giova ai Falconaresi, e la cautela adoperata dal regime restaurato nei
confronti della famiglia dei del Monte permette ai suoi esponenti di
affiancare, se non proprio controllare, quanto vien deliberato in seno al
consiglio comunale. |
Inutile dire che Francesco del Monte è tra quanti sorreggono
Falconara nel portare avanti, a partire dal 1802, la "risorta"
questione, se così si vuol intenderla, con Ancona per la delimitazione dei
rispettivi territori comunali e per l'esercizio dei carichi fiscali su
terreni siti in Falconara e posseduti da cittadini anconetani. |
Sono alcune proprietà degli Storani, dei Bonandrini, dei
Fatati, dei regolari di S. Giovanni Battista in territorio di Barcaglione, e
i possedimenti di Bonizio Trionfi, nella vasta e ricca piana delle Poiole, a
riacutizzare un contrasto con Ancona, che sembrava definitivamente risolto
con la sentenza del Buongoverno del 1783. |
Come sempre le prove addotte dalle due comunità sembrano dar
ragione ad entrambe. |
Ancona non si dà per vinta e neppure Falconara è disposta a
retrocedere. |
Varie persone tentano di pacificare i due Comuni, avanzano
proposte conciliative di diversa portata e abbastanza accomodanti. |
L'effetto ottenuto è una radicalizzazione della controversia
che arde soprattutto sull'antica appartenenza delle terre delle Poiole al
Comune di Ancona e tenute in enfiteusi, dal 1756, dalla famiglia Trionfi,
rappresentata in quel tempo da Bonizio Trionfi, figlio del magnate Francesco. |
Non è possibile alcun tipo d'accordo e Ancona porta la disputa
di fronte al Buongoverno affidandosi alla difesa dell'avvocato Vincenzo
Salvadori, assistito da Paolo Fiorelli. |
Il 1° giugno 1805 il ponente mons. Paolino Mastai
Ferretti, della nobile famiglia senigalliese, zio di Giovanni Maria, il
futuro Pio IX, illustra le ragioni di Ancona di fronte al Tribunale del
Buongoverno. |
Non si ottiene un'immediata sentenza; la decisione è rinviata
e il suggerimento è quello che nel frattempo si trovi la via per un'intesa. |
In tutti i modi si cerca di trovare un punto d'incontro, e da
Roma giunge nell'ottobre del 1807 l'uditore del Buongoverno Carlo
Solandieri col mandato di compiere un'ispezione ai luoghi in oggetto della
contesa. |
Egli riesce a stendere una ipotesi d'accordo, la quale viene
accolta con favore dai Falconaresi ed è invece respinta a pieni voti, 35
contrari su 35 consiglieri presenti, nella seduta del consiglio comunale di
Ancona del 3 novembre 1807. |
Non c'è più tempo per riesaminare l'intera questione. |
Gli eserciti napoleonici sono sempre più presenti nello Stato
pontificio e il 12 febbraio del 1808 il tricolore francese torna a sventolare
ad Ancona, appena giunta la notizia dell'avvenuta occupazione di Roma. |
Il 2 aprile 1808 le provincie di Urbino, Ancona,
Macerata e Camerino sono "irrevocabilmente e in perpetuo riunite"
al Regno d'Italia, con capitale Milano. |
L'11 maggio i rappresentanti francesi prendono possesso dei
territori innalzando "le armi del regno". |
Nel decreto di riunione delle province adriatiche al Regno
d'Italia si stabilisce anche la suddivisione delle Marche in tre dipartimenti
"organizzati tanto nell'amministrazione, quanto nel giudiziario, secondo
le leggi e i regolamenti del regno". |
Ciò significa l'immediata applicazione dei codici napoleonici
e l'organizzazione dei pubblici uffici a somiglianza di modelli già
sperimentati in Francia e nel nord d'Italia, nei quali sono previste larghe
concessioni di autonomia ai poteri locali, seppur per ogni decisione presa a
livello periferico occorra il vaglio dell'autorità prefettizia, saldamente
legata e fedele al potere centrale. |
In quest'operazione l'Italia ci guadagna. |
Al piccolo centro a nord d'Ancona viene riconosciuta piena
autonomia comunale e col decreto del 28 giugno 1808, firmato a Monza dal
vicerè Eugenio, sono nominati i savi ai quali spetta l'amministrazione
del Comune. |
Essi sono scelti nelle persone di Francesco Marini, di Antonio
Pauri, di Bernardo Palladini, di Ciriaco Rossini. |
Formano insieme una giunta presieduta dal podestà Angelo
Gerundini, a sua volta nominato con un altro decreto emanato nello stesso
giorno. |
Il podestà Gerundini e i savi governano un territorio
che va oltre i consueti confini del Falconarese, comprendendo anche la vicina
Camerata. |
Le persone scelte dal vicerè Eugenio non sono nè più nè meno
che le stesse avvicendatesi nel passato prestando eguali servizi sotto la
bandiera pontificia, sotto quella repubblicana ed ora sotto quella
dell'impero napoleonico. |
Gli stessi nomi si ritrovano nelle compagini comunali degli
anni della restaurazione pontificia, dopo il 1815, durante i quali Falconara
mantiene le sue prerogative comunali allargando il suo territorio fino a
comprendere l'abitato di Castelferretti. |
Qui, per le leggi eversive della feudalità, volute e sostenute
dal Consalvi, è definitivamente tramontata la contea della famiglia Ferretti,
la quale dalla fine del Trecento a tutto il Settecento ha tenuto il paese
esercitandovi ampi poteri, e rispondendone direttamente solo ai pontefici. |
Nell'Ottocento è difficile trovare momenti di screzio tra la
comunità falconarese e quelle limitrofe, nonostante le ripetute variazioni
delle confinazioni nazionali a seconda del mutare delle norme giuridiche
sulla composizione e distribuzione dei governi provinciali e comunali dello
Stato pontificio. |
Nella prima metà del secolo c'è un certo risveglio politico e
resta notorio il gesto compiuto il 14 aprile del 1839 da uno sparuto gruppo
di Falconaresi che al seguito di un alfiere, con tanto di tricolore italiano,
e al canto di inni patriottici, raggiunge Castelferretti, sicuro di trovarvi
l'appoggio necessario per una manifestazione contro l'autorità pontificia,
per la diffusa presenza nel paese di elementi antipapali. |
Succede una zuffa e Giuseppe Girolimetti vien riferito,
creando sconcerto negli amministratori falconaresi, sui quali ricadono accese
reprimende del Delegato apostolico di Ancona e di varie autorità romane. |
L'episodio è una testimonianza rivelatrice di una
partecipazione dei Falconaresi ai movimenti risorgimentali piuttosto rara,
veramente. |
Nonostante ciò siamo certi di una forte presa del
mazzinianesimo anche da queste parti, e le prove più valide sono fornite da
personaggi chiamati a dirigere la vita pubblica dopo l'annessione di
Falconara al resto dell'Italia unita. |
Il tranquillo passaggio dell'amministrazione locale dal regime
papale a quello sabaudo è sancito nel corso di una solenne e straordinaria
seduta del civico consesso tenutasi il 20 marzo 1861, ad appena tre giorni
dall'avvenuta proclamazione dell'Unità d'Italia col discorso di Vittorio
Emanuele II al parlamento subalpino. |
Nei primi dieci anni dopo l'Unità Falconara conosce una prima
grande espansione urbana, con un incremento delle abitazioni nella frazione
Marina, e un conseguente aumento della popolazione, che nell'intero
territorio comunale passa dalle 4.196 unità del 1861 a 4.487 nei primi anni
Settanta. |
La sola frazione Marina fa registrare nel 1871 721 abitanti,
contro i 490 di un decennio prima e la ragione di un così rapido sviluppo si
spiega con l'entrata in funzione dello snodo ferroviario che collega Ancona
con Bologna e con Roma. |
La possibilità di poter disporre di facili collegamenti
stradali e su rotaia permette l'insediamento a Falconara di industrie di
trasformazione, limitata dapprima dal settore agricolo-alimentare, e di
agenzie di trasporto e di commercio. |
Negli anni s'afferma poi un nuovo tipo d'economia fondata sul
turismo balneare, e la spiaggia falconarese assurge a notorietà nazionale,
sopratutto negli anni a cavallo tra i due secoli, e fino alla prima guerra
mondiale. |
Nei primi anni del Novecento si registra un altro vertiginoso
aumento della popolazione residente, a vantaggio sempre della frazione
Marina, dove gli abitanti censiti nel 1901 sono 1.319, saliti nel 1922 a
2.234, su 6.443 abitanti contati nell'intero territorio comunale. |
Il primo decennio del XX secolo vede Falconara partecipe delle
tensioni, delle speranze e del progresso dell'Italia. |
Con notevole frequenza nella frazione Marina si tengono
riunioni, convegni e congressi di organizzazioni politiche e sindacali. |
Molto attivo è il sindacato ferrovieri che in Falconara conta
numerosi aderenti e le lotte per l'emancipazione dei dipendenti delle società
ferroviarie sono abbastanza seguite in un centro abitato dove le famiglie con
un reddito derivato dall'impiego nelle ferrovie sono la stragrande
maggioranza. |
Tale vivacità di incontri ad ogni livello politico crea
fermenti vivi per la formazione di gruppi dal chiaro programma riformista. |
I partiti operai e della sinistra in genere godono di ampia
popolarità e permettono la formazione di giunte comunali abbastanza stabili,
tant'è che il sindaco repubblicano Orlando Mondaini riesce a restare alla
guida dell'amministrazione comunale pressochè ininterrottamente dal 1906 al
1920. |
In quegli anni, nonostante la non breve parentesi della guerra
mondiale, si registra una crescita del centro urbano di Falconara e la
cittadina viene dotata di tutti i servizi pubblici e sociali che necessitano
ad un moderno centro abitato. |
Negli anni Venti è talmente aumentata d'abitanti la frazione
Marina da divenire il più grosso agglomerato del territorio comunale. |
Per agevolare l'afflusso agli uffici comunali, ridimensionati
nella vecchia sede nel centro storico, si opta per la costruzione di una
residenza municipale situata a metà collina, affidandone la realizzazione
all'ingegnere Giovanni Bianchi. |
La nuova sede è ufficialmente inaugurata nel 1925. |
Nel frattempo la lunga esperienza amministrativa del sindaco
Mondaini si interrompe bruscamente nel 1920, dopo un'inutile resistenza
contro i primi duri attacchi dello squadrismo fascista. |
Numerosi episodi di violenze contro le persone e le cose
segnano il biennio 1920-22 e il fatto più clamoroso resta la calata a
Falconara, su trasporti ferroviari, di camicie nere umbre, toscane e
romagnole che nella notte del 5 agosto 1922, insieme ai fascisti
locali,assaltano, devastano, danno alle fiamme le sedi dei circoli dei
ferrovieri e dei cacciatori, ritenuti luogo di raduno dei simpatizzanti per i
partiti della sinistra. |
Nei mesi dell'autunno del '22 altre violenze sono perpetrate
contro alcune sedi di partito e privati cittadini. |
L'impossibilità di reagire alle sopraffazioni porta
all'apertura di una crisi politica dalla quale non sarà facile uscire. |
Nel novembre del 1922 e nell'aprile del 1923 si tengono due
turni di elezioni amministratrive dopo i quali non è possibile dar vita a
giunte stabili. |
Falliscono uno dietro l'altro i tentativi di Gironzi e
Radicioni per salvare le istituzioni democratiche. |
La strada è aperta perchè il Comune cada in mano a persone
fedeli al fascismo e allorquando il regime mussoliniano ha il pieno controllo
di tutti i poteri dello Stato e il Governo vara un provvedimento legislativo
di riforma delle autonomie locali, Falconara è tra i primi Comuni d'Italia ad
essere soppresso. |
Col decreto del 15 aprile 1928 (n. 882) ha inizio un ventennio
durante il quale il territorio comunale è smembrato in due parti. |
La porzione a nord dell'Esino, fino al confine con il Comune
di Montemarciano, è ceduta al Comune di Chiaravalle, mentre le zone a sud
dell'Esino, compresa Castelferretti, sono assorbite dal Comune di Ancona. |
E' una situazione che non sarà mai accettata di buon cuore dai
Falconaresi, anche perchè c'è un'elevata insensibilità da parte dei Comuni ai
quali sono stati aggregati i territori falconaresi ad assolvere alle esigenze
degli abitanti, e cresce il malcontento. |
All'indomani della Liberazione si costituisce un Comitato, del
quale fanno parte i rappresentanti delle forze politiche e sindacali,
ricostituitesi dopo la caduta del regime, e formatesi durante la Resistenza. |
Il Comitato stila un documento col quale si chiede al Governo
nazionale il riconoscimento dell'autonomia comunale a Falconara. |
Occorre attendere parecchi mesi e superare contrasti e
opposizioni di varie forze politiche e di gruppi di interesse per ottenere, a
breve distanza dalle elezioni politiche, per il primo Parlamento repubblicano
previste per l'aprile del 1948, la firma del decreto con il quale è
ricostituito il Comune di Falconara, e pubblicato il 2 marzo 1948 sulla
Gazzetta Ufficiale della Repubblica. |
Da quella data, presto si arriva alle elezioni del novembre
che danno la vittoria alle formazioni della sinistra e permettono di
insediare la giunta capeggiata da Giannetto Cionna. |
Si apre un altro periodo di rapida crescita per Falconara
favorito dall'insediamento di stabilimenti industriali e lo sviluppo diviene
vertiginoso negli anni Sessanta per il massiccio afflusso di gente dalle zone
interne della regione, conseguente allo spopolamento delle campagne e delle
zone dell'alta collina e della montagna marchigiana. |
Non va sottovalutata anche una certa emigrazione dal meridione
d'Italia. |
Il richiamo è costituito dalle larghe possibilità d'impiego
possibili negli uffici della pubblica amministrazione nel vicino capoluogo di
regione, nonchè presso le numerose imprese private. |
La possibilità di disporre di comode vie d'accesso ad Ancona e
precise scelte politiche della civica amministrazione tendenti a facilitare
la crescita urbanistica e residenziale permettono a Falconara di passare
sveltamente dai 13.000, o poco più, abitanti dell'inizio degli anni
Cinquanta, agli oltre 24.000 sul finire degli anni Sessanta, ai 30.000 e
passa di questi ultimi anni Ottanta. |
Il Comune di Falconara viene oggi a collocarsi tra i primi,
per numero di abitanti, nelle Marche, superando centri dell'entroterra di
lontana origine storica. |
Alle soglie del XXI secolo si pone il problema di limitare
l'incontrollato sviluppo per rendere la città più vivibile, e non a caso
negli ultimi tempi si sente sempre più parlare di una rifondazione di
Falconara. |
Simili intenzioni non potranno realizzarsi senza tener conto
del ricco passato di storia e della connaturale abitudine dei Falconaresi per
l'apprezzamento delle libertà singole e per il rispetto della vita
comunitaria. |