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STORIA DELLA CHIESA DI ANCONA
CAPITOLO I: STORIA DELLA DIOCESI DI ANCONA, IL PRIMO MILLENNIO
CRISTIANO
La storia della Chiesa di Ancona è la storia di una delle chiese più
antiche. Anche se mancano documenti che possono attestare l'epoca precisa della
sua costituzione, testimonianze non sospette e di notevole peso lo assicurano.
La più antica notizia relativa alla presenza di una Comunità
Cristiana in Ancona, che doveva avere una sua provata efficienza, è quella
contenuta in un'omelia pronunciata da Sant'Agostino nella sua Cattedrale di
Ippona e riportata nei suoi Sermones. Intorno alla Pasqua dell'anno 425, S.
Agostino ha occasione di parlare al suo popolo su S. Stefano, spinto da un fatto
miracoloso che avviene nella sua cattedrale.
1.1 UNA TRAGEDIA FAMILIARE
Un giovane pellegrino di Casarea di Cappadocia arriva ad Ippona. Egli viene
cosi da lontano perché compie un pellegrinaggio, visitando i Santuari
più noti del suo tempo, al fine di ottenere la guarigione da un male
misterioso, frutto di una maledizione materna. Ad Ippona riceve questa grazia
e ne dà conto al Vescovo, compilando una relazione sui fatti che precedono
e provocano l’infermità, sui Santuari visitati e come, finalmente,
viene esaudito(1).
All'origine vi è una squallida storia familiare. Un padre che abbandona
la famiglia, dei figli piuttosto turbolenti, una madre che cerca di salvare
il salvabile e che, ad un certo punto, visto il contegno dei figli, non ha più
la forza di andare avanti. Allora maledice i figli e si uccide. Da quel momento,
i figli si ammalano di un male misterioso quindi si ravvedono ed iniziano il
loro itinerario di penitenti, pellegrinando per i Santuari in cerca della guarigione.
Paolo, il sesto di questi dieci figli con la sorella a lui minore, è
arrivato ad Ippona. Il primogenito, egli dice, la grazia la meritò a
Ravenna, nel Santuario del glorioso martire S. Lorenzo, mentre noi abbiamo continuato
il nostro viaggio e tra i celeberrimi luoghi che abbiamo visitato siamo stati
“anche in Ancona, città d'Italia dove per l'intercessione del gloriosissimo
martire Stefano, il Signore opera molti miracoli". Lasciamo ora il resto
del racconto di Paolo ed ascoltiamo le riflessioni di S. Agostino.
Il Santo Vescovo prima ammonisce figli e genitori: ai primi raccomanda l'obbedienza
ed ai secondi di non maledire i figli, piuttosto di pregare per loro. Certo,
in quel momento, Agostino doveva ben ricordare le lacrime e le preghiere di
S. Monica, sua madre, alla quale doveva la sua conversione. Poi invita i suoi
fedeli a ringraziare Dio per il miracolo ottenuto ad Ippona da Paolo, miracolo
che non aveva ottenuto in Ancona, dove pure avvenivano molti miracoli.
Ecco, a proposito di Ancona, cosa dice S. Agostino: "...
Memoria ejus (cioè di S. Stefano) antiqua ibi erat et ipsa est ibi...
" e spiega come la reliquia di S. Stefano fosse giunta in Ancona. Quando
lapidavano Stefano, precisa il Vescovo, vi erano anche presenti persone che
non parteciparono alla lapidazione; uno dei sassi che colpirono il Santo, rimbalzando,
cadde davanti ad uno religiosus, un catecumeno probabilmente; questi lo prese
e lo conservò ed, essendo marinaio,
quando toccò il porto di Ancona, gli fu rivelato che colà doveva
lasciarlo. Obbedì e da allora cominciò ad esservi la memoria,
ossia il tempietto dove si conservava la reliquia di S. Stefano ed i miracoli
incominciarono dopo che fu rinvenuto, a Gerusalemme, il sepolcro del Protomartire,
cioè dieci anni prima, nel 415. In dieci anni, la notorietà del
santuario di S. Stefano in Ancona era arrivata in Cappadocia, cioè nella
regione montuosa interna nell'attuale Anatolia (Turchia) e sulle coste algerine.
1.3 IL CRISTIANESIMO VIENE DAL MARE
La testimonianza è molto importante e pone degli interrogativi relativamente
alla presenza di una comunità cristiana in Ancona al tempo del martirio
di S. Stefano, poco tempo dopo la morte di Gesù.
La risposta non è difficile. Come in Palestina la comunità cristiana
uscì da quella ebraica, così anche in Ancona. Molti erano i legami
commerciali di Ancona con le regioni dell'Oriente mediterraneo e con le coste
africane, oltre che con la penisola e le isole greche. Se anche nei secoli anteriori
a Gesù gli Ebrei erano ad Alessandria d'Egitto ed in Ancona si hanno
reperti archeologici che provengono da quella località (2) significa
che vi erano effettivamente linee di navigazione che univano il porto di Ancona
agli altri. Come ad Alessandria, anche Ancona doveva ospitare una comunità
ebraica che, a sua volta, manteneva contatti con la patria d'origine.
E con le merci viaggiano anche le idee, diffuse appunto dai naviganti che informano
di quanto succede nei paesi che loro conoscono durante la navigazione.
Attraverso i naviganti e la Comunità ebraica, dovette formarsi la Comunità
che poi si chiamerà cristiana, vivendo, in un primo tempo, insieme.
La presenza del sasso della lapidazione di Stefano fu causa della separazione
delle due comunità? Certo gli Ebrei osservanti non potevano accettare
di avere in onore un cimelio che testimoniava una condanna a morte per aver
bestemmiato, perché questa fu l'accusa che determinò la condanna
capitale di Stefano. Si dovette allora imporre una scelta precisa e le due Comunità
divennero indipendenti.
1.4 LA MEMORIA DI ANCONA
Il sasso-reliquia rimase sicuramente nascosto sino all’editto costantiniano
del 313, poi, in suo onore fu eretta la memoria ossia un tempietto a pianta
circolare o cruciforme, dove fu deposta con solennità (3).
Questa è la memoria di cui parla S. Agostino, e che definisce antica
e che, ai suoi tempi, esisteva ancora, la stessa che aveva visitato Paolo da
Cesarea con la sorella, e dove avevano implorato invano la loro guarigione.
La certezza dell'esistenza di questa memoria o martyrion, come è anche
chiamata, è pari alla non conoscenza della sua ubicazione. Poteva essere
stata eretta sia nell'ambito della città che nel suburbio e poteva anche
essere stata parte di un complesso culturale.
Il ritrovamento dei resti di una basilica paleocristiana nel 1810, quando venne
formato il baluardo o Lunetta oggi ancora chiamato di S. Stefano, suggerì
a chi ne esaminò i resti, l'abate Antonio Leoni, di identificarli relativi
ad una chiesa eretta in onore del Protomartire e spesso la si riconosce anche
come luogo della memoria. L'identificazione fu basata sulla testimonianza di
S. Gregorio Magno che, illustrando la vita di S. Costanzo, mansionario della
chiesa di S. Stefano in Ancona, nel sec. V, indicava la detta chiesa posta juxta
civitatem e su quella del cronista Lazzaro Bernabei che, nel suo scritto, informa
la chiesa di S. Stefano essere stata eretta da Galla Placidia sul monte fuori
della città, e dalla stessa destinata ad essere Cattedrale. Ma il Leoni
dimenticò di confrontare queste notizie tra loro e con quanto aveva ritrovato
tale riflessione gli avrebbe consigliato maggior prudenza. Però quel
ritrovamento fu il primo che individuò in Ancona un edificio paleocristiano,
il secondo ritrovamento avvenne nel 1879 (4), ed al Leoni non parve vero aver
fatto tale scoperta. Il nuovo impianto militare ebbe così tale nome e
da quello derivarono quelli che indicano una porta sulle mura che col1egano
il baluardo alla fortezza e la via che ad essa conduce. Altro motivo che può
spiegare l'affermazione del Leoni, era la presenza, lungo le pendici del colle
Astagno, non lontano dal luogo ove è ancora il baluardo, di due chiesuole,
erette verso la fine del sec. XVI dal vescovo Lucchi, in ricordo di quella demolita
per la costruzione della fortezza sangallesca e dedicata allo Spirito Santo
e di quella che riproponeva il titolo di S. Stefano, a memoria di quella che
era attestata da S. Gregorio Magno e dai Cronisti. Ambedue le chiese sparirono
durante l'assedio di Ancona del 1799, rese macerie dai combattimenti ivi avvenuti.
Oggi non è più sostenibile tale identificazione.
1.5 LA PRIMA BASILICA DI S. STEFANO
Ma se Paolo di Cesarea e la sorella avevano pellegrinato alla memoria, in Ancona,
tra il 425 ed il 437, probabilmente nel 433, sorge la prima basilica dedicata
a S. Stefano, eretta da Galla Placidia, secondo quanto scrivono i cronisti locali,
spinta a questo atto di liberalità in un momento particolarmente delicato
che la vede riorganizzatrice
dell'Impero Romano di Occidente quale reggente dell'Impero in attesa della maggiore
età del figlio Valentiniano III. Come già sopra accennato, si
conosce soltanto che era sul colle fuori della città e che l'Augusta
volle fosse la Cattedrale della città, dignità che confermò
col farvi traslare, da Gerusalemme, il corpo Di S Ciriaco quale vescovo di Ancona,
morto martire al tempo di Giuliano l'Apostata nella Città Santa, dove
si era recato in pellegrinaggio (5).
Non rimane indicazione e tradizione sull'ubicazione di questa basilica, ma si
può circoscrivere una zona, sulla base di notizie che la danno ancora
presente. Oltre a quanto detto da S. Gregorio Magno nei suoi Dialoghi (6), la
ricorda una bolla vescovile del 1051 ed una di papa Urbano III del 1186 che,
a sua volta, richiama quelle di Innocenzo II (1130-1142) e di Eugenio III (1145-1153)
(7). E' quindi citata, e con la qualifica di insigne, tra le chiese di Ancona,
che soddisfano le decime imposte nel 1290 e 1300 (8). Finalmente, alla fine
del sec. XV, il cronista Lazzaro Bernabei descrivendo' l'assedio posto ad Ancona
da Martino da Faenza nel 1412, precisa che l'accampamento di costui fu posto
sul monte dove era la chiesa di S. Stefano: alla fine del Quattrocento, in Ancona
si conosceva ancora bene il luogo ove era collocata, anche se sembrerebbe, dall'uso
dell'imperfetto, che ormai fosse sparita (9).
La descrizione che Procopio da Cesarea fa di Ancona al tempo della guerra gotica,
nella prima metà del sec. VI, ce la fa vedere come un castello che ha
la rocca sulla sommità dell'attuale colle Guasco, una cinta di mura che
racchiudeva il borgo all'altezza dell'attuale piazza S. Francesco d'Assisi e
molte abitazioni al di fuori delle mura (10). L'ingresso era allora rappresentato
dalla Porta Cipriana., ubicata tra le vie Fanti, dell'Ospizio e Birarelli ;
a questa porta arrivavano due strade, quella che è ora la già
citata via Fanti e quella chiamata via del Faro, ultimo tratto di un percorso
che correva nella zona alta delle colline che si susseguono, lato mare, dalla
località Passetto, luogo ove la strada che proveniva da Numana si divideva
in due tracciati, uno a mezza costa e l'altro sulle colline.
L'ubicazione della basilica di S. Stefano dovrebbe quindi ricercarsi lungo gli
ultimi tratti della via che passava per le colline, il che corrisponderebbe
a quanto scrive papa Gregorio: juxta civitatem sita est. Sarebbe perciò
non sull'Astagno, che è la collina di fronte, ma sul Cardeto o su quello
oggi detto dei cappuccini; quest'ultimo sarebbe poi da scartarsi in quanto ivi
esisteva una chiesa dedicata a S. Cataldo, segno della presenza li una comunità
sicula, atteso il culto che questo Santo riscuote nell'isola, e che darà,
attorno alla metà del trecento, il nome alla Fortezza papale eretta dal
cardinale Egidio Albornoz (11).
Ma vi è anche un'altra eventualità da tener presente. Le frane
hanno profondamente modificato la linea di costa, ed anche recentemente si è
dovuto abbandonare il faro eretto nel 1859. Se la basilica fosse stata eretta
in un luogo non lontano dalla Linea di costa potrebbe essere sparita in occasione
di una frana. A supporre questa eventualità ,la vicenda di una chiesa,
elencata tra quelle che versano le decime nel 1290, S. Maria in Porta Superiana:
come S. Maria in Porta Cipriana - poi S. Anna - era vicina ad una porta della
città, anche questa doveva esserlo ed il nome della porta Superiana,
la dice collocata in alto, anzi nel punto più alto. Questa chiesa, dopo
la sua presenza nel registro delle decime, non figura più tra quelle
del sec. XIV e seguenti, sicuramente scivolata in mare in uno dei movimenti
che interessarono là linea di costa. Con S. Maria in Porta Superiana,
spari’ forse anche S. Stefano Insigne.
1.6 GALLA PLACIDA IN ANCONA
Questo excursus sulla chiesa di S. Stefano è importante perché
la sua costruzione avviene in un delicato e particolare momento della vita di
Ancona. Siamo nel sec. V° l'impero è stato diviso da Teodosio I,
il Grande, tra i suoi due figli Onorio, cui é stato affidato l'impero
di Occidente, ed Arcadio, quale imperatore di
Oriente; oltre ai due fratelli, vi era anche una figlia, Galla Placidia, nata
dalle seconde nozze di Teodosio, alla quale il Senato riconoscerà la
pari dignità dei fratelli, perché figlia dell'Imperatore. Ella
risiedette presso Onorio, ma la sua vita fu piuttosto movimentata, tanto che
Onorio prima l'allontanò da Ravenna, città dove aveva posto la
capitale, abbandonando Milano, là dove aveva regnato Teodosio I, poi
dall'Italia. Galla si recò allora a Costantinopoli dal figlio di Arcadio,
Teodosio II° successo al padre. Nel 423 muore Onorio senza figli e la successione
dovrebbe portare Galla sul trono, ma Teodosio II non è pienamente disposto
e soltanto dopo un tentativo di usurpazione, riconosce a Galla i suoi diritti
ma la lega a se con due condizioni. Il figlio di Galla, Valentiniano , sarà
lui l'imperatore e Galla la reggente in attesa della maggiore età del
ragazzo, come contropartita. Valentiniano sposerà Eudocia, figlia di
Teodosio, e l'Impero di Occidente trasferirà a quello di Oriente il dominio
sull'Illiria. In questo modo la giurisdizione di Teodosio arriva sino all'Adriatico,
pronto ad intervenire se in Italia le cose non avessero dovuto procedere per
il giusto verso. Allora l'unico porto con una certa sicurezza era quello di
Ancona a Ravenna esisteva ugualmente il porto, ma era fluviale e soggetto ad
interramento e come retro terra vi erano paludi. Onorio, proprio per la presenza
di queste si era trasferito da Milano a Ravenna: garantivano la sicurezza da
assalti improvvisi ed imprevisti.
Galla Placidia, ormai Augusta e reggente l'Impero di Occidente, arriva a Ravenna
nel 425 e, dimostrando di essere la figlia di Teodosio il Grande, si adopera
per preparare al figlio un Impero che sappia essere all'altezza di quello di
Oriente. In particolare i suoi sforzi sono rivolti a garantire la fedeltà
di Ancona, rivolta più ad Oriente che ad Occidente, al fine di evitare
che diventasse testa di ponte di Costantinopoli in Italia. Appoggia pertanto
la richiesta che, nel 415, era stata avanzata dalla Città per ottenere
le reliquie di Santo Stefano, dopo il ritrovamento del sepolcro del Protomartire,
in forza all'antico culto, legato alla re1iquia presente sin dai tempi del martirio
del Santo; non potendo soddisfare tale desiderio, fa traslare da Gerusalemme
in Ancona la salma di S. Ciriaco, morto martire colà, dove si era recato
in pellegrinaggio, al tempo di Giuliano l'Apostata (4 maggio 363), riportando
così nella sua sede il Vescovo che ne era morto lontano, secondo un uso
iniziato nel sec. IV, dopo aver ottenuto l'assenso di Costantinopoli in quanto
si sarebbe derogato ad una legge del 386 che vietava l'esumazione e la traslazione
dei corpi dei martiri (13).
A questo intervento di portata internazionale, ne fa seguire due di notevole
valore locale, costruendo la nuova Cattedrale, dove sarà deposto il corpo
del Vescovo Ciriaco, ed un palazzo pubblico che, inizialmente sarà stato
la sede del rappresentante imperiale, quindi della magistratura cittadina (14).
Il periodo in cui Galla può agire liberamente nei confronti di Ancona
è compreso tra il 425 ed il 437, anno quest'ultimo in cui avvengono le
nozze di Valentiniano e in forza delle quali lo stesso assume la maggiore età
e la conduzione dell'Impero. Da considerazioni sui testi dei cronisti, la traslazione
dei resti di S. Ciriaco dovette aver avuto luogo attorno al 434; di questa stessa
epoca, è la chiesa di S. Stefano, la seconda Cattedrale di Ancona (15).
1.7 LA VITA RELIGIOSA DI ANCONA AL TEMPO DELLE ERESIE E I SANTI PELLEGRINO E FLAVIANO
La vita religiosa di Ancona dovette essere abbastanza vivace e non scevra
di scontri. Dopo il Concilio di Nicea, che aveva condannato l'arianesimo, in
Oriente inizia l'eresia di Nestorio ed in Africa il donatismo ed il pelagianismo.
Ancona non dovette trovarsi fuori da tali controversie, religiose in quanto
presenti in città, quale porto, rappresentanti e fautori non sempre sereni
sostenitori delle proprie idee.
Ed è proprio all'inizio del sec. VI, il 21 maggio 500, che Pellegrino
e Flaviano pro Christi nomine passi sunt, come recita l'iscrizione incisa sul
coperchio del sarcofago che conteneva i loro resti. Essi sono i martiri che
si conoscono dopo S. Primiano; ciò fa supporre che, sino ad allora la
vita della Chiesa Anconitana si fosse svolta con la massima tranquillità
e con molta tolleranza anche durante il periodo delle persecuzioni organizzate
dagli Imperatori a partire da Nerone sino a Costantino. A favore di ciò
è la testimonianza delle basiliche che sorgono subito dopo il 313, sia
come numero, sia come ampiezza. Purtroppo non si hanno precise testimonianze
dirette e quanto si conosce di allora è stato soltanto raccolto e trasmesso
da redattori che hanno compilato i loro racconti attingendo sì dalla
tradizione, ma aggiungendovi nomi di persone ed indicando anni senza nessun
criterio di rispetto per l'epoca alla quale si riferiscono i fatti narrati.
Di questo criterio sono un esempio gli Atti di questi due Santi. Il testo dovette
essere compilato nel primo quarto del sec. XIII, quando si trovò il loro
sarcofago demolendo la chiesa del Salvatore per ricostruirla: era dietro una
lastra di pietra, ora frantumata dagli eventi bellici del 1943-1944, lavorata
sicuramente nel sec. VI. Il ritrovamento avvenne tra il 1213 ed il 1224. Sul
coperchio del sarcofago, piccolo perché soltanto usato come contenitore
di resti ossei, oggi si leggono 'queste parole: [+ Peregrini et Flavia]ni S(anctorum)
Mar(tyrum) / [ c (orpara) qui X]II K(a)L(endas) JUN(ias) AN(no) / [ a Christo
n]ATO D PASSI SU(n)T / [cum s(anctorum)] INOCE(n)TIU(m) RE(liquiis) / [hu]C
TRANSLAta +; le parti mancanti si leggevano agevolmente sino al 1943 e ne esistono
diverse trascrizioni; così pure dell'iscrizione sulla lastra, incisa
a caratteri gotici, che ricordava come: Su(btus) lapide isto cor[pora sanctorum
inve]nta fuerunt s[ub anno Domini MCCXXIIII temporibus / Honorii papae et domini
Federici imperatoris e]t domini G(erardi) [anconitani] episcopi [d]ie II [intra]nte
mense ma[ dio] indictione [XII] / + [A D D in ecclesia i]sta requiescunt [ cor]
pora sanctorum martyrum P[eteg]ri[ni Ercutani atque]Frabian[i], trascritta senza
le abbreviazioni e come si leggeva prima della frantumazione.
Gli Atti ricordano che Pellegrino e Flaviano predicarono in Ancona, distrussero
il tempio di Giove ed al suo posto eressero quello del Salvatore, conseguendo,
per queste iniziative, la condanna a morte al tempo di Diocleziano. E' evidente
che chi compilò gli Atti attorno al 1224 raccolse le notizie della tradizione
sulla predicazione in Ancona da parte dei due martiri e sulla costruzione di
un tempio dedicato al Salvatore al posto di un tempio pagano. Ma il titolo del
Salvatore è tipicamente longobardo e costoro furono presenti in Ancona
nel sec. VIII.
Non tenne conto della data del 21 maggio 500, che pure avrebbe dovuto essere
presente in qualche altro documento, tanto da essere poi incisa sul coperchio
del sarcofago. La comparazione con gli Atti di martiri omonimi, S. Pellegrino
di Auxerre in particolare, dimostra che il compilatore si servì proprio
delle notizie di questo Santo, adottando anche la data in cui questi subì
il martirio al tempo di papa Sisto I, il 16 maggio, a Roma, dopo esser tornato
dalla Gallia, inviato colà dal papa a predicare il Vangelo.
Altra incongruità è quella di aver distrutto un tempio pagano
e costruito contemporaneamente, al suo posto, una chiesa cristiana. Finalmente,
benché sull'iscrizione del sarcofago non lo indichi, è considerato
diacono. Come si può ritrovare un filo conduttore? Sulla base dell'iscrizione,
dell'epoca della lastra sotto la quale fu trovato il sarcofago e di una iscrizione
trovata a Rimini risalente al sec. VII-VIII, che ricorda la consacrazione d'un
altare colà eseguita da Natale, vescovo di Ancona, con le reliquie di
S. Pellegrino, si può fissare con qualche certezza che i santi martiri
Pellegrino e Flaviano furono uccisi il 21 maggio 500; che le loro reliquie furono
deposte, in un secondo tempo, in una chiesa che viene dedicata al Salvatore
(sec. VII-VIII, al tempo della presenza longobarda in Ancona) dopo essere stata
rinnovata; che questa chiesa doveva già esistere, quindi di epoca paleocristiana,
costruita con criteri di arte ravennate, o ricavata da un preesistente tempio
pagano che poteva benissimo essere stato dedicato a Giove, in quanto ubicato
sull'area del foro della città romana. Il resto è leggenda. Una
dimostrazione indiretta, pericolosa in quanto fondata sul silenzio, è
la mancanza dei loro nomi nel martirologio cosiddetto geronimiano che si attribuisce
al sec. V dove è invece ricordata la memoria di S. Stefano in Ancona.
Per quanto riguarda l’ammissibilità di una particolare situazione
locale dove si agitavano questioni dottrinali, si può far riferimento
alla lettera di papa Gelasio, scritta ai vescovi piceni nel 496, con la quale
rimprovera i presuli di essere troppo indulgenti verso l’eresia pelagiana,
nominando in particolare quelli di Ancona, Cluentum e Potentia (16).
1.8 ANCONA E LE BASILICHE PALEOCRISTIANE
Una riflessione che illustrata la vivacità della Chiesa Anconitana è
il numero delle chiese erette tra il IV ed il VI secolo, secondo quanto risulta
dai rinvenimenti archeologici e dalle notizie storiche. Si è già
ricordata la memoria o martyrion dove era deposta la reliquia di S. Stefano
e la basilica eretta in suo onore da Galla Placidia; a queste si aggiungono
quelle di S. Lorenzo, sec. IV-VI, sottostante l'attuale Cattedrale di S. Ciriaco;
quella sottostante l'odierna S. Maria della Piazza;
quella recentemente rinvenuta in via Menicucci, probabilmente già dedicata
prima a S. Silvestro papa poi a S. Liberio; quella anteriore alla chiesa del
Salvatore, che potrebbe essere stata intitolata a S. Ammone o Ammonio, martire
con S. Ciriaco, dedotta questa dedicazione dalla presenza negli Atti dell'espressione
Giove Ammonio; quella rinvenuta dal Leoni nel 1810 sull'Astagno e da lui indicata
erroneamente come S. Stefano. Vi sarebbe poi da aggiungere, la prima Cattedrale,
che non si conosce dove fosse stata, perché anche prima di quella eretta
da Galla Placidia nel sec. V, essendoci stati i Vescovi, doveva esservi stata
anche la chiesa nella quale officiavano. A questo proposito, attesa l'antichità
della comunità Cristiana, è da pensare che, prima di erigere le
basiliche, la vita cristiana di Ancona doveva avere avuto il suo centro in una
casa privata, la domus Ecclesiae che, in definitiva, altro non era che una Cattedrale
in quanto il capo della Comunità ivi celebrava l'Eucarestia ed amministrava
gli altri Sacramenti. Un chiaro esempio di questa situazione è dato dalla
domus Eccle- siae a Doura Europos, città tra l'Assiria e la Mesopotamia,
edificio risalente al sec. III, dove è presente, tra gli ambienti, quello
con un bacino che doveva essere usato per il battesimo, visti gli affreschi
che ne ornano le pareti (17).
Si hanno inoltre delle memorie che fanno richiamare edifici paleocristiani,
come quelle che riguardano la chiesa di San Clemente papa fino a pochi anni
or sono testimoniata da uno scoglio sul quale, sino alla metà del sec.
XVI, era la chiesa, ipotizzata dagli storici trasformazione di un tempio pagano
dedicato o a Diomede od a divinità marine. Come questa, per analogo ragionamento,
può farsi risalire a quell'epoca la prima chiesa che, dopo gli interventi
attorno al Mille, si chiamerà S. Maria in Turriano o Trajano, nella quale,
nel 1376, fu ritrovato il sepolcro del Vescovo Primiano con l'iscrizione: "Hic
requiescit corpus primiani episcopi et martyris qui fuit graecus". Il modo
in cui fu collocato il sepolcro e la presenza di un drappo che copriva le spoglie,
richiamano due usi liturgici succedutisi nel tempo: il primo, quello di conservare
l'Eucarestia sopra il sepolcro di un martire, che è molto antico il secondò,
quello di ricoprire i resti dei vescovi e dei martiri con drappi, che data attorno
al Mille (18).
Con gli stessi criteri si possono aggiungere anche altre due chiese, S. Maria
in Curia, nell'ambito dell'antico Palazzo degli Anziani e della quale sono rimaste
con molta .probabilità le strutture murarie (19); SS. Cosma e Damiano,
il cui culto fu pro- mosso dall'Imperatore Giustiniano, dopo essere stato guarito
per intercessione dei due Santi fratelli. La chiesa, di cui si ha notizia come
funzionante nel
1051, fu demolita insieme all'Abbazia di cui faceva parte, attorno agli anni
Trenta del sec. XIX per la costruzione, a poca distanza, di quella attualmente
esistente (20).
Con la presenza di questo buon numero di sacri edifici, come di tutte le altre
testimonianze della sua antichissima vita, Ancona arriva sino al sec. IX: attorno
e dopo la metà di questo secolo, terremoti e frane seguiti dall'invasione
saracenica, rimodellano l'aspetto della città colmando valli e riducendo
la consistenza dei rilievi, trascinando nel movimento del terreno quanto era
stato realizzato sino allora e ricoprendo con le macerie l'antico piano sul
quale si era sviluppata la città.
Dopo questa sciagura non resta che incominciare a ricostruire.
NOTE AL CAPITOLO I
(1) -Sancti Augustini Hipponensis Episcopi, Operum VIII, Venetiis, 1763, 1277
sg.; il discorso fu pronunciato, il martedì di Pasqua dell'anno 425 (21
aprile?).
(2) -Tali reperti sono conservati presso il Museo Archeologico Nazionale di
Ancona e furono rinvenuti in tombe lungo la via Matteotti.
(3) - Il sasso è ora racchiuso in un reliquiario quattrocentesco.
(4) - Consistono in resti di un sacello funerario decorato da un pavimento musivo
che dispiega il disegno di una vite con parte di citazione biblica (Isaia V,
1) appartenente alla zona absidale. Vi era anche una colonnina con l'epigrafe
che ricordava il proprietario, Flavio Eventio. Sono fatti risalire al sec. IV.
Cfr. Bollettino Archeologia Cristiana 1879, p.128 sg. Il mosaico, molto maltrattato,
è ancora in loco, la colonnina dispersa: l'accesso è dal negozio
che fa angolo tra corso Garibaldi e via Marsala, e sembra avesse appartenuto
al complesso paleocristiano ritrovato nelle opere per la fondazione del nuovo
palazzo in via Menicucci.
(5) - Ciavarini C., Collezione di documenti storici inediti ed editi rari delle
Città e Terre marchigiane Ancona, 1870, p 16 sg.
(6) - Gregori Magni, Dialogi Roma, 1924, I, 5, p 30 sg.
(7) - Raffaelli P. M., Memorie ecclesiastiche intorno all’istoria ed il
culto di s. Esuperanzio Pesaro, 1762, appendice diplomatica, p 67.
(8) - Sella P., Rationes Decimarum Italiae Marchia Città del Vaticano,
1950: n. 3391, p. 286; n. 3611, p. 310. La chiesa era retta dal presbitero Leone
coadiuvato dal chierico Jacobutio.
(9) - Ciavarini C., Collezione ecc. p 148.
(10) - Procopio da Cesarea, La Guerra Gotica II, 13.
(11) - Ciavarini C., Collezione ecc. p 66 sg.
(12) - Agli inizi del sec. XVI vi furono movimenti franosi di una certa entità,
che interessarono soprattutto la linea di costa: spari la lingua di terra dov'era
la chiesa di S. Clemente, lasciando uno scoglio che oggi ha servito come appoggio
per l'ampliamento del Cantiere Navale. Il Beneficio ed il titolo furono trasferìti
nella Chiesa di S. Pietro, oggi distrutta. Scivolò in mare la chiesa
di S. Bartolomeo, e fu ricostruita attorno al 1520, più lontana dalla
linea di costa, ancora esistente; lo attestano due bolle che autorizzano l'acquisto
del materiale edilizio. Le due chiese di S. Stefano e di S. Maria in Porta Superiana,
non ricostruite, non hanno lasciato traccia nei documenti successivi, dopo aver
seguito la sorte di quelle.
(13) - La legge che vietava di esumare corpi dei martiri fu emanata nel 386
al tempo di Valentiniano II imperatore d'Occidente e Teodosio I imperatore d'oriente.
Aveva lo scopo di frenare le pie ruberie ed il commercio di false reliquie.
(14) - Ciavarini C., Collezione ecc., p 16 sg.
(15) - Cfr. Mariuzzi G., Pirani V., Lausdei C., Ricognizione canonica storica
e scientifica sulle spoglie del Patrono di Ancona S. Ciriaco Ancona, 1984.
(16) - Papa Gelasio I (S.) pontificò tra il marzo 492 ed il 21 novembre
496; combatte i residui del manicheismo e del pelagianesimo e trattò
con Teodorico che, pur benigno con i cattolici, rappresentava l'arianesimo.
Cfr. Cayrè F., Patrologia e storia della teologia, Roma, 1938, II, p
150.
(17) - Bon A., Bisanzio, Ginevra, 1975, pp 28 e 31.
(18) - L'uso di ricoprire i resti di personaggi illustri, vescovi e martiri
con drappi preziosi, iniziò dopo che Ottone III, aperta la tomba di Carlo
Magno, volle che le ossa dell'imperatore fossero ricoperte con un drappo. Pertanto
le sepolture che rivelano questo trattamento alla salma sono da assegnarsi posteriori
al Mille, morto Ottone III nel 1002.
Un altro esempio, in Ancona, fu accertato nel 1765, all'atto della ricognizione
delle spoglie di S. Ciriaco: la salma fu trovata con un drappo sotto la tavola
su cui era stata distesa e tre drappi sopra il corpo; oggi ne rimane soltanto
uno integro e frammenti di un altro.
(19) - I resti di questa costruzione, sulla quale ancora si di-
scute, sono stati ritrovati nel corso dei lavori per il consolidamento e restauro
del Palazzo degli Anziani, zona verso mare; sono stati brevemente illustrati
in Soprintendenza ai Monumenti, Restauri nelle Marche Ancona, 1973, p 671 sg.ti
(20) - Cfr. Pirani V. , Le vicende della chiesa e della parrocchia dei SS. Cosma
e Damiano di Ancona, Ancona, 1979.
CAPITOLO II: STORIA DELLA DIOCESI DI ANCONA, IL SECONDO MILLENNIO
2.1 MILLE E NON PIÙ MILLE... CALAMITÀ NATURALI E NUOVI ASSETTI DEL TERRITORIO
L’anno Mille non dovette essere stato molto temuto dagli Anconetani:
i profondi mutamenti ambientali ed il rimodellamento del territorio avevano
anticipato il terrore per la creduta imminente fine del mondo, che avrebbe dovuto
accadere proprio in quei tempi. Occorreva invece mettere mano alla ricostruzione,
anzi alla nuova fondazione della città, cancellata l'antica dalle frane
che si staccarono dai due colli, il Marano e l'Astagno, riempendo la valle di
Penocchiara e facendo inabissare tratti di costa (21).
Le chiese allora risparmiate dovettero essere state poche. Sicuramente le basiliche
di S. Stefano e di S. Lorenzo che, per la collocazione loro, videro solo ridotto
lo spazio attorno. Con esse rimasero probabilmente quelle degli eremiti, sparse,
sui crinali dei colli .
La donazione della chiesa di S. Lorenzo, che i cronisti ricordano come liberalità
della pia Maximilla, dovette essere stata imposta dalle circostanze che fecero
occupare quanto era rimasto dell'antica rocca da parte di coloro che videro,
nella circostanza, il momento di impostare in modo diverso i rapporti con la
famiglia feudataria (22). Sicuramente non fu un passaggio indolore: un anonimo
tiranno cercherà di spingere ancora più avanti i nuovi rapporti
tentando anche la sottrazione di Ancona dal possesso pontificio, provocando
la scomunica. San Pier Damiani, conoscendo bene Ancona egli Anconitani, interporrà
i suoi buoni uffici per la revoca poi qualcun altro si incaricherà di
far fuori l’anonimo tiranno che, seppure aveva avuto il coraggio di imprimere
un nuovo corso alla vita cittadina, non sembra però avesse qualità
politico-amministrative di un vero capo..
Non vi è poi da escludere che egli fosse stato anche uno della stessa
Famiglia feudataria che aveva tentato, ma impreparato al compito, di recuperare
il perduto dominio.
Nella vita della Chiesa Anconitana è un momento importante, perché
praticamente la fortificazione passa nelle mani del Vescovo che decide di trasferirvi
la Cattedrale (23). Se poi si ricorda che nel 1128 il vescovo Bernardo consente
che i Consoli possono autorizzare i Benedettini del Monastero delle Tremiti
ad approdare liberamente in Ancona, si configura la persona del vescovo come
capo della città (24);si ha il Vescovo-conte?
2.2 DOCUMENTI E ANTICHI CRONISTI
La riorganizzazione della vita civica si basa sulla divisione del territorio
in tre parti, i terzeri, e nella delimitazione del Comitatus ossia di quello
compreso tra l'area urbana ed i castelli; negli obblighi dei castelli verso
il capoluogo. In questi ambiti si stabiliscono anche le giurisdizioni parrocchiali.
Purtroppo non vi sono documenti che possono indicare con sicurezza queste profonde
riforme: non è nell'indole degli anconitani la cura e la conservazione
dei documenti e gli eventi naturali, associati alle guerre ed alla stupidità
umana come quella di scalpellare stemmi e bruciare libri - concorre a lasciare
ampie lacune storiche (25).
Il documento più antico è una bolla vescovile, rimasta in copia
autentica, conservata nell'archivio parrocchiale della chiesa di S. Giovanni
Battista, erede dell'omonima Abbazia benedettina cui fu indirizzata; si aggiungono
poi quelle ad essa successive.
Il primo dei nostri Cronisti, Buoncompagno da Signa, narra l'assedio del 1173
e dà poche notizie sulla città, preoccupato di descrivere soprattutto
le vicende belliche ed il valore dei cittadini. Così pure il successivo,
Oddo di Biagio, narrando la costruzione e la demolizione della fortezza Albornoziana,
la Rocca Papale sul colle del Castello oggi detto dei Cappuccini, accenna a
luoghi, chiese, persone; ma poco si ricava (26).
Alla fine del sec. XV Lazzaro Bernabei si propone una elencazione di fatti e
memorie che indica appunto come Cronache Anconitane: per la parte relativa ad
argomenti che riguardano la Chiesa Anconitana è piuttosto conciso, limitandosi
a riprendere dal Lezionario della Chiesa le notizie sulle vicende degli antichi
Santi (27), mentre per le altre notizie usa il manoscritto un certo cittadino
anconitano homo curioso et amatore de La perpetua memoria de La patria ed un
Breviario custodito nell'archivio del monastero di S. Bartolomeo, ambedue furono
dispersi nel 1789, quando le monache ebbero solo una giornata a disposizione
per prendere le proprie cose e lasciare il complesso ai liberatori (28).
Dopo le bolle, un'altra fonte è il registro dell'esazione delle decime
raccolte tra il 1290 ed il 1301 al tempo di papa Nicolò IV (29).
2.3 LA NASCITA DEL COMUNE.
Per quanto riguarda l’organizzazione civica, concluso il periodo dei
Consoli e costituitosi il Comune, i terzeri espressero ognuno due cittadini;
essi costituivano il Magistrato, dividendosi in tre Anziani e tre Regolatori.
I Magnifici e Venerabili Signori Antiani erano gli effettivi capi della Città
e si alternavano nella carica di Priore ogni sei mesi.
I terzeri ebbero ciascuno un nome e un grado. Il più antico che corrispondeva
al territorio ove era avvenuto il primo insediamento era quello detto del Salvatore
o della Pianca. Esso avrebbe preceduto sempre gli altri due, come collocazione
onorifica. Il nome lo aveva preso dalla presenza della chiesa dedicata al Salvatore,
antica basilica paleocristiana rinnovata al tempo in cui i Longobardi possedettero
Ancona (sec. VIII). Fu poi ricostruita tra il 1213 ed il 1224 ed abbattuta nei
primi anni del sec. XVIII per formare una nuova piazza e costruire un nuovo
tempio, quello detto degli Scalzi (30).
Il secondo terzero era quello di S. Maria in Turriano o Trajano o del Porto.
La chiesa medioevale, forse eretta sull'area di una più antica, fu demolita
alla fine del sec. XVI, pure per avere un'altra piazza e costruirne una nuova
che, però, ebbe il titolo di S. Primiano, essendosi ritrovato il sepolcro
di questo Santo, vescovo e martire, un secolo prima della demolizione, inserito
nelle strutture prossime all'altare maggiore;
la chiesa ricostruita è scomparsa con i bombardamenti del 1943-44 (31).
La terza divisione comprendeva i1 Comitatus ed aveva il titolo di S. Pietro
o di Capodimonte. La chiesa di S. Pietro sparì o con l'assedio del 1173
o in occasione di qualche altro fatto bellico anteriore. Era dove ora si trova
il baluardo di S. Stefano e ne furono individuate le tracce nel 1810, quando
i Francesi eressero il forte (32).
2.4 LE DIVISIONI IN TERZERI E LA STRUTTURA DELLE PARROCCHIE
Le bolle vescovili e papali ci offrono i titoli di chiese e località
fuori delle mura mentre sono pochi quelli negli abitati, più ampio è
invece l'elenco che risulta dal registro delle decime, anche se non tutte le
chiese sono
ivi effettivamente elencate, in quanto molte non erano soggette a tale obbligo.
Le chiese comprese nel primo dei terzeri erano diverse: oltre a quella del Salvatore,
ed alla Cattedrale, che aveva allora il titolo di S. Lorenzo e che mantenne
sino al sec. XIV, vi erano quelle di S. Maria in Corte, sulla spianata della
Cattedrale, di S. Bartolomeo, scivolata in mare nei primi anni del sec. XVI
e ricostruita nello stesso tempo, ancora esistente; S. Maria dell'Arena, addossata
al perimetrale dell'anfiteatro, trasformata in abitazione e demolita per riportare
in
vista le strutture romane. A queste, più antiche, si aggiungeranno quelle
di S. Maria di Nazareth, legata al culto della Madonna di Loreto; di S. Girolamo,
della Confraternita omonima; di S. Maria Annunziata appartenente al complesso
del Brefotrofio. Altre chiese erano quelle di S. Angelo, probabilmente S. Michele;
della S. Croce o dell’Invenzione della S. Croce, legata al culto di S.
Ciriaco, come quella di S. Elena; quella di S. Giorgio. Tra le chiese medioevali,
S. Maria in Porta Cipriana, poi S. Anna dei Greci, distrutta dai bombardamenti
del 1943-44; S. Maria in Porta Superiana, sicuramente precipitata in mare; S.
Maria di Castello e S. Maria Nova, appartenenti a complessi monastici femminili.
E' inoltre da ricordare il Battistero della Cattedrale, eretto nel sec. XIII,
al tempo del podestà Arcilio da Parma i cui resti sparirono negli anni
Venti di questo secolo per riquadrare la piazza a fianco della Cattedrale. Di
tutte queste chiese, le parrocchiali non dovrebbero essere state più
di quattro o cinque: sicuramente non lo era la Cattedrale, mentre lo era quella
di S. Maria in Corte (33).
Il terzero del Porto non ne aveva molte. Oltre a quella che figurava nel nome,
S. Maria in Turriano o Traiano, vi era quella di S. Clemente che sembra fosse
stata eretta sull'area di un tempio dedicato a Diomede e alle divinità
marine; S. Anastasia, parrocchia e poi chiesa della Comunità Armena in
Ancona; S. Maria in Curia, ai piedi del palazzo degli Anziani, della quale sono
emerse le tracce recentemente; S.Maria del Canneto, poi del Mercato oggi della
Piazza. Alla fine del Trecento si erige la chiesa di S. Maria della Misericordia,
abbattuta dagli eventi bellici del 1943-44. Potrebbe esservi stata anche la
chiesa di S. Andrea, ricordata nel 1051. Una chiesa, S. Maria di Gamba, era
poi stata ricavata unendo nel locale alla base di una torre anonima che difendeva
l'arco di Traiano e con il fornice dell'arco stesso, sparita già nell'altro
secolo (34).
Più numerose erano quelle che si trovavano nella giurisdizione della
parrocchia di S. Pietro, almeno secondo quanto riportano i documenti e non dovrebbero
esservi elencate le cappelle presso le quali erano gli eremiti.2.5 LE BOLLE
VESCOVILI E PAPALILa bolla del Vescovo Grimoaldo riporta ,oltre all'Abbazia
di S. Giovanni Battista, i titoli di S. Andrea, dei SS. Cosma e Damiano, di
S. Liberio, di S. Michele, dei SS.Pietro e Martina e, come ricordato, nella
zona portuale, un' altra pure
dedicata a S.Andrea ...in vicu latronum ad mare in ipso burgo. La bolla è
datata 19 marzo 1051 (35). Un'altra bolla del 1177, di papa Alessandro III,
ricorda la chiesa di S. Nicola, di proprietà dell'Abbazia di S. Maria
di Portonovo: era nell'attuale piazza della Repubblica. Secondo l'Albertini,
era stata fondata attorno al sec. V dalla comunità greca in Ancona ;
rinnovata nel sec. XVII, fu demolita nel 1823 per la costruzione del teatro
delle Muse, unitamente al Palazzo del Podestà (36) .
Segue una bolla del vescovo Berardo o Beraldo, del 1188: rispetto alla già
nominata, precisa che S. Andrea è infra muros civitati; aggiunge quelle
di S. Giacomo, donata all'Abbazia di S. Giovanni Battista, e quelle di S. Silvestro
e di S. Cristina. Quella di S. Silvestro potrebbe essere la stessa precedentemente
indicata come S. Liberio, ma non concorderebbero i tempi; era sicuramente una
di recente costruzione o un'altra, già autonoma, che viene ad essere
donata all'Abbazia già detta. S. Cristina rimarrà sino al Seicento
e si trovava presso la Porta del Calamo (37).
Papa Innocenzo IV, nel 1252, conferma all'Abbazia di S. Giovanni Battista il
possesso delle chiese sopra ricordate con una variante: omette S. Cristina ma
ricorda S. Crispino: la differenza tra i due, nomi è poca ed i trascrittori
potrebbero aver errato nel ricopiare il testo; tuttavia una chiesa di S. Crispino
esisteva, anzi con il titolo dei Ss. Crispino e Crispiniano, e nel sec. XVI
era la chiesa della Confraternita, dei Calzolai.
2.6 IL REGISTRO DELLE DECIME E GLI EDIFICI DI CULTO
Dal registro delle decime, sec. XIII, abbiamo una vasta panoramica. Le chiese
che sono soggette al tributo sono un bel numero e qui vale solo ricordare quelle
delle città, omettendo quelle dei centri periferici e castelli. Eccole
in ordine alfabetico: S. Anastasia, al porto; S. Andrea, al porto; S. Angelo,
via Birarelli (?) S. Agnese, via Matteotti, inizio; S. Antonio,
via del Faro; S. Bartolomeo, dietro all'attuale, poi finita in mare; S. Caterina,
a Capodimonte; S. Claudio, l'attuale S. Giovanni Battista; Ss. Cosma e Damiano,
dietro l'attuale, verso via Cardeto; S. Dionigi o Dionisio, (?); S. Egidio,
in via Boncompagno; S. Elena, via Pizzecolli, piazza Stracca; S. Erene o Irene,
(?) S. Eustachio, (?); S. Gaudenzio, (?) S. Giacomo, tra corso stamira e via
Astagno, poi traslato il titolo in via Podesti, a S. M. in Valverde; S. Giorgio,
via Pizzecolli; S. Isidoro, (?), Invenzione della S. Croce, probabilmente vicino
al campanile della Cattedrale; S. Lucia, a Capodimonte; S. Marco, in via Cialdini;
S. Maria dell'Arena, su via Pio II; S. M. di Castello, sul colle dei Cappuccini;
S. M. in Corte, di fronte al campanile della Cattedrale; S. M. in Croce, (?),
S. M. Merete o della Morte, (?); S. M. del Mercato, oggi della Piazza; S. M.
Nuova, oggi sede del Seminario in via Birarelli; S. M. in Porta Cipriana, poi
S. Anna, in via Birarelli, distrutta; S. M. in Porta Superiana, sicuramente
scivolata in mare; S. M. Prete, (?); S. M. Turriano, di fianco al Cantiere navale,
ricostruita e distrutta; S. Martino, in via Podesti, profondamente modificata
e non più leggibile nelle strutture; S. Matteo, di fianco a S. Anna,
forse esistente ma modificata; S. Nicola, in piazza della Repubblica, distrutta;
S. Paolo, sul colle dei Cappuccini, esistente ma modificata; S. Pietro, in via
Fanti, distrutta, SS.mo Salvatore, poi S. Pellegrino, detta degli Scalzi, distrutta;
S. Sofia, (?); S. Stefano Insigne, sicuramente quella eretta da Galla Placidia,
seconda Cattedrale di Ancona, sparita nel sec. XV. Vi è poi da aggiungere,
ovviamente, la Cattedrale, allora ancora con il titolo di S. Lorenzo. Di tutte
queste chiese, ben poche sono rimaste: le chiese di S. Maria della Piazza e
di S. Claudio, questa col nuovo titolo di
S. Giovanni Battista; S. Bartolomeo, quella ricostruita; SS.Cosma e Damiano,
ricostruita, SS.mo Salvatore, ricostruita, e con titolo dei SS.Pellegrino e
Teresa; sono state soppresse e trasformate quelle di S. Antonio, S.Giacomo,
S. Lucia, S. Marco; S. Martino, S. Matteo, S. Maria Nuova, S. Giorgio, S.Elena.
Le altre rimangono solo con i loro nomi, nei documenti; quelle di cui non vi
è più memoria dell'ubicazione, sono state affiancate da un interrogativo.
Una breve riflessione: non tutte le chiese ivi nominate erano parrocchiali,
ne tutte le parrocchiali erano presenti, essendo l’elenco in f unzione
del beneficio
annesso, soggetto o meno alla decima; da tale elenco, si deduce che in Ancona,
nel sec. XIII, dovevano essere presenti almeno una quarantina di chiese. Un
esempio può essere fornito dalla chiesa di S. Clemente: a quel tempo
era sicuramente presente, perché scivolerà in mare attorno alla
metà del sec. XVI; però non figura tra quelle che sono soggette
alla decima.
Dal numero delle chiese non può certo dedursi il grado di religiosità
della popolazione; piuttosto quello del clero che appare presente in ognuna
e spesso nella persona di un presbitero insieme a cappellani e sacerdoti. Il
presbitero dovrebbe indicare il responsabile, quello che oggi noi chiamiamo
parroco o rettore. Accanto ai sacerdoti sono presenti diaconi e chierici; allora
non vi erano i seminari ed erano gli stessi parroci a preparare i loro successori.
2.7 CONCILIO DI TRENTO E VISITE PASTORALI DEL VESCOVO CONTI
Nei secoli successivi, con le Visite Pastorali, che sono eseguite dopo le decisioni
adottate dal Concilio di Trento, si hanno dati più precisi. L'elenco
delle chiese visitate dal Vescovo Conti, nell'anno 1592, è il seguente:
S. Anastasia, S. Anna, S.Antonio, S. Biagio (non l'attuale), S. Caterina (distrutta
la precedente che era sull'Astagno, per costruire la fortezza del Sangallo,
era stata ricostruita ai Cappuccini), S. Ciriaco,
SS. Cosma e Damiano, SS. Crispino e Crispiniano, S.Egidio, S. Eligio, S. Giacomo,
S. Giorgio già S. Elena (probabilmente tempo prima vi era stata la soppressione
di S. Elena ed il titolo era stato unito a quello di S. Giorgio o viceversa),
S. Giovanni Battista; S. Leonardo alle Carceri, S. Lucia, S. Marco, S.Maria
Maddalena, S. Maria Annunziata vecchia, S. Maria Annunziata nuova, S.Maria Incoronata,
S. Maria della Misericordia, S. Maria della Piazza, S. Martino, S.Matteo, S.
Nicola, S. Pellegrino, S. Pietro, S. Rocco, SS.mo Sacramento, S. Zeno; a queste
chiese si aggiungono gli Oratorii delle Confraternite,quali quelle di S.Girolamo,
di S. Maria del Popolo, della Morte, di S. Tommaso.
Rispetto agli elenchi precedenti, questo sembra abbia avuto una notevole contrazione:
vi sono titoli nuovi e ne mancano diversi ma sappiamo da altre fonti che vi
erano altre chiese. Intanto non sono registrate le chiese degli Ordini Religiosi
che non avevano la parrocchia: ecco perché non figura il titolo di S.
Agostino; e quello della chiesa dei Carmelitani Calzati - che erano nell'antica
S. Maria in Corte - e quelli degli Ordini Religiosi Femminili, come S. Maria
di Castello, S. Maria Nuova e S. Bartolomeo; vi sono le chiese delle Confraternite,
anche se non tutte. Manca la chiesa di S. Giovanni Decollato, già S.
Onofrio, che già non figurava tra quelle sottoposte alla decima: ma era
chiesa di eremiti e nel sec. XVI sarà data alla Confraternita della Misericordia
e Morte: serviva come sepoltura per i giustiziati. Però il vescovo visita
l'Oratorio della Confraternita stessa e la chiesa che essa aveva nell'interno
delle carceri che erano nel Palazzo del Podestà. Le parrocchie erano
allora quelle di S. Pellegrino, S. Egidio - retta dai Domenicani che oltre a
questa avevano la chiesa dell'Ordine e l'Incoronata -, S.Giacomo, S.Giovanni
Battista, S.Pietro, S.Maria del Mercato o della Piazza, S.Primiano già
S. Maria in Turriano - non ancora demolita ma in procinto di esserlo -, S. Marco,
dove ancora vi erano i Crociferi; a S. Giovanni Battista vi erano i Canonici
Lateranensi e a S. Pietro i Servi di Maria; a S. Primiano andranno i PP. Minimi
di S. Francesco da Paola. Il clero secolare reggeva le parrocchie di S. Pellegrino,
di S. Maria della Piazza e s. Giacomo: su otto parrocchie, cinque erano affidate
al clero regolare, probabilmente per una certa carenza di sacerdoti diocesani
o per essere questi ultimi più orientati a espletare il ministero nelle
Confraternite - quella del SS.mo Sacramento sembra aver avuto circa una ventina
di Cappellani - assicurandosi così una tranquilla quotidianità.
Del resto, allora, molti sacerdoti erano i cadetti delle Famiglie che non avevano
optato per la vita militare e che, in quel modo, cercavano di sopravvivere non
potendo sperare assai dalle rendite dei beni di famiglia, legati all'istituto
del maggiorascato. Non per nulla alla fine del sec. XVI si aprirà un
nuovo monastero, quello di S. Palazia, proprio per sistemarvi le giovani di
quelle stesse Famiglie. E con questi criteri si cammina verso l’avvenire.
2.8 GLI ORDINI RELIGIOSI:I CROCIFERI E I BENEDETTINI
Sono già stati ricordati gli Ordini Religiosi, e sarà bene dire
qualcosa al riguardo. I primi di cui si ha notizia certa, sono i Crociferi ed
i Benedettini. I Crociferi sembra siano stati presenti sin dall'antichità
cristiana e uno di loro dovrebbe essere stato proprio S. Liberio che si colloca
nel sec. V e VI. Del resto quest'Ordine, oggi soppresso, si ritenne essere stato
fondato da S. Cleto, successore di s. Pietro, e riformato da S. Ciriaco (39).
In Ancona ebbero le chiese di S. Marco, S. Agnese ed una verso la stazione ferroviaria
attuale, prossima al fosso Conocchio e chiamata S. Leonardo in ponte Conocelle
(40). Tutte e tre le sedi erano fuori delle mura e ciò perchè
essi curavano la sorveglianza dei ponti e delle strade. La comunità anconitana
dei Crociferi forse dipendeva dall'Abbazia di S. Maria di Potenza, come fa supporre
una bolla di papa Lucio III (1181-1185) (41), richiamata nel 1202 da un'altra
di papa Innocenzo III. La parrocchia di S. Marco fu retta dai Crociferi sino
alla loro soppressione (sec. XVII). Nel 1909 l'Ente è trasferito nella
chiesa del SS.mo Sacramento; la chiesa oggi è sede di uffici comunali.
La ricordano tratti di muro medioevale ed il toponimo della strada che la circonda
(42).
I Benedettini sono testimoniati dalle Abbazie di S. Giovanni Battista, di S.
Maria di Portonovo e S. Pietro al Conero. Quella di S. Giovanni Battista, secondo
il Leoni, era stata fondata nel sec. VI da un monaco della Famiglia Spiritelli
che era Abate del monastero di S. Benedetto Aluvione di Mantova; nel 1051, fu
donata dal vescovo Grimoaldo. Fu demolita nel 1532 perché con le pietre
di risulta si formarono i baluardi; ma la sua distruzione e quella delle torri
che erano al porto come la contemporanea costruzione della fortezza sangallesca,
fa pensare ad una deliberata volontà di eliminare qualsiasi manufatto
che avrebbe potuto diventare un centro di resistenza opposto alla soppressione
dell'autonomia comunale. Comunque i Benedettini avevano già concluso
la loro presenza ed in quel tempo vi erano i Canonici Lateranensi.
2.9 GLI EREMITI DI S. AGOSTINO
Un'altra Famiglia Religiosa di cui e difficile dare una data e un'epoca precisa,
è quella dei Frati Eremitani di S. Agostino. Erano sicuramente a Capodimonte,
allora fuori delle mura, in un eremo intitolato a S. Agostino; i loro Confratelli
del monastero di Cingoli, nel sec. XII, possiedono la chiesa di S. Stefano “...in
Comitatu Anconitano...", ossia fuori delle mura della città (43).
Solo dopo la bolla di papa Alessandro IV, che obbliga tutti gli Eremiti a riunirsi
sotto la Regola di S. Agostino, essi abbandoneranno l'eremitaggio dell'Astagno
e si trasferiranno "... nel piano della città..." nel 1338,
fondando il complesso detto appunto di S. Agostino con la chiesa che aveva il
titolo di S. Maria del Popolo.
Dopo l'alternanza delle soppressioni e restaurazioni, saranno definitivamente
estromessi dopo il 1860 e la chiesa, di cui il Vanvitelli andava orgoglioso,
sarà barbaricamente distrutta, salvandosi soltanto il portale (44).
2.10 GLI ORDINI MENDICANTI, FRANCESCANI E DOMENICANI
Anche se non si può dare una data si può però fissare
un'epoca piuttosto sicura per la presenza degli Ordini Mendicanti, i Francescani
ed i Domenicani.
I Francescani sono da considerarsi presenti nel tempo in cui S. Francesco arrivò
in Ancona per imbarcarsi alla volta dell'Egitto. Prima di partire egli si fermò
ed ebbe modo di predicare e radunare un primo nucleo di persone che ne compresero
ed iniziarono la realizzazione del messaggio, tanto che il Comune gli offrì
il luogo ove questa prima comunità avrebbe potuto costituirsi. Il Santo
la scelse in alto e lassù fu eretto il primo convento francescano, la
cui chiesa fu dedicata alla Madonna; ebbe successivamente il titolo di S. Francesco
ad Alto (45). All'area per la chiesa ed il convento, fu poi aggiunta quella
per una zona di verde, un piccolo bosco, dove, qualche secolo più tardi,
il Beato Gabriele Ferretti avrà le visioni di Maria e del Bambin Gesù.
Ora il boschetto non esiste più ed il complesso, dal 1862, è sede
di un Ente militare (46). Gli Osservanti sono ora a S. Giovanni Battista.
Anche le altre Famiglie francescane ebbero la loro" sede in Ancona e sono
attualmente ancora presenti: i Conventuali a S. Maria Maggiore, poi S. Francesco
delle Scale, chiesa già soppressa poi restituita al culto e ricostruita,
i Cappuccini, ammessi nel 1554, insediati inizialmente sul colle che ancora
porta il loro nome, soppressi nel 1862 e quindi ricostituitisi in una nuova
sede al Piano di San Lazzaro (47). Della Famiglia Domenicana si può solo
essere certi che già esisteva nel 1253, anno in cui acquistano un terreno
davanti alla chiesa per migliorarne l'accesso. La zona in cui erano allora è
anche l'attuale, anche se la chiesa, per la soppressione, è divenuta
di proprietà comunale.
La presenza Domenicana potrebbe collegarsi con la predicazione di S. Pietro
da Verona a Jesi e ciò spiegherebbe anche la presenza del suo culto a
Varano, dove l'insediamento all'esterno del castello porta ancora il suo nome,
e forse anche a Gallignano. Il Leoni, non si sa su quale base, pone i Domenicani
in Ancona nel 1219, contemporaneamente ai Francescani (48).
2.11 CARMELITANI, SERVI DI MARIA, GEROLAMINI
Nel sec. XIV sembra fossero già in Ancona i Carmelitani Calzati, è
certo che nel 1490 ebbero la chiesa di S. Maria in Corte, quella davanti al
campanile della Cattedrale ed ex sede parrocchiale, che ribattezzarono S. Maria
del Carmelo o del Carmine. Rimasero sino alle soppressioni e l'antica chiesa,
rinnovata nel sec. XVIII, divenne caserma dopo il 1860, prima di essere distrutta
nel 1943 (49).
Altre Comunità Religiose arrivarono in Ancona nel sec. XV, quali i Servi
di Maria (che sostituirono i Benedettini Armeni nel monastero dello Spirito
Santo a Capodimonte) ed i Frati di S. Girolamo, più comunemente detti
Gerolamini, fondati dal Beato Pietro da Pisa nel cenobio di Montebello (Orciano
di Pesaro) nel 1380. Di questi ultimi un esponente, in Ancona, fu Girolamo
Ginelli che il popolo, per la sua vita di rinunce e di servizio, chiamerà
Beato anche se non vi fu mai un formale riconoscimento; tuttavia egli veniva
inserito con tale titolo (e lo fu sino all'Ottocento) nel Diario Sacro Anconitano,
ponendo la sua memoria al 2 Gennaio (50).
2.12 GLI EREMITI SUL MONTE CONERO
I Benedettini Cassinesi salgono sul monte Conero nel Cinquecento (1514) seguiti dagli Eremiti di S. Maria di Gonzaga (1518). Questi ultimi, dopo vicende poco edificanti con i Cassinesi ed un incendio che rovinò la chiesa di S. Pietro e parte del monastero, abbandonarono il monte e si ritirarono verso Arcevia (1588). Anche i Benedettini abbandoneranno la località che sarà affidata ai Camandolesi che la abiteranno sino al 1862 (51).
2.13 I GESUITI AD ANCONA ED ALTRE COMUNITA' MINORI
In città, oltre ai Cappuccini(1554), entrano i gesuiti (1592), ma vengono
allontanati i Frati detti Apostolini, probabilmente arrivati nel secolo precedente,
per indegnità. Questi erano stati fondati nel sec. XV protetti dai papi
Eugenio IV ed Innocenzo IV, si fusero con gli Ambrosiani sorti a Milano nel
1375 questi ultimi, stante il titolo della loro chiesa qui in Ancona, SS. Barnaba
ed Ambrogio ad Nemus, potevano essere stati in Ancona fin dal tempo di papa
Gregorio IX e quindi anteriormente agli Apostolini che, più tardi, occuparono
il medesimo complesso monastico, ma con risultati opposti ai predecessori (52).
Il Leoni ricorda anche altri Frati, detti di S. Giovanni, che vengono pure allontanati,
non volendo sottostare ad obblighi comunali come le altre Famiglie Religiose
(53).
Nella stessa epoca dovettero entrare in Ancona i Frati di S. Giovanni di Dio
che prestavano la loro opera nell'Ospedale dell'Annunziata, alle
dipendenze della Confraternita di S. Girolamo che lo amministrava (54). Nel
sec. XVII sono chiamati dal Comune i PP. Scolopi o Fratelli delle Scuole Pie
(1632) per l'insegnamento nelle scuole Comunali; dieci anni dopo sono ammessi
i Carmelitani Scalzi o di S. Teresa (1642), che ricevono l'antica chiesa parrocchiale
del SS.mo Salvatore o S. Pellegrino: la demoliranno e ne costruiranno una nuova,
l'attuale, dopo contrasti per carenza delle distanze dai conventi esistenti;
nel 1656 gli Oratoriani e Filippini entreranno a San Nicola, oggi sparita, già
presente in piazza della Repubblica (55). Nel Settecento i PP. Gesuiti apriranno
la Casa per gli Esercizi (1736).
2.14 LE COMUNITA’ FEMMINILI
Uno sguardo anche alle Comunità Femminili. La più antica, salvo
qualche esempio di donna che vive come eremita sul Monte Conero, una certa Nicolosa
che vi si reca insieme alla figlia, sembra sia la comunità fondata dal
vescovo Giovanni Bono nel 1262 che la pone nel complesso di S. Bartolomeo, sopprimendo
forse la parrocchia (56).
Non è escluso però che anteriormente vi fossero comunità
benedettine femminili, presenti, nel 1322, a S. Maria di Castello, come suggeriscono
documenti relativi ad una lite che hanno con il Vescovo (57). Secondo l’Albertini,
S. Maria di Castello divenne S. Maria Nova: però nel 1301, i due monasteri
sono ben distinti e con Sindaci diversi.
Le vicende di questi monasteri sono piuttosto complesse, soprattutto per gli
avvicendamenti che si hanno negli stessi edifici, che passano da una Comunità
ad un'altra, secondo criteri di opportunità dettati dal numero delle
monache e dalle rendite di cui fruivano: per esempio, vi fu una fusione tra
S. Maria di Castello e S. Maria Nuova nel secolo xv e, successivamente, la fusione
di quello di S. Maria Nova con quelli di S. Agnese e S. Bartolomeo, con soppressione
di titoli e modifiche di Regola. Altri spostamenti, questa volta coatti, si
ebbero dopo il 1798, con mescolamenti e suddivisioni, secondo i criteri e le
vedute degli occupanti la città.
Con la presenza dei Francescani, si ebbe una Comunità di Terziarie Francescane
che chiesero ed ottennero di vivere in comunità ed in clausura. Non si
conosce il tempo in cui venne fondata ma quello in cui ebbero l'approvazione
per vivere la clausura (59). Nel 1590 si aprì il monastero delle Madri
della Penitenza, detto le Convertite, che accoglieva le donne desiderose di
rinnovare la propria vita: ebbero sede nei locali già del monastero benedettino
di S. Maria di Portonovo, già complesso di S. Martino, ed assunsero il
titolo di S. Maria Maddalena. Il monastero si disperse con l'arrivo dei Francesi
nel 1799 (60).
Un nuovo complesso monastico femminile si cominciò a costruire nella
fine del secolo XVI ma iniziò la sua attività nel 1630: quello
di S. Palazia. Anche questo ebbe le sue vicende dopo le soppressioni iniziate
alla fine del Settecento; il fabbricato terminò i suoi giorni al nostro
tempo (1975), spianato con la scusa della pubblica incolumità, dopo aver
assolto i compiti di tribunale e di carcere giudiziario: lo stesso destino ebbe
quello di S.Bartolomeo, sede delle Birarelle (61).
Le Maestre Pie Venerini nel 1737 ebbero la direzione e gestione del Conservatorio
della Provvidenza e di S. Gaetano, le clarisse quello del Pupillato di S. Lorenzo.
Queste due opere assistenziali per fanciulle orfane, povere, abbandonate e pericolanti,
ossia esposte ai pericoli di una vita di vizio, erano, già state fondate
erette a cura di confraternite in tempi diversi; nel 1798 il conservatorio della
provvidenza si fuse con quello della Carità, fondato da pochi anni presso
la chiesa di S. Giovanni Battista.
La vita non facile di queste istituzioni, fondate su fragili basi economiche,
consigliò il loro accorpamento che avvenne nel 1813 ed ebbe come sede
il Pupillato di S. Lorenzo. Si divisero, però, pochi anni dopo, nel 1818,
rimanendo al Pupillato le Clarisse, sostituite nel 1918 dalle Maestre Pie. Le
altre opere, riunite, ebbero sede nei locali già abbandonati dai Fratelli
delle Scuole Cristiane, a S. Giuseppe; con il titolo di Conservatorio Femminile,
furono affidate alle Suore del S. Cuore di Brescia. Più tardi passeranno
nel complesso di S. Bartolomeo, unendosi all'Istituto Giovagnoni-Birarelli (62).
Anche per i ragazzi orfani, abbandonati e in difficoltà, aveva provveduto
la Confraternita del SS.mo Rosario sin dal 1594; a questa si aggiunse anche
nel 1622 una casa fondata e affidata al Vescovo da papa Urbano VIII. Dopo le
epidemie, che aumentarono il numero degli orfani, si unirono le due iniziative
e si fondò la Casa di ricovero e di industria (1836) che nel 1844 ebbe
sede in via Torrioni e fu retta dai Fratelli delle Scuole Cristiane. Si mantenne
sino al 1862; poi fu soppressa e nei locali, sino alla loro distruzione bellica,
ebbe sede il Liceo Scientifico. Accanto a questa iniziativa, nel 1858 sorse,
sempre per l'assistenza ai ragazzi, l'opera di Mons. Birarelli, la Casa per
la rieducazione dei minorenni, più tardi chiamata il "Buon Pastore"
(1881) (63).
2.15 LA GIURISDIZIONE DELLE PARROCCHIE E LA TRASFORMAZIONE DELLE CITTA'
Anche le giurisdizioni parrocchiali ebbero le loro vicende. Lo sviluppo territoriale
della città comportò accorpamenti e divisioni. Le antiche parrocchie
del terzero del Salvatore furono man mano assorbite da quella più importante:
fino a qualche tempo fa, la sua giurisdizione era pari a quella dell'antico
terzero, oggi è parte della parrocchia di S. Pietro in S. Francesco.
Le due parrocchie in cui si era ridotto il terzero del Porto, S. Maria in Turriano
poi S. Primiano e quella di S. Maria della Piazza, attualmente non esistono
più, passato il territorio a quella del SS.mo Sacramento che non solo
estende da quel lato la sua giurisdizione ma ha avuto anche quella già
dei Ss. Giacomo e Martino. Così questa chiesa, fondata nel sec. XVI per
una Confraternita, è sede ora di diversi enti già parrocchiali
quali S. Maria Turriano (poi passata nella chiesa di S. Maria della Misericordia),
di S. Maria della Piazza (che aveva già assorbito la parrocchia di S.
Nicola da Bari e parte di quella armena di S. Anastasia), di S. Marco, di S.
Giacomo e parte di quella già di S. Egidio (passata nel sec. XVIII in
S. Domenico).
A questi accorpamenti fanno riscontro le suddivisioni delle due parrocchie di
S. Giovanni Battista (ex s Claudio) e dei SS. Pietro e Paolo.
Dalla prima sono nate tutte le parrocchie che si estendono a sud ovest della
città, ad iniziare dalla prima metà dell'Ottocento ed attualmente
ancora suddivise; così accadde per quella di S. Pietro, i cui distacchi
iniziarono nel sec. XVII con la formazione della parrocchia di Pietralacroce
(64).
Meno modifiche subiscono le giurisdizioni delle parrocchie dei castelli, rimaste
sostanzialmente quelle antiche, tranne qualche caso come, ad esempio, Numana,
con l'istituzione della parrocchia di Marcelli, Varano, con quella di Passo
Varano; così Falconara (S. Maria del Rosario, S. Antonio dei FF.MM.OO.,
di S.Giuseppe). Tali interventi derivano dalle nuove direttrici di sviluppo
dell'abitato o dalla ricostruzione, in sedi diverse, delle chiese già
distrutte dagli eventi bellici. Certo che attualmente, in Ancona, non potrebbe
ripetersi quanto si legge ancora sulle facciate degli edifici del centro di
Venezia relativamente all'appartenenza dell'immobile all'antico Sestiere ed
alla Parrocchia.
E' anche da notare che quella parte della città che era considerata preminente,
per la presenza della Cattedrale e della sede Comunale, è ormai pressochè
deserta; quella che formava il suo borgo verso il mare è scomparsa e
chi ha curato il piano di ricostruzione l'ha fortemente penalizzata, aggiungendo
alla distruzione bellica quella della sua identità. Ben diversa la sorte
di quella che le seguiva nella gerarchia: tutti i centri vitali si trovano oggi
in essa ed essa consente la continuità della vita cittadina, rimasta
solo la Cattedrale a ricordare che quel promontorio si chiama "Ancona".
E' nemesi storica?
NOTE AL CAPITOLO II
(21) -Sono da ricordare il sisma dell'847. Cfr. Peruzzi A., storia di Ancona,
I, Pesaro, 1835, p.207 sg. e le scorrerie nello stesso sec. IX. Cfr. Saracini
G. , Historia d'Ancona, Roma, 1675, p.102 sg. Peruzzi A., Storia. ecc., p.195
sg. Leoni A., Ancona Illustrata, Ancona, 1832, p.92.
(22) - Ciavarini C. , Collezione ecc. - p.62 sg.
(23) - Ciavarini C., Collezione ecc. p.16.
(24) - Codice diplomatico del Monastero di S. Maria delle isole Tremiti, a cura
di Petrucci A., II, Roma, 1969, p.277 sg.
(25) - I terremoti e gli incendi non hanno certo concorso alla corretta e buona
conservazione dei documenti; agli eventi naturali è poi da aggiungere
gli spostamenti della Cattedrale e le scorrerie piratesche, la deliberata distruzione
dell'archivio della città (1532), la cancellazione degli stemmi nobiliari
e di famiglia anche sulle lastre tombali al tempo dell'occupazione francese.
E' anche da ricordare la poca importanza data agli archivi nel passato, ed anche
recentemente, anche da parte dei Parroci e Rettori delle chiese.
(26) - Della Cronaca del Boncompagno è da ricordare una recentissima
trascrizione e traduzione": Boncompagno da Signa , L'Assedio di Ancona
del 1173, a cura di Moroni M., Ancona, 1991.
(27) - Un esempio si riscontra negli Acta Sanctorum ad Eschenio et Papebrocchio,
Venetia, 1737, e nella Cronaca del Bernabei, in Ciavarini C., collezione ecc.-,
p.16, relativamente alle notizie su S. Ciriaco.
(28) - Ciavarini C., collezione ecc., pp.10, 49, 52. Al tempo dell'occupazione
francese si soppressero i monasteri; questo di S. Bartolomeo fu fatto evacuare
il 1° Pratile (15 maggio) 1799. Cfr. Leoni A., Ancona ecc. p.379.
(29) - Sella P., Rationes ecc.-, p.263 sg.
(30) - I diversi momenti storici dell'edificio sono denunciati dai resti di
sculture, epigrafi e dai diversi titoli che assunse la chiesa.
(31) - Il sepolcro fu scoperto casualmente nel 1373, cfr. Leoni A., Istoria
di Ancona, Ancona, 1810, p.204 sg. in nota è Il anche riportata la traduzione
del testo relativo alla relazione del ritrovamento.
(32) -II Leoni A., Storia ecc.-, p.133, ritenne che i ruderi da lui ritrovati
sul colle Astagno appartenessero alla chiesa eretta da Galla Placidia tanto
che al baluardo il ritrovamento avvenne durante i lavori per una fortificazione
venne dato il nome di S. Stefano. Ma era impensabile che
nel sec. V la Cattedrale fosse eretta così lontano dall'abitato, raccolto
sul colle oggi Guasco e lontano da strade frequentate.
(33) - I titoli delle chiese sono ricavati dalle annotazioni delle decime. Cfr.
Sella P., Rationes ecc., da resti epigrafici nel Museo Diocesano (battistero)
e dalle bolle già appartenenti ai monasteri di s. Giovanni Battista"
in Via Penocchiara e S. Maria di Portonovo.
(34) - La chiesa di S. Maria del Molo o del Gamba dal nome della torre è
ricordata dal Bernabei. Cfr. Ciavarini C., Correzione ecc. p.14.
(35) - Dal testo della bolla è evidente che in quel tempo l'insediamento
ai piedi del colle oggi Guasco aveva una certa consistenza ed era considerato
borgo del soprastante
castello .
(36) - Albertini C., Storia di Ancona, ms presso la Biblioteca Comunale di Ancona,
I, add. , p.7: “...fu eretta la chiesa di s. Nicola da Myra dai Greci
Latini; le vestigia non si vedono più perchè fu abbattuto nel
1786 il. campanile e ", rifatta la chiesa; nel catasto del. 1500 si parta
anche di una piccola farmacia vicino all’ospedale della stessa chiesa.
(37) - Saracini G., Historia ecc., p.478.
(38) - Di questa Confraternita esistono ancora gli Statuti presso l'Archivio
di Stato di Ancona.
(39) - Leoni B., L'origine et fondatione dell’Ordine de' Crociferi descritta
dal Reverendiss. Monsignor..., Venetia, 1598, pp.2ss.
(40) - Leoni B. , L 'origine ecc. , p.31 te 32: “. ..Il Vescovo di Ancona
sotto il Pontificato di Lucio fece dono della chiesa di Santo Leonardo, appresso
al. ponte di Conocella...; Lucio III pontificò tra il 1181 ed il 1186
e il ponte di Conocella era sul torrente oggi detto Conocchio. Sullo stesso
ponte e chiesa, l'Albertini C., Storia ecc. IV/I, p.254, riporta un atto tra
i Crociferi ed il Comune nel 1380.
(41) - La bolla, rilasciata il 24 novembre 1202 ai PP. Crociferi di S. Maria
di Potenza (Recanati) , ricorda: “… l'ospedale di Ancona con le
sue pertinenze la chiesa di S. Agnese come l'avete avuta dal Vescovo di Ancona
con pubblico istrumento confermato da papa Lucio di felice memoria...";
oggi l'Abbazia è ridotta a casa di abitazione.
(42) - La parrocchia era di antica fondazione; nel 1242. regolarizza i confini
con quella di S. Martino; nel 1652, sciolto l'Ordine da papa Innocenzo X, i
beni passano al Seminario e la parrocchia al clero secolare. La prima soppressione
la subisce nel' 1812, quando la parrocchia passa a S. Maria del Popolo (S. Agostino);
ritorna sede parrocchiale dopo l'occupazione francese fino al 1909, quando è
trasferita nella chiesa del SS.mo Sacramento, dove tuttora si trova. Cfr.: Leoni
A., Ancona ecc. p.707; Albertini Storia ecc. III/II, p.17 sg.; Leoni A. , Istoria
ecc.
II, p.273 sg. Il Leoni, a p.284, dice: "il. dovizioso tesoro di pergamene
che conservasi in quell' Archivio si è smarrito ( forse per incuria dei
successori Parrocchi) e pochissime son giunte ai nostri giorni. Peraltro le
citate sono ancora esistenti". Il Leoni scrive ciò nel 1810
(43) - Bolla di papa Urbano III al Priore dell'Abbazia del SS.mo Salvatore o
dei Ss. Quattro Coronati in Colle Bianco di Cingoli, in data 13 marzo 1186:”…
quidquid habetis... "in Comitatu Anconitano ecclesiam S. ti Stephani ".
Cfr. Raffaelli M. , Memorie ecc. ~ p.67.
(44) - La posa della prima pietra avvenne il 9 novembre 1339 (Ciavarini C.,
Collezione ecc. p.59; Saracini G., Historia” ecc. p.190) e fu rinnovata
dal Vanvitelli tra il 1750 ed il 1754; l'architetto la riteneva una delle sue
opere più riuscite in Ancona. Fu barbaramente manomessa per ricavarvi
una caserma nel 1862. Si salvò soltanto il portale.
(45) - Albertini C., Storia ecc. III/II, p. l sg.
(46) - Il Beato Gabriele Ferretti resse il Convento tra il 1422 ed il 1425;
ivi mori e fu sepolto. Le sue spoglie rimasero nella chiesa fino al 1862; fu
allora profanata la chiesa che il sarcofago fu traslato in Cattedrale e la salma
deposta nella cripta dei SS. Protettori. Attualmente riposa nella chiesa di
S. Giovanni Battista, custodita dai Confratelli.
(47) - I Cappuccini furono accolti in Ancona dopo il decreto del Consiglio Comunale
in data 29 maggio 1554; il successivo 7 10 novembre sono autorizzati ad acquistare
il terreno per il convento nel luogo ove era stata l'antica Rocca papale. Il
convento fu costruito tra il 1579 ed il 1621. Cfr. Leoni A., Ancona ecc., pp.289
e 297; Saracini G., Historia ecc. pp.361 e 205.
(48) - Leoni A., Istoria ecc., III, p.92, dove trovasi la trascrizione del documento
datato 8 ottobre 1253; Leoni A., Ancona ecc., p.148. Sulla presenza di S. Pietro
Martire o.p. a Jesi; Baldassini G., Memorie istoriche de1L'antichissima e regia
città di Jesi, 1765, pp.47 sg e 53.
(49) - Leoni A., Ancona ecc., p.247; Peruzzi A., Storia ecc., p.366.
(50) - Si conosce che i Gerolamini, nel 1510, erano nella chiesa dei SS. Cosma
e Damiano e nel 1520 in quella di S. Maria in Belverde (Leoni A., Ancona ecc.,
pp.253 e 261); nel 1534 è demolito il loro eremitaggio sull' Astagno
e sono spostati in periferia dove erigono il complesso di S. Maria delle Grazie,
da cui la località prenderà il nome che ancora conserva. Nel 1559
vi celebrano il Capitolo; nel 1635 vengono sciolti da Innocenzo X. Cfr. Saracini
G., Historia ecc., p.348; Leoni A., Ancona ecc., p.293 e Albertini C. , Storia
ecc. , Appendice II, p. 71; Archivio Curia Arcivescovile documenti anno 1635,
p.442 retro.
(51) - Sugli Eremiti del M. Conero, cfr. Saracini G., Historia ecc., p.317;
sulla presenza degli Eremiti di S. Maria di Gonzaga, iniziata nel 1518 per concessione
del vescovo Benedetto Accolti e la loro sostituzione con i Camaldolesi nel 1559;
cfr. Leoni, Ancona ecc., p.295; Peruzzi A., La Chiesa Anconitana, Ancona, 1854,
p.119; Albertini C., Storia ecc., XI/II Add., p.12.
(52) - Gli Apostolini o Frati Apostolici o dei SS. Apostoli, sorsero nel sec.
XV; furono approvati da papa Alessandro VI (1492-1508) e si diffusero nell'Italia
centrale e meridionale. Nel 1589 furono uniti alla Congregazione degli Ambrosiani
ad Nemus di Milano. Questi ultimi erano sorti nel sec. XIV e furono approvati
da Gregorio IX nel 1375. La loro soppressione avvenne il 2 dicembre 1634 al
tempo di papa Urbano VIII. Il convento anconitano dei SS. Barnaba ed Ambrogio
(o Ambigli, come dice il Leoni) ad Nemus, fu
acquistato nel 1647 dai coniugi Antonio Cocco e Vincenzi Bianca che lo destinarono
ad una comunità di Clarisse con il titolo dei SS. Sebastiano e Gioacchino.
Cfr. Leoni, Ancona ecc., p.316 sg.
(53) - Albertini C. , Storia ecc. , Appendice II, p.27:”..non si sa dov'erano.
Tenevano bettola aperta davano da mangiare e bere ma non volevano pagare dazio
ed altre tasse. Erano detti frati di S. Giovanni o Camiciotti".
(54) - La presenza di questa Comunità risulta dalle Visite Pastorali
del vescovo Conti, p.48 sg.
(55) - Sui PP. Scolopi. cfr. Albertini C., Storia ecc., XII/II
add., p.17, XIII/I, p.215 sg, XIV/II, p.84. Per i Carmelitani Scalzi di S. Teresa,
cfr. Saracini G., Historia ecc., p.455. Per gli Oratoriani e Filippini, cfr.
Saracini G., Historia ecc.~ p.455; Leoni A., Ancona ecc., (56) - p.3l5 - Speciali
G., Riflessioni Addizionali al Libro intitolato Notizie storiche dei SS. Protettori
della Città di Ancona, Foligno, 1770, p.113: il Monastero fu eretto dal
vescovo Giovanni Bono il martedì 11 marzo 1262 e le monache vi entrarono
il 12 marzo 1263. Fu confermato dal vescovo Nicola degli Ungari nel 1323. Nel
1383, durante l'assedio alla Rocca papale, nella chiesa fu costruito il castello
di legno che servì come torrione mobile agli assalitori, cfr. Ciavarini
C., Collezione ecc. , p.123.
(57) - Archivio di Stato, Roma; vi è conservata la documentazione della
lite consistente in una bolla del vescovo Nicola degli Ungari del 16 novembre
1322, in quella della nomina del procuratore del Vescovo e del clero in data
18 novembre 1322 e nell'atto di transazione del 20 novembre 1322. Cfr. anche
Buglioni M., Istoria del Convento di s. Francesco dell'Ordine de' Minori di
Ancona, Ancona, 1795, p.13.
(58) - Sella P., Rationes ecc. p.310; il Sindacò dei Monasteri di S.
Maria Nova e di S. Agnese era Nicola di Bonaventura; p.311, il Sindaco di S.
Maria di Castello era Lorenzo di Luca.
(59) - Di uno degli antichi monasteri, il vescovo Caffarelli (1437-1460) fece
dono alle terziarie francescane, dono approvato da papa Eugenio IV nel 1444;
alle stesse, papa Sisto IV concesse la clausura; cfr. Archivio di Stato Ancona,
liber Croceus p.4; Archivio Capitolare Pergamene di S. Bartolomeo nn.3l, 32,
33; Albertini C., Storia ecc. XII/I add., p.43, ricorda la presenza dell'Ospitaletto
delle Monache povere Terziarie, senza però precisarne l'ubicazione e
se fossero quelle fondate dal vescovo Caffarelli.
(60) - Le Madri della Penitenza furono fondate nel 1588; entrarono nel monastero
già di S. Martino poi di S. Maria di Portonovo - al quale fu mutato il
titolo in S. Maria Maddalena - l'anno successivo, assistite "economicamente
e amministrativamente dalla Confraternita del SS.mo Sacramento. Soppresso nel
1798 dai Francesi, si ritirarono presso le Maestre Pie. Cfr. Leoni, Ancona ecc.,
p.374 e Saracini G., Historia ecc., p.377 sg.
(61) - La fondazione fu decisa dal Comune nel 1588 e fu approvata da papa Sisto
V; i lavori per il nuovo convento iniziarono il 14 febbraio 1590 ma le monache
vi entrarono soltanto il 27 dicembre 1630. Dopo le soppressioni, il complesso
ebbe diverse destinazioni e, prima della sua distruzione dopo il sisma del 1972-
motivato per pubblica incolumità ma sembra per altri meno nobili motivi
- era carcere. Cfr. Leoni A., Ancona ecc., p.301 sg e p.440 sg.
(62) - Le Maestre Pie furono fatte venire in Ancona dal vescovo card. Massei,
come risulta dal Sinodo del 1738, p.69. Ebbero diverse residenze, in funzione
delle località in cui prestarono la loro opera educatrice. Le Birarelle,
cosi popolarmente chiamate, passate nel complesso di S.Bartolomeo, furono assistite
dalle Suore di S. Vincenzo de' Paoli; cfr. A ricordo del Centenario di fondazione
del Conservatorio Femminile Giovagnoni Birarelli in Ancona 1854-1954, Ancona
1954.
(63) - Una trattazione esauriente delle iniziative a favore dei ragazzi succedutesi
dal sec. XVI ad oggi, manca; in generale, anche se al momento del loro inizio
le basi finanziarie sembravano solide, il tempo si incaricava in breve di renderle
inefficienti. Da qui le fusioni, gli spostamenti di sede, le modifiche dei nomi.
A titolo di cronaca anche la fondazione di Mons. Birarelli sembra oggi ormai
superata e cerca altro indirizzo per realizzare in modi diversi la volontà
del Fondatore.
(64) - Con il recente riordino delle giurisdizioni, dopo le vicende belliche
e sismiche, dell'antico ordinamento è rimasto ben poco. Le attuali parrocchie
urbane non hanno più rispondenza con le antiche, sparite anche le chiese
dove avevano la loro sede. Si è così perduta la possibilità
di leggere la storia della città attraverso le giurisdizioni parrocchiali.
CAPITOLO III: MEMORIE DEI VESCOVI
3.1 PRIMIANO
Secondo gli studiosi, il primo nome che apre l'elenco dei Vescovi di Ancona
è quello di Primiano.
La tomba di questo vescovo fu trovata casualmente nel 1373 nella Chiesa di S.
Maria in Turriano, ricavata in un loculo praticato nel muro absidale dal lato
del Vangelo, sopra la tomba, vi era la nicchia dove era conservata l'Eucarestia.
Chiudeva il loculo una lastra di pietra sulla quale era scritto: HIC REQUIESCIT
CORPUS BEATI PRIMIANI EPISCOPI ET MARTYRIS QUI FUIT GRAECUS. Secondo la relazione
del ritrovamento, il corpo fu trovato completo, coperto di un drappo, entro
una cassa di legno. Il vescovo di quel tempo, Giovanni Tedeschi, dell'Ordine
degli Agostiniani, dispose che i resti fossero raccolti in un'urna d'argento
e che questa, protetta da un'inferriata, fosse posta alla venerazione dei fedeli.
E' appena da dire che quanto allora scoperto è andato tutto perduto,
comprese le reliquie del Santo, travolte queste tra le macerie della Chiesa
bombardata; ma la lapide, la cassa ed il drappo erano già da tempo andati
perduti, probabilmente tra il 1591 ed il 1609 quando la Chiesa medioevale fu
abbattuta e ricostruita, modificandone il titolo, in onore del Santo Vescovo,
fu detta infatti di S. Primiano. Nel 1943-1944, epoca dei danni bellici, le
reliquie erano collocate sotto l’altare maggiore: resa la Chiesa un cumulo
di macerie, queste furono sgomberate al momento dell'arrivo degli Alleati senza
poter eseguire uno scavo, avendo interesse per costoro solo l'urgente sgombero
delle rovine che impedivano l'agibilità della zona portuale.
Dalla descrizione, che ancora si conserva in copia, si può solo ritenere
che le spoglie del Vescovo Primiano fossero state portate, o sistemate dopo
una ricognizione, nella Chiesa di S. Maria in Turriano attorno al Mille, perché
soltanto in quell'epoca si inizia a coprire le reliquie con drappi, sull'esempio
di quanto praticato da Ottone III dopo la ricognizione del corpo di Carlo Magno.
Da ciò discende che la prima sepoltura del Vescovo Primiano poteva essere
stata altrove, non escludendosi o la prima cattedrale o la basilica di S. Stefano,
quella che S. Agostino chiama antica, o il cimitero della Chiesa Anconitana
dove si continuò a deporre le salme dei fedeli almeno oltre il sec. VI.
Mancando ogni riferimento al tempo della deposizione o della eventuale traslazione
o ricognizione, non si possono precisare i rapporti cronologici intercorrenti
tra S. Primiano e S. Ciriaco, questo morto nel 363. Il Vescovo Primiano è
comunque considerato anteriore a S. Ciriaco.
3.2 CIRIACO
Del Vescovo Ciriaco si conosce qualche notizia e precisamente la data della
morte, avvenuta a seguito del martirio sopportato nell'anno secondo dell'imperatore
Giuliano detto l'Apostata. L'attribuzione della Cattedra Anconitana a S. Ciriaco
è fondata sulla costante tradizione e sulla mancata rivendicazione da
parte di altre Chiese Orientali od Occidentali; più certa è la
sua dignità vescovile, affermata, oltre che dai martirologi e degli Atti
anche da un testo della prima metà del sec. VI,
in cui è riconosciuto come pastore ottimo di popoli cristiani. Testo
che era conosciuto a Costantinopoli ed usato nella liturgia del Venerdì
Santo o in quella della festa della Croce che si celebrava nella Quaresima,
composto da Romano il Melode, diacono della stessa Chiesa. S. Ciriaco morì
a Gerusalemme dove si era recato per visitare i Luoghi Santi. Si cercò
prima di convincerlo ad aderire al paganesimo; di fronte alla sua costanza della
Fede si tentò di piegarlo inutilmente con diversi tormenti, sino a versargli
piombo fuso in bocca ed essendo a questi sopravvissuto, ebbe la morte percuotendo
il suo capo con un ferro, forse una roncola, procurandogli una frattura cranica.
Questi tormenti sono stati accertati dagli esami radiologici e chimici eseguiti
nella ricognizione delle spoglie, avvenuta nel 1979.
La salma del Martire fu sepolta a Gerusalemme, in una grotta del Monte Calvario;
fu traslata in Ancona, probabilmente nel 433 o 435, a cura e per interessamento
di Galla Placidia in sostituzione delle reliquie di S. Stefano e deposta nella
Chiesa che la stessa Augusta aveva fatto erigere in onore del Protomartire,
la seconda con questo titolo. In questa basilica rimase sino al Mille, quando,
in occasione della donazione alla Chiesa Anconitana della basilica palatina
di S. Lorenzo, che era nel recinto dell'acropoli, vi fu traslato unitamente
alla Cattedra ed in questa Chiesa, oggi intitolata a S. Ciriaco, ancora riposa.
Il terzo nome è quello di Marco, presente al Concilio Lateranense indetto
da papa Ilaro nel 462; seguono due anonimi, uno citato in un decreto di Graziano
dell'anno 492, al tempo di papa Gelasio I, relativo all'individuazione dei confini
tra le diocesi di Ancona e quella di Osimo; un altro che potrebbe essere stato
anche il medesimo, richiamato dallo stesso papa nel 496 perché indulgente
verso il Pelagianesimo.
3.3 MARCELLINO E L’EVANGELIARIO
Dopo questi vescovi dovrebbe esserci S. Marcellino, ricordato da papa Gregorio
Magno per il miracolo dello spegnimento di un incendio che stava devastando
Ancona. S. Gregorio fu papa tra il 590 ed il 604 e scrisse l'opera in cui parla
del vescovo Marcellino attorno al 593, quando era morto già da tempo
il vescovo: vi si legge infatti "… vir vitae venerabilis Marcellinus
fuit …". Secondo alcuni, seguirebbe a Marcellino il vescovo Tommaso
I, anche se non immediatamente; i cronisti ricordano che anche questo Vescovo
usò l'Evangelario, adoperato da S. Marcellino, per spegnere un altro
incendio scoppiato nella zona del porto. Questo vescovo potrebbe però
essere collocato in altro tempo, tenuto conto che in quei tempi gli incendi
erano eventi piuttosto frequenti.
Negli anni 591 e 598 regge la diocesi il vescovo Sereno; sono a lui indirizzate
delle lettere del già ricordato papa Gregorio; morì nel.603 perché
in quest'anno il papa interviene, con una sua lettera, dando le indicazioni
per la scelta del successore tra i tre che erano stati proposti per occupare
la sede vacante.
Dopo Sereno si potrebbe collocare Fiorentino, citato nella lettera del 603,
che, a parere del Papa, sembra avere avute le qualità per essere consacrato
vescovo; ma non resta nessun documento che lo confermi inequivocabilmente.
Viene quindi posto da alcuni il nome di Giovanni; sembra però che sia
il nome di un Vescovo incaricato dal Papa a verificare la situazione anconitana
e non il titolare della Diocesi. Sicuramente Vescovo di Ancona è Mauroso,
presente, nel 649, al Concilio romano indetto da papa Martino I; per lo stesso
motivo si possono far seguire i Vescovi Giovanni II, presente al Concilio romano
convocato da papa Agatone I nel 679, e Senatore, presente ad analogo Concilio
da papa Zaccaria I nel 743.
3.4 NATALE E L'EPOCA LONGOBARDA
Un iscrizione presente a Rimini, relativa alla consacrazione di un altare,
ricorda un Vescovo di Ancona, Natale, che pone nel sepolcreto, tra le altre,
anche una reliquia di S. Pellegrino; non vi è segnato l'anno, ma dalla
tipologia delle lettere, si può collocare il fatto nel sec. VIII. Anche
l'esumazione dei resti di s. Pellegrino per collocarli nella Chiesa del Salvatore,
titolo tipicamente longobardo, può assegnarsi a quest'epoca e ciò
confermerebbe il tempo in cui Natale potrebbe aver retto la cattedra anconitana.
Ai Concili romani convocati dai Papi Eugenio e Nicolò I, negli anni 826
e 861, intervengono i Vescovi Tigrino e Leopardo; Leopardo è anche nominato
in un documento dell'866.
3.5 PAOLO E L'ERESIA DI FOZIO
Segue il Vescovo Paolo, incaricato da Papa Giovanni VIII ad assolvere varie mansioni di fiducia, compresa la presidenza, nell'879, del Concilio che si celebra a Costantinopoli per l'eresia di Fozio; purtroppo Paolo non corrisponde alle aspettative del Papa e giustifica Fozio per cui viene scomunicato con lui.
3.6 IL TEMPO DEGLI OTTONI E LA CATTEDRA DI S. LORENZO
Un documento apocrifo, ma che sembra esatto nei nomi che contiene, ricorda
la presenza del Vescovo Bonolergio, (o Bolongerio o Benolergio), alla consacrazione
della Chiesa di S. Croce all'Ete, in territorio di S. Elpidio a Mare, avvenuta
nell'888. Più sicura è la presenza, nel 967, del Vescovo Erfermario
a Ravenna, dove sottoscrive il Sinodo convocato da Papa Giovanni XIII, al tempo
di Ottone I. Segue il Vescovo Trasone il cui nome risulta tra i sottoscrittori
di un diploma rilasciato a favore del Monastero di S. Fiora nell'Aretino, datato
983, e tra i presenti al placito di Ravenna convocato dall'imperatore Ottone
III nel 996; al tempo di questo Vescovo si recuperano le reliquie di S. Liberio
- che da secoli erano rimaste tra le macerie della Chiesa di S. Silvestro, poi
S. Liberio, distrutta negli assedi subiti dalla città - e le si depositano
nella Chiesa di . S. Lorenzo, entro le mura della acropoli, dopo averle composte
nel sarcofago già di Flavio Gorgonio. Questo stesso Vescovo trasporterà,
inoltre, la Cattedra vescovile dalla basilica placidiana di S. Stefano a quella
di S. Lorenzo, oggi intitolata a S. Ciriaco, e con la Cattedra, anche la salma
di S. Ciriaco.
Al Vescovo Trasone succede Stefano, che si sottoscrive episcopus anconensis
nell'atto con cui Papa Giovanni XIX concede particolari indulgenze alla Chiesa
di Montpellier (Francia), nell'anno 1030; sotto questo vescovo si può
collocare la traslazione dei resti di S. Marcellino, dalla basilica di S. Stefano
a quella di S. Lorenzo, nell'anno 1017.
L'archivio dell'Abbazia di S. Giovanni Battista in Val Penocchiara, oggi conservato
nell'omonima Chiesa parrocchiale, ci fa conoscere la presenza del Vescovo Grimoaldo,
essendo ivi conservata la copia di una sua bolla del 19 marzo 1051. A questo
Vescovo segue Gerardo I, che partecipa al Concilio di Ferrara, presieduto da
Papa Alessandro II nel 1O71.
3.7 IL XII SECOLO E I PLUTEI DEL MAESTRO LEONARDO
Da una sola bolla di Papa Alessandro III conosciamo i nomi di altri due Vescovi
ma non il periodo preciso in cui sedettero sulla Cattedra anconitana: essi sono
Transberto e Marcellino II; di un terzo Vescovo, pure nominato nella stessa
Bolla, oltre al nome, Berardo o Bernardo, conosciamo che nel 1128 consacra un
altare nella Cattedrale e concede un particolare trattamento alle navi del monastero
di S. Maria delle Tremiti quando fanno scalo nel porto di Ancona. Questo atto
suggerisce quale era l'importanza ed il potere dei Vescovi in quel tempo. Un'iscrizione
che correva sui plutei che delimitavano il braccio dove ora si trova l'altare
della Madonna, Regina di Tutti i
Santi, nella Cattedrale, ora frammentati dai danni bellici, offre il nome del
Vescovo Lamberto ed un suo atto, con il quale concede alla Comunità monastica
di S. Giovanni Battista di Val Penocchiara di entrare a far parte della Famiglia
Camaldolese, ci precisa una data, 1158. La partecipazione al Concilio Lateranense
indetto da Papa Alessandro III nel 1170 ed una Bolla di Papa Lucio III per il
monastero di Portonovo del 1183, ci fanno individuare il Vescovo Gentile. Una
bolla di papa Innocenzo III del 18 maggio 1202 ricorda che lo stesso papa Lucio
confermò una donazione della chiesa di S. Agnese fatta da un vescovo
di Ancona: forse questo vescovo potrebbe essere stato Gentile. Questi dovette
morire nello stesso anno della Bolla perché in un'altra Bolla dello stesso
anno ma per il monastero di S. Giovanni Battista di Val Penocchiara vi è
la firma del Vescovo Rodolfo.
Un diploma di Enrico IV del 1186 per Portonovo, ed un atto relativo alla disciplina
delle offerte, anno 1199, sono i due documenti entro i quali si conosce il periodo
del governo del vescovo Berardo. Ma di questo Vescovo si conosce anche una conferma
delle concessioni di cui godeva l'Abbazia di S. Giovanni Battista e l'esecuzione
dei plutei da parte di Maestro Leonardo, plutei che Ancora oggi delimitano il
braccio dove è l'altare del Crocifisso, anche se mancanti di diverse
lastre e della pergola che li sorregeva e sulla quale correva l’iscrizione
commemorativa SEC.XIII
3.8 GERARDO II E L’ORGANIZZAZIONE DEL CORPO CANONICALE
Si può invece registrare la molteplice attività del vescovo Gerardo II di cui è documentata la consacrazione della Chiesa di S. Marco nel 1204; la presenza al rinvenimento dei resti dei SS.MM. Pellegrino, Flaviano e Dasio nel 1224, l'organizzazione del corpo dei Canonici, dei quali fissa il numero di dodici, confermato poi dai Papi Onorio III e Gregorio IX; l'incarico, assolto, da parte della Sede Apostolica per dirimere una questione sorta tra il Comune di Fano e l'Abbazia di S. Paterniano della stessa città; finalmente la sua memoria in una iscrizione rinvenuta presso la chiesa di S. Primiano datata 1228.
3.9 IL SACELLO DI S. ANNA E LE LOTTE FRA PAPATO E IMPERO
Dal Vescovo Tommaso II ci parla pure una lapide che ricorda la dedicazione
di un sacello in onore di s. Anna, nel 1235. Questa S. Anna non dovrebbe essere
stata la madre della Madonna, il cui culto si sviluppò dopo il 1380 anno
in cui il Patriarca Latino di Costantinopoli, Paolo Paleologo, ne dona alla
Cattedrale la reliquia; ma la madre di S. Ciriaco, martire con Lui. Di Persevallo,
parla un atto del monastero camaldolese di Fonte Avellana relativo alla Chiesa
di S. Lucia, che era nella zona di Capodimonte; è inoltre ricordato in
un atto del 1245, dal suo successore Giovanni Bono.Il Vescovo Giovanni Bono,
terzo con questo nome, sedette a lungo sulla Cattedra anconitana dal 1243 al
1284. Era canonico della Cattedrale. Partecipò al Concilio di Lione (1245),
disciplinò la collazione dei benefici ecclesiastici, stabilendo un'età
minima ed il possesso di almeno un triennio di studi. Fu Vicario papale nel
Regno di Sicilia. Nel 1262 fondava il monastero di S. Bartolomeo e S. Gabriele
Arcangelo in Ancona. L'ultimo atto che si conosce di questo Vescovo è
la nomina dell'abbadessa del monastero di S. Maria Maddalena di Recanati per
incarico della S. Sede. Il periodo di episcopato fu caratterizzato da lotte
violente tra le città marchigiane che parteggiavano per Federico II e
quelle che parteggiavano per la Chiesa.
Al Vescovo Giovanni seguono Pietro I Capocci che qualcuno identifica anche come
Pietro Romanelli, mentre altri lo considerano successore, che resse la diocesi
per un anno circa; Berardo II che, pur, sedendo per circa
dieci anni, dal 1286 al 1295, non ha lasciato tracce del suo operato; lo segue
Pandolfo, già Vescovo di Patti (Sicilia), che rimase per circa tre anni
(1296-1299).
3.10 SEC: XIV: IL TEMPO DI BONIFACIO VIII E LA POSA DELLA PRIMA PIETRA DI S. MARIA MAGGIORE
I vescovi del sec. XIV iniziano con Nicolò o Nicola degli Ungari, genovese,
che sedè dal 1299 al 1326. Fu consacrato da Bonifacio VIII che gli conferì
anche la nunziatura in Germania. L'attività diplomatica non gli impedì
di espletare quella pastorale e di lui si ricordano diversi atti di governo.
Nel 1306 consacrò l'altare della Pietà, oggi del Crocifisso, nella
Cattedrale e nel 1316 quello dedicato a S. Francesco, probabilmente nella zona
della Cappella della Madonna. Concesse poi ai monaci di Portonovo di trasferirsi
in città, a S. Martino di Capodimonte, quasi di fronte all'attuale Chiesa
dell'Annunziata, perché le frane, i terremoti ed i pirati avevano reso
inabitabile la località in cui da secoli si trovavano. Si ricorda inoltre
che nel 1323 pose la prima pietra della Chiesa di S. Maria Maggiore, oggi S.
Francesco delle Scale, dove fu sepolto nel 1326; ancorché la Chiesa non
fosse stata ancora ultimata, la sua sepoltura fu traslata in Cattedrale nel
1862, quando la Chiesa ricadde tra quelle soppresse.
Si ha quindi un certo numero di Vescovi che governano la diocesi per brevi periodi:
Tommaso III de Moures, 1326-1342; i Niccolò II Frangipane, 1342; Agostino
del Poggio, 1344; Ugo, nominato ma non consacrato, 1348; Lanfranco Salvetti,
anconitano, 1348-1349.
3.11 IL PERIODO DELLE PESTILENZE E DELLO SCISMA D’OCCIDENTE
Il periodo più burrascoso della vita della città fu quello in
cui resse la diocesi il Vescovo Giovanni Tedeschi, anconitano.
E' il periodo delle pestilenze, della conquista malatestiana, del recupero della
città allo Stato Pontificio da parte del Cardinale Egidio Albornoz. Durante
il suo pontificato furono ritrovate le spoglie del Vescovo S. Primiano a S.
Maria in Turriano. Dal 1348 al 1381, nonostante lo scisma d'Occidente, Ancona
riuscì a mantenersi fuori dalle lotte e dall'azione che l'antipapa Clemente
VI fomentava per impadronirsi della città, munita della formidabile Rocca
eretta dal cardinale Albornoz.
3.12 SEC. XV: I TRE PAPI E LA RIVALITA'FRA LE FAMIGLIE CITTADINE
Successe al Vescovo Giovanni IV, Bartolomeo Uliario trasferito poi a Firenze nel 1385 quindi Guglielmo Dellavigna, romano e benedettino, che sede sino al 1405. E' ricordato per la sua attività diplomatica in Francia e Germania e per i suoi incarichi presso la S. Sede. Lo segue il Vescovo Carlo I degli Atti che regge la Chiesa di Ancona per pochi mesi. Gli succede Lorenzo de' Ricci che, nel 1410, è trasferito alla sede di Senigallia. Quindi Simone de' Vigilanti, anconitano, siede sulla Cattedra per nove anni. In questo periodo, a motivo della presenza di tre pontefici, ognuno rivendicante il proprio diritto e con propri seguaci, anche la Chiesa di Ancona risente del doloroso contrasto, acuito anche dalle rivalità che sorgono tra le Famiglie della città, che vedono propri rappresentanti eletti all'episcopato di Ancona. Composti i dissidi attraverso il Concilio di Costanza, Papa Martino V col trasferimento del Vigilanti a Senigallia e del Vescovo Ferretti, nominato in contrasto con il Vigilanti ad Ascoli Piceno, risolve la questione. Invia quindi in Ancona Astorgio degli Agnesi, napoletano, una delle figure più importanti dell'epoca. Sotto il suo governo, Papa Martino V unisce le due diocesi di Ancona e Numana (19 ottobre 1419) con l'obbligo del Vescovo di assumere il titolo di Vescovo di Ancona e di Numana, titolo conservato sino a pochi anni or sono. Attualmente la S. Sede ha posto la sede di Numana tra quelle titolari, per cui l'obbligo della doppia denominazione è caduto. All'epoca del Vescovo Astorgio, i beni del Monastero di S. Maria di Portonovo, dopo la morte dell'ultimo abate, per concessione di Papa Eugenio IV, sono incorporati ai beni del Capitolo della Cattedrale, che ne godrà sino alla soppressione dei beni ecclesiastici. Il Vescovo Astorgio, nel 1436, è trasferito a Benevento e gli succede Giovanni V Caffarelli. Questi però potrebbe essere il sesto di questo nome, perché sembra dovette essere preceduto da Giovanni De Dominis che fu trasferito in Ancona da un'altra sede, ma che, probabilmente, morì prima di prendere possesso della diocesi.
3.13 I VESCCOVI FATATI E BENINCASA
Pur interessandosi vivamente del governo della Chiesa Anconitana, il Caffarelli
era a disposizione della S. Sede per vari incarichi: in diocesi era rappresentato
dal Vicario, canonico Leonardo Bonarelli. Il Vescovo Giovanni morì a
Roma nel 1460. Papa Pio II nominò allora Vescovo di Ancona Agapito Rustici-Cenci
che resse la diocesi per circa tre anni; essendo poi trasferito a quella di
Camerino: il Papa ne aveva grande stima come elegante umanista e poeta e come
acuto giurista. Gli fu successore Antonio Fatati, anconitano, che seppe ascendere
la via della perfezione per cui è stato riconosciuto Beato. Resse la
diocesi sino al 1484, attivissimo nei compiti pastorali ed in quelli affidatigli
dalla S. Sede; però fu soprattutto esemplare nella carità e nel
servizio dei poveri, tanto da essere amato in vita e venerato come intercessore
dopo la sua morte. Il processo di beatificazione fu iniziato nel 1652; Papa
Pio VI, nel 1795, ne confermò il culto ab immemorabili. E' deposto nella
cripta dei Santi Protettori della Cattedrale.
Al Beato Antonio Fatati successe un altro anconitano, Benincasa de' Benincasa,
che governò la diocesi sino al 1502. E' sepolto nella Cappella della
Madonna delle Grazie, oggi di S. Lorenzo, nella Cattedrale, fatta erigere da
lui come luogo di sepoltura della sua famiglia.
3.14 IL CARDINAL D'ANCONA E LA FINE DELL'AUTONOMIA COMUNALE
Giovanni VI (VIII) o Sacca, nativo di Sirolo e già parroco di quel castello,
poi Arcivescovo di Ragusa, fu trasferito in Ancona alla morte del vescovo Benincasa.
Rimane una figura esemplare per la rettitudine della sua vita e per la multiforme
attività. Morì a soli 56 anni, a Roma, dove fu sepolto, nel 1505.
La diocesi fu quindi retta da Pietro III degli Accolti, cardinale, che risiedè
più a Roma che in Ancona, stante ì suoi molteplici incarichi curiali.
Avendo avuto la nomina al cardinalato durante il vescovato anconitano, fu anche
indicato come il Cardinal d'Ancona.
Pietro Accolti fu una grande figura per quanto riguarda la cultura e la politica,
molto meno come uomo di chiesa, anche se alla morte di Leone X fu tra i cardinali
candidati alla tiara. Resse la diocesi sino al 1514 rinunciandola a favore del
nipote Francesco Accolti, minorenne, per cui continuò ad amministrarla
in suo nome. Francesco Accolti, con il titolo di erectus regge la diocesi dal
1514 al 1523; muore in quell'anno ed è sostituito da un altro nipote
di Pietro Accolti, Baldonivetto Baldovinetti, figlio di una sua sorella, che
resse la Chiesa Anconitana tra il 1523 ed il 1538. Questo vescovo è ricordato
per la sua attività pastorale e per la serietà ed impegno nei
suoi doveri. Rimane qualche ombra circa le sue relazioni con il cugino, card.
Benedetto Accolti, che ottenne da Papa Clemente VII la facoltà di occupare
proditoriamente, Ancona il 20 settembre 1535, ponendo così fine all'autonomia
comunale ed iniziando il progressivo decadimento della città. Al tempo
di questo vescovo fu innalzata la Chiesa di S. Maria Liberatrice di Posatora
per chiedere la liberazione dall'epidemia che affliggeva la città. Il
tempio, juspatronato comunale, in quanto eretto per pubblico voto, reca sul
prospetto il cinquecentesco, lo stemma civico. Il recente movimento franoso
lo ha interessato, rendendolo inagibile.
3.15 L’EPOCA DELLA RIFORMA TRIDENTINA: I VESCOVI DELUCCHI S.E.CONTI
Al Baldovinetti successe il Vescovo Gerolamo Granderoni che resse la diocesi
dal 1538 al 1550. Non brillò per virtù ed impegno pastorale e
forse fu poco presente nella sua sede. Durante il suo episcopato fu eretta la
Chiesa del SS.mo Sacramento. Altra figura di nessun rilievo fu il suo successore,
Matteo de Lucchis; bolognese, che' fu vescovo di Ancona tra il 1550 ed il 1556.
A questo successe il fratello, Vincenzo, che fu uno dei vescovi più attivi
e pieni di zelo nell'attuazione delle direttive del Concilio di Trento. Istituì
il Seminario, obbligò i titolari dei
benefici alla residenza e limitò, di conseguenza, la possibilità
di godere diverse prebende da parte di una sola persona, garantendo così
l'osservanza degli obblighi assunti. Nel castello di Montesicuro, sembra su
disegno di Pellegrino Pellegrini detto il Tibaldi, fece erigere un palazzo come
sede estiva dei vescovi. Con questo Vescovo entra effettivamente la riforma
decisa dal Concilio di Trento, anche nella diocesi di Ancona. Morì nel
1585, dopo sedici anni di episcopato. Il governo pastorale passò in mano
del Vescovo Carlo Conti, dei duchi di Poli, della nobiltà di Roma, il
secondo con questo nome. Sarà poi elevato alla porpora e
con lui si apre la serie di Cardinali vescovi che si concluderà con il
Cardinale Manara. Del Vescovo Carlo Conti rimangono i testi delle cinque Visite
Pastorali e del primo Sinodo diocesano. Durante il suo governo fu eretto ex
novo il Monastero di S. Palazia, mentre quello per le Penitenti si aprì
nel complesso già dei Benedettini di Portonovo, una volta S. Martino,
lungo l'attuale via Podesti, che assunse il nuovo titolo di S. Maria Maddalena.
Benedisse l'inizio del Pupillato di S. Lorenzo, organizzato dalla Confraternita
del S. Rosario, che sarà affidato alle Clarisse, sostituite poi dalle
Maestre Pie Venerini. Accolse i Gesuiti che costruirono, con l'aiuto dei Nappi
e dei Polidori, la Chiesa ed il Collegio. Rinnovò la Chiesa di S. Maria
in Turriano, ricostruendola con il titolo di S. Primiano le tolse però
la sede parrocchiale, trasferendola nella Chiesa di S. Maria della Misericordia.
Dal 1585, anno della sua nomina, sino al 1614, l'attività di questo Vescovo
continuò quella del suo predecessore, consolidando le basi del rinnovamento
della vita spirituale della diocesi.
3.16 SEC. XVII: INTENSIFICAZIONE DELLA VITA RELIGIOSA EDEMERGENZA CITTADINA
Dal 1616 al 1622 resse la Chiesa di Ancona il Cardinal Giulio Savelli; fu un
momento di pausa, dovuto alla molteplicità degli incarichi che il Vescovo
assolse per conto della S. Sede. Rinunciò al vescovado di Ancona e, come
successore ebbe il Cardinal Luigi Gallo che, dal 1622 al 1656, continuò
l'azione iniziata dal Vescovo Vincenzo Lucchi e proseguita dal Vescovo Conti.
Effettuò cinque Visite Pastorali e celebrò quattro Sinodi. Durante
il suo governo si aprì la Casa degli Scolopi per l'istruzione dei giovani
e si ampliò il complesso dei Gesuiti, annettendo al Collegio la Chiesa
di S. Giorgio. Accolse i Carmelitani Scalzi nel complesso già della parrocchia
del Salvatore poi di S. Pellegrino, da questi rilevato. In questo tempo inizia
la sua esistenza anche un altro convento femminile, quello delle Cappuccine,
nei locali già del Convento dei SS. Barnaba ed Ambrogio ad Nemus, poi
di S. Sebastiano. Tutta la sua azione pastorale fu volta a rendere il clero
all'altezza del suo compito, premessa per la formazione di una valida e cosciente
comunità dei fedeli.
Dopo diversi anni di intervallo, Ancona ebbe il suo Vescovo nella persona di
Giannicola Conti, dei duchi di Poli, nipote del Cardinale Carlo Conti che aveva
già retto la diocesi di Ancona. Il suo episcopato si prolungò
per circa trentatré anni, dal 1664 al 1698, consolidando le direttive
e le iniziative del Cardinale Gallo, dimostrandosi non inferiore, nelle capacità
organizzative e disciplinari, allo zio. Celebrò nuovamente il Sinodo;
pur confermando le norme già stabilite dal suo predecessore, precisò
e perfezionò le norme stesse, dimostrando la profonda preparazione giuridico
amministrativa. Curò lo sviluppo del Seminario, trasferendolo in locali
più adatti e dotandolo della sua personale biblioteca; ebbe modo di interessarsi
della Cattedrale, sia per le riparazioni dei danni causati da calamità
naturale che per ornarla con preziosi arredi. La prova maggiore fu il forte
sisma del 1690 che causò rovine di notevole entità e prostrò
ancor più la città già in fase di decadenza per la ridotta
attività del porto e dei commerci. Ottenne, per sovvenire alle prime
necessità, la sospensione delle contribuzioni per un triennio, gli utili
per la vendita di 2000 rubbia di grano e un sovrapprezzo sul sale.
3.17 SEC. XVIII:IL VESCOVO SANTO MARCELLO D’ASTE
Con la morte del Vescovo Giannicola Conti si chiuse anche il secolo e non
certo con l’avvenire molto roseo. Tuttavia il secolo XVIII si iniziò
sotto il governo del Cardinal Marcello d’Aste che dimostrò effettiva
l’opinione che Papa Innocenzo XII aveva espresso al momento della sua
promozione alla sede di Ancona: Domus Anconae Episcopum Sanctum. Dal 1700 al
1709 il Vescovo d'Aste profuse carità, bontà e vita esemplare,
dando per primo l'esempio di vita pastorale spesa nella ricerca del bene e nel
pieno assolvimento dei doveri del proprio stato.
Dopo aver sempre dato anche più di quello che sarebbe stato umano elargire,
lasciò alla diocesi non solo i suoi personali beni, la sua Biblioteca
legale, ma anche il suo cuore, come atto che esprimeva l'affetto verso la sua
diocesi, dalla quale moriva lontano perché il male inesorabile non era
stato vinto, neppure presso uno dei centri medici allora più importanti,
Bologna. Del Cardinal d'Aste si conserva ancora il testamento, unitamente agli
atti che documentano l'adempimento degli obblighi in esso contenuti da parte
dell'esecutore testamentario. Il suo successore iniziò il processo "sopra
la fama e l'opinione di santità del cardinal Marcello d'Aste", processo
rimasto interrotto e che attende di essere ripreso per meglio illuminare la
figura di questo Vescovo che è una delle personalità più
spiccate tra quelle che ressero la Cattedra anconitana.
Sarebbe ora troppo lungo specificare tutte le attività di questo Vescovo
come di quelli che lo seguono; sembra più conveniente limitarsi a ricordarne
il periodo di episcopato unendovi la memoria di fatti o avvenimenti di particolare
importanza.
3.18 IL FUTURO PAPA E IL RICONOSCIMENTO DEL PORTOFRANCO
Successore del Cardinale d’ Aste fu il card. Giovanni Battista Bussi che governò la Chiesa di Ancona del 1710 al 1726; egli cercò di proseguire sulla strada del suo predecessore, unendo la severità con il senso della paternità spirituale; esprimendosi nel Sinodo da lui celebrato che attesta le sue qualità di pastore, giurista, teologo, aperto alle necessità dei fedeli a lui affidati. Una personalità così spiccata, che ben seguiva quella del Cardinal d'Aste, ebbe egualmente un degno successore in Prospero Lambertini, poi Papa Benedetto XIV, che nei pochi anni in cui sedè sulla Cattedra Anconitana, 1727-1731, dimostrò le sue qualità di pastore e di organizzatore, doti assai più rimarchevoli in chi aveva iniziato la sua attività sacerdotale negli uffici della Curia romana e nella ricerca culturale nel campo del diritto e della teologia. L'interessamento del Cardinal Lambertini Furivolto anche per le necessità della vita civica. Ottenne da Papa Clemente XII il decreto che riconosceva franco il porto di Ancona e la decisione di iniziare quella serie di lavori per il potenziamento dello scalo, affidando il progetto dell'intervento al Vanvitelli. Di queste decisioni rimangono oggi il Lazzaretto, chiamato anche Mole Vanvitelliana, e la Porta o Arco Clementino, dalla quale iniziava il molo che veniva costruito ex novo per aumentare la capacità del porto. Quando i lavori iniziarono, il Cardinal Lambertini era già stato trasferito a Bologna; ma più tardi, durante il suo pontificato, decise di far riprendere i lavori, rimasti sospesi, per esprimere ancora una volta il suo interessamento per Ancona e garantire un futuro alla città. Il Lambertini è anche ricordato per i copiosi regali da Lui fatti alla Cattedrale, che ricordò sempre con affetto, chiamandola la sua prima sposa.
3.19 IL CARDINAL MASSEI E IL RISVEGLIO DELLA VITA RELIGIOSA
Al Cardinal Lambertini subentrò il Cardinal Bartolomeo Massei che, dal 1731, resse la Chiesa Anconitana sino al 1745. Durante il suo episcopato, nel 1739, predicò in Ancona S. Leonardo da Porto Maurizio, risvegliando notevolmente la vita religiosa della città, già preparata a ricevere la parola del Santo dall'azione pastorale iniziata dal Vescovo d'Aste. Quasi a coronamento di questa missione, il Cardinal Massei collocò l'immagine della Madonna, recata un secolo prima come ex-voto da un marittimo e posta nella cripta dei Santi Protettori, nel corpo dell'ambone per la solenne ostensione delle reliquie, che aveva fatto eseguire dal Vanvitelli; riconoscendole il titolo, che ancora oggi ritiene, di Regina di tutti i Santi.
3.20 L’ANCONITANO CARDINAL MANCIFORTE E LA RICOGNIZIONE DEI SANTI PROTETTORI
Successore del Cardinal Massei fu l’anconitano Nicolò Mancinforte
che assunse come suo modello il suo antecessore Cardinal d'Aste, imitandolo
nella semplicità del suo tenore di vita, nell'interessamento verso i
meno abbienti e nello scrupolo nel l'adempiere i suoi doveri pastorali. Chiamò
nuovamente per una missione S. Leonardo da Porto Maurizio al fine di consolidare
i frutti ottenuti con la precedente predicazione.
Ebbe la gioia di poter eseguire la ricognizione dei resti dei Santi Protettori
che da circa sei secoli erano rimasti rinserrati entro ferree cancellate, nei
sarcofagi dove erano stati deposti attorno all'anno Mille. Papa Benedetto XIV,
per tale occasione, invierà gli indumenti pontificali che ancora rivestono
la salma di S. Ciriaco ed una Croce pettorale di zaffiri per i resti di S. Marcellino,
come atto di devozione verso i suoi antichi antecessori sulla Cattedra Anconitana.
Dopo la morte del Vescovo Mancinforte fu aperto, come per il Cardinal d'Aste,
il processo sopra la fama e concetto di santità e, similmente al primo,
fu interrotto ed è ancora in attesa che venga ripreso e concluso.
3.21 IL SINODO DEL CARDINAL BUFALINI
Segui al Vescovo Cardinal Mancinforte il Cardinal Filippo Acciaiuoli. Purtroppo i travagli subiti nell'adempimento della sua missione di Nunzio in Portogallo lo avevano reso poco adatto ai nuovi compiti, per cui, nei tre anni, dal 1763 al 1766, che resse la diocesi non adottò o promosse particolari iniziative. Dovette abbandonare anche la residenza vescovile annessa alla Cattedrale, resa insicura dalle frane; risiedè pertanto nel palazzo che la sua Famiglia aveva in Ancona, già dei Torriglioni, residenza che sarà usata anche dai suoi successori, a cominciare dal Cardinale Giovanni Ottavio Bufalini, che dal 1766 governò la diocesi sino al 1782. La molteplice attività di questi si esplicò non solo nel campo religioso ma anche in quello della vita civica e fu il frutto delle passate esperienze in diversi campi dell' amministrazione pontificia, quali quello di Governatore di Benevento, di Presidente della Zecca, di Provveditore dell'Ospedale di S. Spirito in Sassia e di Nunzio Apostolico in Svizzera. Ebbe notevole risonanza il sinodo da lui celebrato, che servì come modello in altre diocesi italiane, preceduto da una ricognizione precisa dello stato non solo morale ma anche amministrativo delle Parrocchie e degli altri Enti ecclesiastici. La documentazione è in gran parte ancora conservata e consente di avere precise notizie sullo stato della diocesi in quel tempo. Al Bufalini si deve il Palazzo eretto a Numana per residenza estiva dei Vescovi, oggi in proprietà e sede di quel Comune. L'esperienza amministrativa accumulata negli anni precedenti al suo episcopato, gli consentì di risanare situazioni finanziarie precarie e potenziare quelle in buono stato.
3.22 IL TEMPO DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE ; IL MIRACOLO DEGLI OCCHI E L’OCCUPAZIONE NAPOLEONICA
Dopo la multiforme attività del Vescovo Bufalini, sedé sulla
Cattedra il Vescovo Vincenzo Gaspare Ranuzzi. Le sue ottime qualità non
ebbero però la possibilità di essere trasferite nell'azione pastorale.
Nel momento in cui era necessario un vescovo di forte personalità e di
chiare visioni di governo, è il tempo della rivoluzione francese e delle
sue conseguenze, la diocesi si trovò anche a regredire, vanificando anche
l'opera risanatrice attuata dal predecessore Bufalini. Durante il suo episcopato
fu riconosciuta l'antichità del culto prestato al Vescovo Beato
Antonio Fatati ed avvenne il miracolo dell’ apertura degli occhi dell’
immagine della Regina di tutti i Santi, venerata nella cattedrale . Vicino a
queste gioie spirituali ebbe il dolore di vedere Ancona occupata da Napoleone
e la soppressione di chiese e conventi con la dispersione, non solo di beni
materiali ma anche del patrimonio storico ed archivistico degli Enti soppressi.
Il Cardinale Ranuzzi morì nel 1800, cinque anni dopo la sua nomina a
Vescovo di Ancona.
3.23 SEC. XIX: DALL’ AMMINISTRATORE APOSTOLICO AL RITORNO DELLA TITOLARITA’: IL NUOVO IMPULSO MISSIONARIO CON S. GASPARE
Le difficili condizioni in cui si trovava l’Italia non consentirono la
nomina del successore; la S. Sede affidò la diocesi ad un Amministratore
Apostolico, con facoltà ordinarie, che governò la diocesi dal
1800 al 1807, anno della sua morte. Mons. Passeri si adoperò sia per
non disperdere quanto avevano realizzato i Vescovi che erano stati sulla Cattedra
Anconitana, sia a ricucire, appena era possibile, le lacerazioni che le occupazioni
militari causavano nel tessuto ecclesiale. La morte del Passeri non fu subito
seguita dalla nomina di un Vescovo e la diocesi rimase affidata al Vicario Capitolare,
canonico Luigi Bravi, che seppe continuare, con la sua abilità, energia,
equilibrio e coraggio, la linea di condotta iniziata dall'Amministratore Apostolico.
Il governo del Vicario Capitolare durò sino al 1815.
Toccò al Cardinale Nicolò IV Riganti la difficile opera di risollevare
la diocesi dallo squallore in cui le circostanze l'avevano ridotta, nonostante
la saggia conduzione dell'Amministratore Apostolico e del Vicario Capitolare.
Assunse il suo compito nell’agosto del 1816 con vero spirito di servizio,
dedicandosi alla ricostruzione morale e materiale della città, attraverso
una grande missione diretta e predicata da S. Gaspare del Bufalo, con la collaborazione
di altri sacerdoti. Le circostanze divennero ancora più difficili per
l'apparizione dell'epidemia di tifo che durò sino a tutto il 1817. La
notevole mole di lavoro di riorganizzazione della diocesi pesò notevolmente
sulla salute del vescovo che, già avanzato in età, non si era
risparmiato: morì a Roma, dove si era recato per curarsi nel 1822.
3.24 L’ACQUISTO DELL’ATTUALE RESIDENZA VESCOVILE
Dopo la morte del Cardinal Riganti, la diocesi, dal 1823 al 1824, fu affidata al Cardinal Falzacappa. Si interessò per sanare pendenze amministrative e per ottenere una residenza per i vescovi, attesa l’inabilità dell'antico episcopio. Dalla sede di palazzo Acciaiuoli, dove erano soltanto ospiti, i vescovi avevano avuto, dietro l’acquisto da parte della Camera Apostolica, il palazzo Simonetti, ancora oggi esistente, di fianco alla Chiesa di S. Biagio; ritenendolo però troppo lontano dalla Cattedrale, il Cardinal Falzacappa lo fece sostituire con un altro, appartenente alla Famiglia Ferretti, ramo detto del Pozzolungo, che è l’attuale residenza dei Vescovi di Ancona.
3.25 L’EPIDEMIA DI COLERA E L’INDIZIONE DEL SINODO
Leone XII, nel 1824 promosse alla Cattedra anconitana Cesare Nembrini Gonzaga,
di famiglia anconitana oriunda da Bergamo; la concessione, da parte del Comune
di Ancona, del lascito Pironi, gli fece assumere anche questo cognome per cui
è conosciuto come Cesare Nembrini Pironi Gonzaga. Riprese le direttive
già impresse dal cardinal Riganti, sviluppandole. Per seguire la vita
della diocesi, rinunciò alla carica di Tesoriere Generale. Preoccupandosi
delle necessità spirituali e cercando anche di sovvenire a quelle economiche,
promosse una Commissione cittadina che presentasse al Papa la richiesta del
ripristino della franchigia del porto. Durante il suo periodo di governo ebbe
a sopportare i duri momenti di guerra ed occupazione, ai quali si aggiunse anche
il colera nella seconda metà del 1836. L'anno successivo, provato dalle
fatiche e dagli eventi, chiudeva la sua vita.
Un altro anconitano, Antonio Maria Cadolini, successe al cardinal Nembrini;
fu eletto nel 1838 e governò la diocesi sino al 1851. Il suo episcopato
coincide con momenti storici particolari, essendo alla vigilia dell'unità
d'Italia. Il vescovo Cadolini rimase ai margini della vita politica, impegnandosi
nell'attività pastorale; così indì il Sinodo, che non si
celebrava più da oltre sessanta anni, e si interessò per l'assistenza
ai minori, soprattutto dei numerosi orfani, questi dovuti alla passata epidemia
di colera.
Nei momenti di maggior pericolo, non temette di intervenire presso comandi militari
per cercare di risparmiare danni e disagi alla popolazione ed incoraggiò
il clero a prodigarsi per i feriti sul campo di battaglia e per quelli ricoverati
negli ospedali.
3.26 ANNESSIONE ED EMANAZIONE DELLE LEGGI DI SOPPRESSIONE.
Al Vescovo cardinale Antonio Benedetto Antonucci, che ricevette l’incarico di reggere la diocesi dopo il Cadolini, toccò di vivere i momenti più difficili dell’annessione, della emanazione delle leggi di soppressione, preceduti e seguiti nuovamente dall'epidemia di colera nel 1855 e nel 1865. Nella sua attività si segnalò per la rettitudine, mitezza e prudenza, piegandosi senza cedere, difendendosi senza assalire, fermo senza usare violenza, come lo ricorda il discorso funebre pronunciato dal canonico Marinelli nel 1879, dopo quasi trent'anni di episcopato, ai suoi funerali.
3.27 SEC. XX: TUTTI I VESCOVI SINO AI GIORNI NOSTRI : LA FUSIONE TRA LE DIOCESI DI ANCONA E OSIMO SOTTO MONS. MACCARI
Nel nostro secolo reggono la diocesi: il cardinal Achille Manara, dal 1879
al 1906, ultimo insignito del cardinalato e primo degli arcivescovi; Giovanni
Battista II Ricci, dal 1907 al 1929; Mario Giardini, dal 1931 al 1940; Marco
Giovanni della Pietra, dal 1940 al 1945; Egidio Bignamini , dal 1945 al 1966;
Felicissimo Stefano Tinivella, nel 1967. Dal 1968 è vescovo di Ancona
Mons. Carlo III Maccari, che nel 1989 rassegnerà le sue dimissioni per
limiti di età. Durante il suo episcopato, la diocesi di Osimo sarà
unita a quella di Ancona con la formazione di quella di Ancona Osimo.
Seguirà, a Mons. Maccari, il Vescovo Dionigi Tettamanzi, che reggerà
la diocesi per un tempo brevissimo, essendo stato incaricato ad assolvere prima
il compito di Segretario della Conferenza Episcopale Italiana, poi quello di
vescovo cardinale di Genova, ora di Milano.
A lui succede nel 1991 il Vescovo Franco Festorazzi: Dominus conservet eum et
vivificent eum et non tradat eum in anima inimicorum ejus!
SERIE DEI VESCOVI E DEGLI ARCIVESCOVI DI ANCONA
(in base alla più probabile documentazione)
S. Primiano, martire, sec. III?
S. Ciriaco, martire, sec. IV.
Marco, 462.
Un Anonimo (Pontifex Anconitanus), 491-496.
S. Marcellino, sec. VI.
Tommaso I, 569.
Sereno, 585.
Fiorentino, 603.
Giovanni I, 629.
Villiteo, 743.
Natale, sec. VIII?
Tigrino, 826.
Leopardo, 861.
Paolo, 878.
Bnolergio, 887.
Erfermario, 967.
Trasone, 983.
Stefano (Episcopus Anconensis), 1030.
Grimaldo o Grimoaldo, 1051.
Gerardo I, 1067-1071.
Trasberto, 1090.
Marcellino II, 1101.
Bernardo I, 1127.
Un Anonimo, 1146.
Lamberto, 1158.
Gentile, 1179.
Rodolfo, 1180.
Beroaldo, 1186.
Gerardo II, 1204-1228.
Tommaso II, 1235.
Persevallo, 1239.
Giovanni III Bono, 1243- 1284.
Pietro I Cappocci, 1285.
Pietro II Romanelli, 1286-1288.
Bernardo II Dal Poggio, 1288-1295.
Pandolfo, Vescovo di Patti, amministratore ap., 1296.
Nicola degli Ungari, 1299-1325.
Tommaso III di Moures, 1526-1530.
Francesco, 1332-1340.
Nicolò II Frangipane, 1342-1344.
Agostino Dal Poggio, 1344-1348.
Ugone,1348?
Lanfranco Selvetti , 1348.
Giovanni IV Tedeschi, 1349-1381.
Bartolomeo Ulario, 1381-1385.
Guglielmo della Vigna, 1385-1405.
Carlo I degli Atti, 1405.
Lorenzo Ricci, 1406-1409.
Simone Vigilanti, 1409-1418.
Astorgio degli Agnesi, 1418-1436.
B. Antonio Fatati, 1463-1484.
Benincasa dei Benincasa, 1484-1502.
Giovanni VII Sacco, 1502-1505.
Pietro III degli Accolti, cardinale, 1505-1514.
Francesco II degli Accolti, cardinale, 1514-1523.
Baldovinetto dei Baldovinetti, 1524-1538.
Alessandro card. Farnese, amministratore ap., 1538.
Gerolamo Granderoni, 1538-1550.
Giammatteo de Lucchi, 1550-1555.
Vincenzo de Lucchi, 1556-1585.
Alessandro card. Farnese, amministratore ap., 1585.
Carlo II Conti (cardinale), 1585-1614.
Giulio Savelli (cardinale), 1616-1622.
Luigi Gallo, 1622-1657.
Giovanni VIII Conti (cardinale), 1664-1698.
Marcello d’Aste (cardinale) , 1700-1709.
Giambattista Bussi (cardinale) , 1710-1726.
Prospero Lambertini (cardinale), 1727-1731, poi eletto Papa col nome di Benedetto
XIV.
Bartolomeo Il Massei (cardinale), 1731-1745.
Nicolò III Mancinforte, 1746-1762.
Filippo Acciaiuoli (cardinale), 1763-1766.
Gian Ottavio Bufalini (cardinale), 1766-1782.
Vincenzo Gaspare Ranuzzi (cardinale), 1785-1800.
Nicolò IV Riganti (cardinale) , 1816-1822.
Giovanni Francesco Falsacappa (cardinale), 1823-1824.
Cesare Nembrini-Gonzaga (cardinale), 1824-1837.
Antonio Maria Cadolini (cardinale), 1838-1851.
Antonio Maria Antonucci (cardinale), 1851-1878.
Achille Manara (cardinale), 1879-1906.
Con decreto del 14 settembre 1904 la Diocesi di Ancona viene elevata al titolo di Archidiocesi, dando inizio alla serie degli Arcivescovi.
Giovan Battista Ricci, 1906-1929.
Carlo Castelli, Arcivescovo di Fermo, Amm. Ap., 1929-1931.
Mario Giardini, 1931,-1940.
Marco Giovanni Della Pietra, 1940-1945.
Carlo Falcinelli, Vescovo di Jesi, Amm. Ap., 1945.
Egidio Bignamini, 1945-1966.
Stefano Felicissimo Tinivella, 1967-1968.
Carlo III Maccari, 1968-1989.
Dionigi Tettamanzi, 1989-1991 (nominato Segretario C.E.I.).
Franco Festorazzi, 1991 (vivente).
CAPITOLO IV: I SANTI VENERATI NELLA CHIESA ANCONETANA
I Santi venerati dalla Chiesa Anconitana, cioè quelli che con lei hanno avuto dirette relazioni sono diversi. Meno sono quelli che possono dirsi anconitani.
4.1 IL TEMPO DELLE PERSECUZIONI : I MARTIRI IGNOTI
Come già accennato, il periodo delle persecuzioni non dovette far scorrere molto sangue, presumibilmente per la presenza del porto. Il movimento portava in Ancona molta gente, sia in arrivo che in partenza, e non doveva essere una buona immagine offrire il ricordo di esecuzioni capitali. I decreti dovettero quindi essere applicati blandamente e forse si adottò una forma di discriminazione, allontanando dalla pubblica amministrazione coloro che si dichiaravano cristiani. Questa prassi fu usata anche in tempi posteriori tanto che in qualche Autore costoro vengono chiamati martiri ignoti, per le difficoltà che dovettero sopportare una volta dimessi dai loro incarichi e senza possibilità di aver facilmente modo di trovare mezzi di sussistenza per se e per le loro famiglie.
4.2 S. PRIMIANO
Come uno dei primi martiri è riconosciuto S.Primiano. Quello che si
conosce di Lui, come già ricordato, è contenuto nell'iscrizione
incisa sulla lapide che copriva il suo sepolcro, trovato nel 1376: "qui
riposa il
corpo del Beato Primiano Vescovo e Martire che fu greco" (di origine).Altre
notizie appartengono al pio desiderio di celebrare il Santo; ne può identificarsi
questo con il S.Primiano venerato a Spoleto, perché a Spoleto è
conservata la reliquia del capo del Santo mentre in Ancona il corpo, secondo
la relazione redatta all'epoca del ritrovamento, era integro. Oggi non si può
neppure più farsi una ricognizione dei resti del Santo, in quanto scomparsi
con la rovina della chiesa dove erano conservati, nei bombardamenti del 1943-1944.
E' indicato come uno dei primi Vescovi di cui si conosce il nome (1).
4.3 S. CIRIACO
Il vescovo che segue S.Primiano, almeno come nome conosciuto, è S. Ciriaco.
La recentissima rilettura degli Atti e la ricognizione canonica del suo corpo
ha confermato la tradizione costante. Egli era un Ebreo, nato a Gerusalemme;
aiutò S. Elena, la madre di Costantino, a ritrovare la Croce di Gesù.
Convertitosi, ebbe la dignità di vescovo e come sede, Ancona, eletto
probabilmente a tale incarico per la sua partecipazione al ritrovamento, trovandosi
in Ancona al tempo della vacanza della Cattedra di questa città. Morì
a Gerusalemme, dove si era recato in pellegrinaggio, al tempo dell'imperatore
Giuliano l'Apostata, il 4 maggio 363. La sua salma venne trasferita in Ancona
a cura e per iniziativa di Galla Placidia, circa settant'anni dopo.
Con S. Ciriaco furono martirizzati la madre, Anna, e un incantatore di serpenti,
Ammonio od Ammone (2).
4.4 S. MARCELLINO E S. COSTANZO
Sono quindi collocati nel sec. V, sulla scorta di notizie fornite da S.Gregorio Magno - che di loro parla nei suoi Dialoghi - il vescovo S. Marcellino ed il mansionario o sacrestano della chiesa di S. Stefano, S.Costanzo. Il Papa ricorda che il primo spense un incendio che stava devastando la città, facendosi portare incontro alle fiamme recando il libro degli Evangeli, ed il secondo, lo illustra come avente il dono dei miracoli, tanto da accendere le lampade della chiesa ,ancorché piene di acqua invece di olio(3).
4.5 S. LIBERIO
Un altro Santo, che dovrebbe essere quasi contemporaneo ai SS. Marcellino e Costanzo, di origini non anconitano ma vissuto e morto in Ancona, è S.Liberio. Secondo la tradizione, era eremita nella chiesa suburbana di S. Silvestro ed appartenne all'Ordine dei Crociferi, come è illustrato sugli antichi plutei che recingevano l'altare della Cattedrale di S. Stefano, trasferiti poi a S. Lorenzo, od eseguiti dopo la traslazione della Cattedra da S. Stefano a S. Lorenzo. Alla sua morte, fu sepolto nella chiesa di S. Silvestro che, in suo onore mutò il titolo in S. Liberio. Crollata la chiesa o per fatti naturali o per causa di uno degli assedi che ricorrono nella vita della città, più sicuramente per gli eventi naturali, si perde la memoria della presenza del sepolcro che fu ritrovato soltanto verso la fine del sec. X. I venerati resti, recuperati, furono raccolti in un sarcofago - quello detto di Gorgonio - e trasportati nella chiesa di S. Lorenzo che la proprietaria, Maximilla, donò al Santo e, per Lui, alla Chiesa Anconitana.
4.6 LA TRASLAZIONE DELLE RELIQUIE E LE RELIQUIE TRAFUGATE
Poco dopo la traslazione delle reliquie di S. Liberio , furono traslati a S. Lorenzo prima il corpo di S. Ciriaco - facendo assumere alla basilica la dignità di Cattedrale – quindi , dopo il furto delle reliquie di S. Costanzo da parte dei Veneziani, le spoglie di S. Marcellino e quelle di altri Santi rimasti ignoti (4).
4.7 LA CATTEDRA DA S. STEFANO A S. LORENZO
Di queste traslazioni è possibile indicare delle epoche. Il ritrovamento
delle reliquie di S. Liberio avvenne al tempo del vescovo Trasone che, nel 983,
sottoscrive un diploma per l'Abbazia di S.Fiora di Arezzo e nel 996 partecipa
al placito imperiale a Ravenna: è quindi questo vescovo che effettua
il trasporto dei Resti e prende in consegna la chiesa di S. Lorenzo a nome di
S. Liberio. Presumibilmente è anche lui che trasporta la Cattedrale da
S. Stefano a S. Lorenzo in quanto, nella cassa di S. Ciriaco sono trovate, durante
la ricognizione del 1756,
tra le monete che attestano le diverse aperture del sarcofago, due del tempo
di Ottone III (1002) che sono anche le più antiche ivi presenti.
4.8 IL GRAFFITO SCOMPARSO
La traslazione dei resti di S. Marcellino e degli altri Santi era denunciata da un graffito, inciso sulla calce che sigillava la lastra che copriva gli scomparti interni del sarcofago, graffito distrutto per aprire gli stessi: ricordava il fatto, avvenuto nel 1017, al tempo dell'Imperatore Enrico II. In tale occasione dovette aprirsi anche il sarcofago di S. Ciriaco e di questo fa testimonianza la moneta di tale Imperatore. In quel tempo, il Vescovo di Ancona era forse Stefano I, successore di Trasone, che nel 1030 sottoscrive una bolla di papa Giovanni XIX.
4.9 I SANTI DIETRO LE SBARRE: SANTI PELLEGRINO E FLAVIANO
La definitiva sistemazione dei sarcofagi con le reliquie dei Santi, la loro
protezione entro delle inferriate che non potevano essere attraversate - essendo
infisse le aste di ferro nella volta e nel pavimento e non essendoci un cancello,
inferriate che rimasero sino al 1756, avvenne al tempo degli imperatori Enrico
IV o Enrico V. Le monete ritrovate si possono riferire, per quanto oggi si conosce,
ad ambedue gli imperatori, coprendo un periodo che va dal 1056 al 1125. Il motivo
di questo intervento è conseguente al furto, avvenuto nella chiesa di
S. Stefano, delle reliquie di S. Costanzo, reliquie che sono ancor oggi a Venezia,
nella chiesa di S.Trovaso (5).
Dei Santi Pellegrino e Flaviano o Fabiano, si é già parlato e
sembra inutile ripetere quanto già scritto.
4.10 S. PALAZIA
Tra i Santi venerati vi sono anche quelli non anconitani e tra questi S. Palazia. Il giorno a Lei dedicato, 7 ottobre, è il medesimo in cui la si ricorda nel Menologio della Chiesa Orientale, per cui è da identificarsi con la S. Pelagia ivi indicata. Del resto il nome Pelagia, scritto con lettera "g" dell'alfabeto greco si presta a far identificare la lettera "g” greca con la "t" latina, soprattutto se maiuscole. La trasformazione di "Pelagia" in "Palatia" non era quindi difficile. Inoltre, essendo nel martirologio greco ricordate due S. Pelagie, vissute in tempi diversi, perduta la memoria di tale realtà, si ricordarono in quel giorno due Sante legate tra loro, Lorenza e Palazia, dicendo la prima nutrice della seconda ma non è escluso che di quattro Sante se ne fecero due soltanto, assemblando le loro memorie. Gli Atti sono chiaramente stati compilati molto tardi, nel sec. XIII, e ripetono schemi piuttosto comuni; non possono quindi offrire particolari suggerimenti per una loro lettura critica.
4.11 S. DASIO SOLDATO ROMANO
Un caso particolare è quello di S.Dasio.
S.Dasio è un martire di cui si hanno gli atti originari del martirio.
Morì a Dorostolo, nella Mesia, il 20 novembre 303. Era un soldato romano
e faceva parte delle legioni che presidiavano colà il confine dell'Impero.
Come e per qual motivo le sue reliquie siano arrivate in Ancona non si conosce.
É certo che, prima di arrivare da noi, erano a Costantinopoli e probabilmente
nella chiesa dedicata ai Dodici Apostoli, dove si conservavano le
reliquie dei Santi. Vi erano state trasportate quando la Chiesa di Dorostolo,
per sfuggire all'invasione degli Avari, raccolte le proprie memorie, si trasferì
a Costantinopoli per essere al sicuro. In Ancona le troviamo già presenti
nel 1224, in un sarcofago che ancora esiste - anche questo nascosto dietro una
lastra di marmo, insieme a quello dei SS. Pellegrino e Flaviano. Si deve quindi
pensare che i resti dei tre martiri, Pellegrino, Flaviano e Dasio, siano stati
riuniti per procedere alla dedicazione della chiesa del sec. VII e VIII. La
deposizione per un periodo di tempo a Costantinopoli è resa certa dalle
caratteristiche del coperchio del sarcofago e dall'iscrizione ivi incisa, che
ha le connotazioni del tempo dell'Imperatore Giustiniano. La cassa, al contrario,
è più antica e di origine non cristiana, tanto che le croci ivi
presenti sono incise e non a rilievo, come lo sono sul coperchio. L'iscrizione
conferma anche lo spostamento avvenuto, in quanto recita: qui giace il martire
Dasio translato da Dorostolo, iscrizione eseguita in lettere greche.
E' frutto di uno dei tanti pii furti abbastanza comuni in quei tempi? Oppure
un dono che suggellava un patto e di cui veniva fatto garante il Santo?
Oltre alla testimonianza del suo martirio, gli Atti di S. Dasio offrono conferma
della celebrazione dei Saturnali, feste in onore di Saturno, celebrate soprattutto
nell'ambiente militare. Ed è proprio per non aver accettato di essere
protagonista di questa festa, che Dasio subisce il martirio.
Le celebrazioni dei Saturnali duravano circa un mese. Si eleggeva per sorteggio
il Re dei Saturnali verso la metà di novembre; l'eletto aveva il diritto
ad ogni libertà ed in qualsiasi campo; però, al termine del mese,
doveva essere sacrificato a Saturno. Non vi era altra scelta ed a Dasio, cristiano,
la conclusione non poteva certo essere gradita. Il rifiuto di accettare la designazione
ed il motivo - l'incompatibilità con la sua religione - segnò
la condanna. Davanti ai reparti schierati, il commilitone Giovanni attese Dasio
che, dopo essersi segnata la fronte con la croce, avanzò verso di lui
e, con un colpo di spada, lo decapitò. Non sappiamo chi prese il posto
di Dasio o se le celebrazioni, avuto un tale esordio, non ebbero il loro seguito.
Comunque l'esempio dovette aver avuto un forte impatto, atteso che la Chiesa
di Dorostolo non solo ne curò la sepoltura - i Romani non negavano mai
i corpi dei condannati a morte a chi si interessava per le onoranze funebri,
ritenendo che la morte scioglieva qualsiasi legame e soggezione alle leggi -
ma, nel momento difficile della sua storia, ne recò seco le reliquie,
dimostrandogli grande comunione nella fede. E mi è noto che anche oggi
i Romeni hanno il Santo in grande venerazione ed auspicherebbero un gemellaggio
tra la Chiesa di Ancona con quella erede dell'antica Dorostolo (6).
4.12 S. GAUDENZIO DA OSSARO, VESCOVO
San Gaudenzio era vescovo di Ossaro, città dell'Illiria, nel sec. XI.
La sua fermezza nel difendere la santità del sacramento del matrimonio
lo obbligò ad allontanarsi dalla sede vescovile, riparando prima a Roma,
presso il papa Benedetto IX, quindi in Ancona, dove chiese asilo alla Comunità
monastica di Portonovo e dove rivestì l'abito monastico, ricevendolo
dalle mani di San Pier Damiani. La permanenza presso il Monastero di S. Maria
di Portonovo perfezionò la sua vita e già la sua alta spiritualità
veniva attestata dal dono dei miracoli, secondo quanto le tradizioni tramandano.
Concluse la sua esistenza nella stessa Abbazia, il 31 maggio dell'anno 1044
ed ivi fu sepolto, continuando la sua azione taumaturgica dopo la sua morte.
Gli Ossaresi non vollero però che il loro Vescovo rimanesse lontano da
loro e ne richiesero il corpo; avutone un rifiuto, non ebbero timore di rapirlo
riportandolo nella loro città dove è ancora deposto.
4.13 S. BENVENUTO SCOTIVOLI E LA RESTAURAZIONE DELLA DIOCESI OSIMANA
San Benvenuto nacque in Ancona dalla nobile Famiglia degli Scotivoli tra la
fine del sec. XII egli inizi del sec. XIII.Compì i suoi studi a Bologna,
presso quell'Università, dove conobbe l'osimano Silvestro Gozzolini.
Rientrato in patria, entrò nel clero diocesano e fu eletto canonico ed
arcidiacono della Cattedrale. L'amicizia con il Gozzolini e la cultura ricevuta
dovettero fruttificare bene nella formazione del giovane sacerdote, formandone
una persona prudente e saggia, consapevole dei propri obblighi verso il popolo
cristiano. Ciò dovette tradursi in una vita esemplare che si imponeva
per la coerenza e l’equilibrio.
Tali qualità furono messe alla prova da papa Urbano VI che affidò
allo Scotivoli un compito delicatissimo. La città di Osimo, nel 1240,
era stata privata da papa Gregorio IX della diocesi e del grado di città
per la sedizione provocata dalla fazione ghibellina; nel 1263, papa Urbano,
desideroso di ristabilire l’antico ordinamento incaricò il canonico
anconitano a restaurare la diocesi osimana, nominandolo Amministratore Apostolico.
La saggia amministrazione accompagnata dal fermo ma paterno governo riuscì
a ricomporre i dissidi, sicché nel 1264 la Cattedrale poteva essere restituita
alla città, reintegrata nei suoi antichi diritti; il vescovo che la resse
fu lo stesso Benvenuto.
Anche se i contrasti maggiori erano stati superati, la situazione non era del
tutto tranquilla per gli inevitabili strascichi. Tuttavia il vescovo continuò
serenamente la sua opera pastorale anche se le prove, anche molto dolorose,
non mancarono.
All’azione pastorale osimana si aggiunse, tra il 1267 e il 1268, anche
l’incarico di Rettore della Marca.
La documentazione dell'opera pastorale ed amministrativa di San Benvenuto è
contenuta nel cosiddetto Protocollo di San Benvenuto, cioè nella raccolta
degli atti del governo della diocesi che vanno dal 24 settembre 1263 al 15 febbraio
1282, un mese circa prima della sua morte, avvenuta il 22 marzo di quell'anno.
La richiesta di canonizzazione di San Benvenuto dovette avvenire subito dopo
la sua morte se gli Statuti di Osimo, redatti nel 1308, lo pongono già
tra i Santi protettori della città.
4.14 BEATO GABRIELE FERRETTI
Il beato Gabriele nacque attorno al 1385 dal conte Liverotto Ferretti ed Alvisia
Sacchetti. La presenza dei Francescani in Ancona - che aveva avuto origine dalla
venuta del Santo Patriarca nella città, quando vi si era recato per imbarcarsi
per l'Egitto - era viva per i due conventi presenti: quello detto "ad Alto",
sul colle Astagno, e quello che poi sarà detto "delle Scale",
ambedue dedicati alla Madonna e che saranno poi intitolati a San Francesco.
Sicuramente prossimo alla residenza dei
Ferretti era quello dedicato all'Assunta, consacrato dal vescovo Nicola degli
Ungari nel 1323, ed in questo il beato Gabriele dovette sentire e maturare la
sua vocazione.
La vita del Beato non si discosta da quella di tutti gli altri frati, fatta
di povertà ed obbedienza; ma la spiritualità che l'animava era
tale che gli fu concesso il dono dei miracoli: nel processo compilato da San
Giacomo della Marca, su incarico di papa Callisto III, si leggeva che nella
sua vita operò almeno sessantatré miraco1i, tracciando un semplice
segno di croce. Del convento di Ancona, nel 1425, fu Guardiano; era il convento
detto "ad Alto", ossia quello che era in loco antiquo Anconae. Doveva
essere ancora nelle condizioni in cui era rimasto dopo che S. Francesco, ritornato
dall'Egitto, lo aveva fatto
restringere perché gli sembrava troppo comodo per i suoi frati; così
Egli lo nomina, scrivendo nel 1455 una lettera al Governatore della Marca Anconitana,
che era allora colui che sarà poi il Beato Antonio Fatati, per chiedergli
la carità di una tonaca per difendersi dal freddo.
Quando fu eletto Guardiano comprese che era necessario ampliarlo per, l'accresciuto
numero dei frati, ed intraprese le opere anche se il momento non pareva propizio,
stante la peste che affliggeva Ancona. Eppure riuscì a portare ben avanti
i lavori, le cui rifiniture saranno poi completate da un suo nipote, e nello
stesso tempo assolvere la sua azione di assistenza agli appestati, ai quali
si dedicò con piena disponibilità, accompagnando il Signore la
sua attività con miracoli.
La fama di Gabriele è conosciuta anche nella provincia Francescana che
lo vuole Vicario; a tale incarico è eletto nel 1434. Percorre allora
le strade delle Marche fondando nuovi conventi e suscitando nuove vocazioni.
Ritorna in Ancona attorno al 1449 e viene nuovamente eletto Guardiano; tale
rimarrà sino alla morte, avvenuta il 12 novembre 1456.
I miracoli che avvengono sulla sua tomba, una fossa presso l'ingresso della
chiesa, spingono i1 Vescovo a chiedere al papa l'apertura di un processo e della
redazione il papa, Callisto III, incarica San Giacomo della Marca. Sembra che
gli atti originali, ritenuti perduti, siano oggi stati ritrovati; rimangono
comunque citazioni di coloro che li hanno visti e letti.
Il processo canonico si riaprì in Ancona nel 1752 al tempo del vescovo
Mancinforte.
Il processo diocesano, che riconobbe l'antichità del culto prestato al
Beato Gabriele, fu confermato da papa Benedetto XIV nel 1753 ed esteso alla
diocesi di Ancona ed a tutto l'Ordine dei Frati Minori.
Attualmente il corpo, incorrotto, del Beato Gabriele Ferretti riposa nella chiesa
di S. Giovanni Battista di Capodimonte, non lontano da quella
in cui visse e fu sepolto. Ha provocato questa situazione la soppressione ,del
1862; fu allora rimosso il sarcofago ove erano le spoglie e traslato in Cattedrale;
qui si ebbe una prima sistemazione, collocando la salma nella cripta dei Santi
Protettori e il sarcofago nel Museo. Dopo le distruzioni belliche, i Padri Francescani
di Capodimonte chiesero di riportarne il corpo nella chiesa.
4.15 BEATO ANTONIO FATATI
Il Beato Antonio Fatati nacque in Ancona alla fine del sec. XIV o agli inizi
del XV, da Simone Fatati; orientato sin dalla fanciullezza al servizio della
Chiesa, dovette muovere i suoi primi passi sulla via del sacerdozio presso la
chiesa di S. Pietro, in via Fanti - ora distrutta dagli eventi bellici del 1943-1944
- in quanto sembrerebbe che la prima residenza della Famiglia Fatati fosse stata
di fronte a quella chiesa.
Per le sue qualità morali e la sua preparazione nel campo del diritto,
il vescovo Astorgio degli Agnesi lo nominava Canonico ed Arcidiacono della Cattedrale
nel 1431; ma già nel 1440 era Vicario Generale del vescovo di Ragusa,
Jacopo Venieri. Dalla diocesi illirica, passa a quella di Siena, con lo stesso
incarico.
Il governo nelle due diocesi dovette essere stato esemplare se nel 1446 papa
Eugenio IV gli affida il Commissariato, con l'incarico di riscossione delle
decime, di Siena, Lucca e Piombino; da questa attività amministrativa
ritorna a quella più specificatamente spirituale quando Nicolò
V lo nomina Canonico e Vicario della Basilica di S. Pietro in Vaticano, suo
Cappellano maggiore, ed appartenente alla Famiglia pontificia. Nel 1449 è
Tesoriere Generale per la Marca; nel 1450 è consacrato Vescovo di Teramo.
A quest'ultimo incarico si aggiungono quelli di Governatore della Marca di Ancona
e della Massa Trabaria nel 1454. Nel gennaio del 1455, assolvendo questo incarico,
ha corrispondenza con il Beato
Gabriele Ferretti: questi chiede al Governatore la carità di una tonaca
per ripararsi dal freddo (29 gennaio 1455). Altri incarichi si aggiungono a
quello di Vescovo di Teramo: nel 1456 è consigliere di Alfonso d'Aragona;
re di Napoli; nel 1459 accompagna papa Pio II a Mantova e viene nuovamente incaricato
di raccogliere le decime a Siena. A Siena è ora come Vescovo suffraganeo
e come vicario al Vescovo, il giovane Francesco Piccolomini, nipote del papa.
Questa lunga parentesi fuori della sua città si conclude nel 1463 con
la nomina a Vescovo di Ancona; questo incarico non lo vide riposare ma ancora
attivo e al servizio della S. Sede e della città, soprattutto dei più
poveri. Vive una esemplare vita spirituale prodigandosi specialmente nei momenti
più difficili, quando la peste o le lotte tra i Comuni vicini interessano
la diocesi. Nell'agosto del 1464 raccoglieva l'ultimo respiro di papa Piccolomini,
giunto in Ancona per assistere alla partenza della crociata; e come aveva servito
prima la Santa Sede, continuò a prestare la sua azione in altri delicati
incarichi sotto i successori, papa Paolo II e papa Sisto IV.
Questa laboriosa ed attiva vita a servizio della Chiesa si concluse il 9 gennaio
1484. Fu sepolto vicino alla chiesetta di S. Anna, prossima alla Cattedrale,
eretta nel 1235 dal vescovo Tommaso, che doveva trovarsi all'incirca dove è
oggi la Cappella dei Caduti, a sinistra dell'Altare Maggiore. Il suo culto dovette
affermarsi subito se, nel 1586, erigendosi la nuova cappella del SS.mo Sacramento
che oggi è quella dei Caduti- l'esumazione fece rinvenire il suo corpo
intatto, come lo è ancora. In quell'occasione venne deposto all'altare
delle Reliquie, che allora era quello dove ora è l'altare della Madonna.
Il processo per la sua canonizzazione fu aperto nel 1652 e si concluse nel 1795.
Papa Pio VI ne estese il culto, oltre che in Ancona, a Siena ed al Capitolo
Vaticano. In tale occasione, la Famiglia Fatati curò l'erezione di una
cappella nella cripta dei Santi Protettori, dove ora riposa.
Una testimonianza del vivo legame tra il beato Fatati e la sua Cattedrale è
data da un Evangeliario che egli fece eseguire e decorare; vi si legge: Antonius
Fatatus praesul pientissimus Anconitanus velut alia bona episcopatus restauravit
hunc patriae fecit.
4.16 SACRE RELIQUIE CHE SI CONSERVANO IN CATTEDRALE ED IN ALTRE CHIESE CITTADINE
Sono presenti, nella Cattedrale ed in altre chiese cittadine, insigni reliquie.
Nella Cattedrale, oltre ai corpi dei Santi Protettori, i Santi Ciriaco, Marcellino
e Liberio ed il Beato Fatati, sono anche presenti:
i1 Capo di San Giacomo il Minore, Apostolo,
i1 piede destro di S. Anna , madre di Maria ,
un sasso che colpì il protomartire S. Stefano,
la punta della lancia che squarciò il costato di Gesù
ed il frammento di un chiodo con cui fu crocifisso.
Si aggiungono poi uno dei drappi che coprì la salma di S. Ciriaco, un
Evangeliario detto di S. Marcellino ed il Canone o Evangeliario del B. Fatati.
Nella chiesa dei Ss. Pellegrino e Teresa agli Scalzi sono conservate le reliquie
dei Ss. Pellegrino, Flaviano, Dasio e degli Innocenti, in quella di S. Giovanni
Battista a Capodimonte, il corpo del B. Gabriele Ferretti.
Fuori di Ancona, a Venezia, nella chiesa di S. Trovaso, riposano i resti di
S. Costanzo.
Ecco brevi notizie al riguardo.
Dei Santi e Beati nominati,sono integri il corpo di S. Ciriaco e quelli dei
BB. Gabrie1e ed Antonio; degli altri rimangono i resti ossei, più o meno
completi.
I resti dei Santi Liberio, Marcellino, Pellegrino, Flaviano e quelli dei Beati
Gabriele Ferretti ed Antonio Fatati, anconitani, sono sempre rimasti in città,
anche se non conservati nello stesso luogo ove furono deposti dopo la loro morte;
gli altri hanno provenienze varie.
I resti di S. Liberio, vissuto e sepolto nella basilica suburbana di S. Silvestro,
poi S. Liberio, furono traslati in quella di S. Lorenzo sul colle Guasco - poi
S. Ciriaco - verso la fine del sec. X, seguiti prima dalla salma di S. Ciriaco,
quindi, nel 1017, dai resti del vescovo Marcellino, che era stato sepolto nella
chiesa cattedrale di S. Stefano con quelli di altri vescovi e Santi. La salma
di S. Ciriaco, che era pure stata deposta in S. Stefano - eretta nel sec. V
da Galla Placidia - era pervenuta in Ancona per interessamento della stessa
Augusta, sostituendola ai resti di S. Stefano, trovati nel 415 e richiesti dalla
Città che ne
vantava l'antico culto: ebbe la sua collocazione a S. Lorenzo poco prima del
1002, destinata la basilica di S. Lorenzo a Cattedrale di Ancona, la terza in
ordine di tempo. Ora le spoglie di questi Santi sono nella cripta dei Santi
Protettori, nella Cattedrale: S. Ciriaco, nell'antico sarcofago rivestito di
decorazioni settecentesche; i Santi Marcellino e Liberio, in due settecentesche
urne marmoree, donate da papa Benedetto XIV in occasione della ricognizione
del sec. XVIII.
Nella stessa cripta di S. Ciriaco riposa il corpo del B. Antonio Fatati, morto
il 9 gennaio 1484.
Il Vescovo alla sua morte era stato sepolto presso la chiesetta di S. Anna,
madre di S. Ciriaco, eretta nel 1235 dal vescovo Tommaso; demolita nel 1586
per la costruzione della nuova Cappella del SS.mo Sacramento, rinnovandone una
già esistente, di patronato della Famiglia Ginelli, si ritrovò,
intatto come lo è ancora, il corpo del Vescovo. La salma, esumata, fu
portata all’altare delle Reliquie e si aprì il processo canonico,
processo che fu concluso solo nel 1795. La Famiglia Fatati fece allora costruire
la cappella per accoglierne il corpo, facendolo deporre in un sarcofago sopra
l'altare.
Le altre Reliquie insigni presenti in Cattedrale sono: un frammento di un chiodo
della crocifissione di Gesù e la punta della lancia che ne squarciò
il costato: sono ambedue custodite in reliquiari settecenteschi. Il frammento
del chiodo fu donato dal Patriarca Latino di Costantinopoli, Paolo Paleologo
Tagaris, nel 1380, insieme al Capo di S. Giacomo il Minore, cugino di Gesù
, al piede destro di S. Anna, la madre di Maria, ed alle ossa di un braccio
di S. Antonio Abate. La donazione è attestata da una bolla, ancora esistente,
con le sottoscrizioni del Patriarca, di un altro Paleologo, Alessio, e dei notai
che la redassero. La punta della lancia fu donata alla città nel maggio
del 1492, quando gli ambasciatori ottomani e papali transitarono per Ancona
nel loro viaggio da Costantinopoli a Roma per donarli al Papa; ne spezzarono
la punta, che lasciarono in Ancona, grati per la degna accoglienza ricevuta.
4.17 ALTRE RELIQUIE O DA CONSIDERARSI TALI
Sono inoltre da considerarsi reliquie:
- il telo di S. Ciriaco, cioè quello rimasto dei tre che coprivano il
suo corpo, ritrovati nella ricognizione del 1755; è uno sciamito di seta
color avorio su cui spiccano decorazioni color salmone, esempio delle stoffe
che trasportavano allora le navi anconitane nei loro viaggi per il Mediterraneo;
- l’Evangeliario detto di S. Marcellino, un codice che si fa risalire
ai sec. VI-VII, scritto in onciale, miniato e con glosse in scrittura lombarda:
contiene passi dei Vangeli Sinottici e note relative agli usi liturgici anconitani;
fu restaurato nei primi decenni del nostro secolo;
- il Canone od Evangeliario del B. Antonio Fatati, risalente alla prima metà
del sec. XV, redatto in gotico e miniato; la sua rilegatura è in velluto
rosso con armatura in metallo dorato recante medaglioni con l'effigie degli
Evangelisti e dell'Eterno Padre; vi si legge: Antonius Fatatus praesul pientissimus
Anconitanus volut alia bona episcopatus restauravit / hunc patriae fecit;
- il sasso che colpì Santo Stefano è quello di cui parla S. Agostino
(anno 425) e che fu raccolto da un marinaio, definito religiosus dal Santo Vescovo,
e da questi lasciato in Ancona, toccato il porto in uno dei suoi viaggi; è
conservato in un artistico reliquiario del sec. XV.
4.18 CHIESA DEI SS. PELLEGRINO MARTIRE E TERESA
In questa chiesa, sotto l'altare maggiore, sono deposti i resti ossei dei Santi
martiri Pellegrino, Flaviano, Dasio e degli Innocenti. Queste reliquie sono
sicuramente presenti in detta chiesa, meglio sin da quelle che l'hanno preceduta
nel tempo - essendo l'attuale degli inizi del sec. XVIII -, almeno dal sec.
VIII, quando la prima chiesa paleocristiana, dedicata a S. Ammone - compagno
di martirio con S. Ciriaco - venne ricostruita al tempo dei longobardi in Ancona
e dedicata al SS.mo Salvatore dal vescovo Natale. In tale occasione, per la
consacrazione del rinnovato tempio, il vescovo raccolse in un'arca i resti dei
Ss. Pellegrino, Flaviano e degli Innocenti che depose nel tempio con quella
di S. Dasio. La prima arca raccolse resti di martiri provenienti sicuramente
dal coemeterium della Chiesa Anconitana; i resti dei Santi Innocenti - i bambini
uccisi al tempo di Erode - e quelli di S. Dasio, morto nel 303 a Dorostolo,
nella Mesia, dovrebbero essere stati o un pio furto - cosa comune a quei tempi
- o un segno di alleanza tra Costantinopoli ed Ancona dopo la conclusione della
guerra gotica (sec. VI). Sembra che la zona, che oggi chiamiamo Piano San Lazzaro,
fosse stata in quel tempo detta Pian Dassiano, forse in ricordo del luogo ove
dette reliquie erano state sbarcate.
Le due arche, con i segni dell'offesa bellica quella di S. Dasio e due frammenti
dell'altra - superstiti della distruzione - sono ora conservate nel Museo Diocesano.
4.19 CHIESA DI S. GIOVANNI BATTISTA GIA’ S. CLAUDI, A CAPODIMONTE
In questa chiesa è ora il corpo del B. Gabriele Ferretti. Morto il 12
novembre 1456, la salma fu deposta nella nuda terra vicino alla porta della
chiesa di S. Francesco ad Alto; pochi anni dopo, per la fama di santità
ed i miracoli che avvenivano sulla sua tomba, il papa consentì che fosse
deposto in un sarcofago e collocato in altro punto della chiesa. Ivi rimase
sino alla soppressione del 1862, quando fu traslato in Cattedrale, adibita la
chiesa a caserma. Il corpo, incorrotto, fu deposto sotto un altare della cripta
dei Santi Protettori, quello successivo alla cappella Fatati, mentre il
sarcofago veniva collocato nel Museo Diocesano. Al tempo del vescovo Bignamini,
i Minori Osservanti chiesero ed ottennero che le spoglie del B. Gabriele fossero
riportate vicino al luogo che lo aveva ospitato da vivo e tra i suoi Confratelli
che officiano la detta chiesa.
4.20 ALTRI TESTIMONI DI CRISTO NELLA CHIESA ANCONITANA
Vicino ai Santi e Beati formalmente riconosciuti, esistono tre figure che hanno
dato la loro testimonianza di vita cristiana e che hanno richiamato una particolare
attenzione sul modo in cui hanno attuato la loro vocazione.
Sono Girolamo Ginelli detto il Beato, ed i Vescovi di Ancona card. Marcello
d'Aste e card. Nicolò Mancinforte.
4.21 GIROLAMO GINELLI, DETTO IL BEATO.
La Famiglia Ginelli, una delle antiche Famiglie cittadine, si estingue con
Girolamo agli inizi del sec. XVI. La vita di costui è un continuo atto
di servizio che egli compie nei riguardi del fratello, nello spirito della Regola
di S. Francesco e di quella eremitica del B. Pietro da Pisa. I figli maschi
di Simone Ginelli erano due, Angelo e Girolamo. Angelo, sembra per il troppo
studio, perde la ragione ed a Girolamo non resta altro che prendersi cura del
fratello, nonostante la sua giovane età, abbandonando ogni altro progetto
per il suo futuro. Constatata l'inopportunità di rimanere in città,
Girolamo - ventenne -
decide di condurre il fratello in campagna, in una loro possessione di Monte
Dagho (così è indicato nel testamento che Girolamo detterà
al notaio il 18 aprile 1506). Ivi costruisce un Oratorio con alcune stanze,
iniziando vita eremitica fatta di preghiera e di assistenza, collaborando un
famiglio, Giovanni Altabella da Sirolo. Il soggiorno a Monte Dagho non giova
ad Angelo che peggiora; così egli rivolge la sua attenzione ad un luogo
in cui sarà effettivamente possibile non far notare lo stato del fratello:
il Monte Conero e l'Abbazia di S. Pietro, allora - siamo nel 1483 - abbandonata
dai Benedettini, conclusa la vita della Famiglia religiosa che ivi aveva dimorato
per diversi secoli.
Con l'Altobella ed un certo frate Cola forma una piccola Comunità che
segue le Costituzioni dei Girolamini, ossia della Congregazione dei Poveri Eremiti
di S. Girolamo, basato sulla preghiera, studio della S. Scrittura, lavoro manuale,
esercizi di penitenza e cura degli inferni. Questa Congregazione doveva essere
già stata conosciuta da Girolamo, come suggerisce la costruzione dell’Oratorio
od eremo a Monte Dagho, analogamente a quanto aveva fatto, agli inizi della
sua vita eremitica, il fondatore Pietro Gambacorta da Pisa.
L’assistenza ad Angelo continua per molti anni; questi morirà nel
1502 e sarà sepolto nella chiesa di S. Pietro. Sono vent’anni circa
di silenziosa dedizione che unisce la carità fraterna con una vita di
preghiera e mortificazione. Al fratello, Girolamo sopravvive quattro anni: il
18 aprile 1506, assistito da un medico e da nobili anconitani inviatigli dal
Comune, Girolamo detta al notaio ser Giacomo di Cristoforo, le sue ultime volontà,
lasciando erede universale il Comune di Ancona con l’obbligo di versare
alla sorella 280 ducati d’oro per tacitare ogni eventuale pretesa sul
patrimonio familiare e 500 fiorini per il restauro dell'Abbazia di S. Pietro.
Cinque giorni dopo, il 23 aprile, Girolamo muore ed il suo corpo, narra il Saracini,
logorato dalle penitenze e fatiche, riacquista l'aspetto giovanile. Il funerale
è celebrato in Cattedrale, portatovi solennemente dall'Abbazia di S.
Giovanni in Val Penocchiara, dove era stato privatamente traslato. In Cattedrale
fu sepolto, nella Cappella di Famiglia, quella che poi diverrà la Cappella
del SS.mo Sacramento; il Comune gli farà erigere il sepolcro da Giovanni
Dalmata, dove ancora riposa anche se, dopo il bombardamento del 1915, colpita
la Cappella, il monumento fu smontato e ricostituito dove ora si trova.
Il Saracini riporta questa memoria: "di detto Girolimino il P. Arturo al
primo di Gennaro et Mario Oliponense Lib. 8 cap. 26 dell'anno 1506 dicono, Hic
nobili genere natus, cum sextum decimum aetatis annum attigisset, spretis Mundi
vanitatibus, atque illecebris, habitum tertiarij Ordinis induit, indeque secedens,
in altiorem montem, Anconae vicinum, vitam egit eremitica, ac solitariam in
magna victus, et vestitus austeritate, orationem frequentabat, rerum coelestium
meditationi, omne tempus impendebat; postquam autem, annos 24 in maxima perfectaque
charitate cum Deo consupsisset, santissime obijt, anno 1506, miraculisque corruscavit;
ejus corpus, ingenti totius populi devotione delatum est Anconam, et in Ecclesia
Cathedrali condigno honore tumulatun". Il Saracini ebbe le notizie su Girolamo
dal nonno, Giuliano, che fu uno degli incaricati, con Giovanni Gabrielli, Bartolomeo
Brinci, Ciriaco Bonarelli e Giovanni Buscaratti, alla realizzazione del monumento.
Nei Diari Sacri della Chiesa anconitana, di cui si conservano ancora degli esemplari,
la memoria del Ginelli era posta al 2 gennaio, come risulta da quelli degli
anni 1820, 1823, 1824, 1826, 1828, 1831, 1832, 1836, 1838; non è più
menzionato da quello dell'anno 1844 e seguenti. Negli anni in cui è ricordato
è preceduto dal titolo di Beato e si aggiunge, oltre ad indicarlo anconitano,
o l'anno della morte, o "il cui corpo si conserva in Cattedrale ",
o "terziario francescano".
4.22 IL CARD. MARCELLO D'ASTE
Il card. Marcello d’Aste sedette sulla Cattedra di S. Ciriaco dal Settembre
del 1700 al Giugno del 1709; alla sua morte aveva 52 anni. Era di Famiglia romana,
anche se il 2 luglio 1657 era nato ad Aversa, dove i suoi genitori si erano
recati per allontanarsi da Roma dove infuriava la peste. Fu educato dai PP.
Somaschi e procedé negli studi sino a specializzarsi in diritto civile
e canonico. La sua formazione e cultura, una volta entrato nel clero, spianò
la sua strada nei vari dicasteri romani: nel 1692 venne nominato vescovo di
Atene e Nunzio apostolico a Lucerna. Rientrato a Roma per motivi di salute,
nel 1698 fu creato cardinale del titolo di
S. Martino ai Monti ed il 3 settembre del 1700 fu trasferito dalla sede nominale
di Atene a quella residenziale di Ancona.
Papa Innocenzo XII, nel comunicare la notizia al Sacro collegio cardinalizio,
annunciò che aveva dato ad Ancona un vescovo santo; era il pubblico riconoscimento
dell'esemplarità della sua vita sino ad allora condotta .
Accettata la nomina, rinunciò a tutti gli altri incarichi per dedicarsi
solo al governo della diocesi, iniziando a dimostrare il suo interessamento
perché il culto fosse celebrato con dignità e proprietà;
iniziò dalla Cattedrale, donando preziosi arredi, dai calici ai paramenti.
Curò la formazione del clero attraverso il richiamo ad una profonda vita
spirituale, invitandolo a corsi di esercizi e ritiri spirituali; al popolo cristiano
ed a tutti si rivolse con le Missioni predicate da sacerdoti di alta spiritualità.
Disponibile verso tutti, dava l'esempio visitando assiduamente l'ospedale di
S. Anna - oggi distrutto - e le famiglie ove sapeva che esistevano povertà
e malattia, recando sollievo materiale e spirituale. Sostanziava questa sua
attività pastorale con una vita di penitenza e di preghiera e con saggia
e ferma dirigenza della diocesi, senza disperdere od alimentare forme di parassitismo
nel ministero della carità. Una stima di quanto erogato durante il suo
episcopato, dimostrò che aveva elargito assai di più di quello
che le rendite della diocesi gli avrebbero potuto permettere ; era il frutto
che proveniva sia vivendo in grande sobrietà ed eliminando il superfluo;
ma anche disfacendosi di beni personali.
Nel marzo del 1709, quando si manifestò il male che doveva condurlo alla
tomba, obbedendo al papa ed ai medici che lo consigliarono di recarsi o a Roma
o a Bologna, scelse quest'ultima; prima di partire, “considerando la certezza
della sua morte", redasse il testamento in cui precisò che, se fosse
morto in Ancona, doveva esser sepolto davanti alla porta della sacrestia della
Cattedrale, in modo che sarebbe stato calpestato da tutti ; mentre se fosse
morto fuori diocesi, nella Cattedrale di Ancona fosse sepolto il suo cuore,
segno dell'affetto nutrito verso il suo popolo.
Morì a Bologna l'11 giugno 1709 e fu sepolto nella basilica di S. Domenico.
Il 28 marzo 1713 fu aperta la causa "sopra la fama e l'opinione della santità
del card. Marcello d'Aste"; il procedimento fu poi interrotto ed attende
ancora di essere ripreso e concluso.
4.23 IL CARD. NICOLO' MANCIFORTE
Il card. Nicolò Mancinforte fu dato ad Ancona come vescovo da papa Benedetto
XIV; il papa, che lo aveva conosciuto in Ancona giovane sacerdote e già
incaricato in altri uffici, lo trasferì dalla sede di Senigallia. Resse
la diocesi anconitana dal 17 gennaio 1746 al 19 dicembre 1762.
Nella sua attività pastorale prese a modello un suo predecessore, il
card. Marcello d'Aste, riprendendone soprattutto lo spirito di carità,
limitando le spese personali per avere maggiori disponibilità per i poveri;
e ciò non a scapito della giustizia e dell'osservanza delle norme di
buona amministrazione della Diocesi e degli Enti da essa dipendenti.
Attento alle particolari condizioni di vita di una città aperta al commercio
e frequentata ed abitata da persone di varia nazionalità e di diversi
costumi e religioni, si adoperò per rendere più fondata la fede
dei suoi diocesani, invitando ad un approfondimento della cultura religiosa;
combatte superstizioni ed arti magiche, frutto di ignoranza e poca fede; si
adoperò per far cessare il vizio della bestemmia. In campo sociale, si
interessò perché fosse evitato alle donne di esercitare il mestiere
di muratore, invitando i parroci ad indirizzarle ad un'attività più
dignitosa e consona al loro stato.
Non dimenticò la Biblioteca Civica, ceduta dal Benincasa alla Città,
donando opere soprattutto di argomento teologico e filosofico.
Come il card. d'Aste, organizzò le Missioni per il popolo e le fece predicare
da S. Leonardo da Porto Maurizio; terminato le quali, fra Leonardo si trattenne
ancora per completarle con incontri personali e con prediche nei monasteri di
clausura.
Durante il suo episcopato ebbe la certezza della presenza della salma di S.
Ciriaco e dei resti degli altri Santi Protettori nei sarcofaghi conservati nella
cripta della Cattedrale, effettuandone la loro solenne ricognizione dopo diversi
secoli della reposizione.
Riprese il processo canonico che riconobbe al Servo di Dio Gabriele Ferretti
il titolo di Beato; il 24 settembre 1753 consacrò solennemente la Cattedrale,
unitamente all'altare della Cappella che diverrà poi quella del SS.mo
Sacramento, distrutta poi nel 1915.
Riassunse il titolo di Vescovo di Numana, che spettava ai vescovi di Ancona
dal 1422, dopo l'unione delle due diocesi, omesso dai suoi predecessori.
La sua vita si concluse a settant'anni di età; qualche settimana prima,
al termine di un corso di Esercizi, aveva preannunciata ai suoi sacerdoti la
sua vicina morte.
La sua sepoltura è in Cattedrale, nella cripta dei Santi Protettori,
davanti all'altare di S. Ciriaco; l'iscrizione ivi apposta lo ricorda come visse,
unito a Dio nella carità, liberalissimo con i poveri, di animo innocente
ed esempio di umiltà.
Anche per il vescovo card. Nicolò Mancinforte fu aperto il processo "sopra
la fama ed opinione di santità; ma, come per ,il card. Marcello d’Aste,
venne sospeso ed attende di essere ripreso e concluso.
NOTE AL CAPITOLO IV
(1) - Leoni A., Istoria d'Ancona, Ancona, 1810, p 203 sg; l'Autore si diffonde
su questo Santo e pubblica la relazione del ritrovamento che, scritta in greco,
fu tradotta in latino dal sac. Giorgio Tromba per ordine del vescovo card. Carlo
Conti (1585-1614). Gli originali, sia del testo greco che del testo latino,
sono andati perduti e tale trascrizione diventa perciò di notevole importanza.
La relazione è valida per il racconto del rinvenimento, ma molto discutibile
per la seconda parte, trattando di rivelazioni avute da una donna che descrisse
la vita ed il martirio del Santo, non avallate da alcun documento.
Purtroppo è andata ancora perduta la lastra che chiudeva il sepolcro
e dove erano incise le parole "HIC REQUIESCIT CORPUS B. PRIMIANI EPISCOPI
ET MARTYRIS QUI FUIT GRAECUS". Se fosse ancora conservata, l'epigrafia
avrebbe potuto fornire altre indicazioni sul tempo della deposizione in detto
sepolcro. Tuttavia, siccome i resti furono trovati entro una cassa di legno
ed avvolti in un lenzuolo di seta, l'analogia con la deposizione della salma
di S. Ciriaco nella cripta della Cattedrale attuale, avvenuta al tempo di Ottone
III, è evidente. Se ne può dedurre che i resti di S. Primiano
non erano sempre stati in quella chiesa - probabilmente eretta attorno al Mille
e demolita nel 1593- ma vi erano stati trasportati, forse per la sua consacrazione
e dedicazione. Non è da escludere che il luogo della precedente deposizione
fosse stato o un'altra chiesa - o la chiesa di S. Maria in Turriano ne aveva
preso il posto, come era avvenuto per quella del SS.mo Salvatore poi S. Pellegrino-
o la Cattedrale di S. Stefano, quella eretta da Galla Placidia, dove si trovavano
già i sepolcri degli altri vescovi e dei Santi della Chiesa Anconitana.
Il ritrovamento può collocarsi nella prima decade del mese di marzo dell'anno
1373, atteso che il vescovo, Giovanni Tedeschi (1349-1381) ne fissa la celebrazione
alla seconda domenica di Quaresima, ut is dies quo sanctum illud corpus erat
inventum; la Pasqua, in quell'anno, si celebrò il 17 aprile e la seconda
domenica di Quaresima cadde il 13 marzo.
Escluso che il nostro S. Primiano fosse quello venerato a Spoleto, del quale
gli Spoletani conservano il Capo, mancando l'indicazione della sede, questa
si presume la stessa ove trovasi il sepolcro; così viene indicato come
uno dei primi Vescovi di Ancona, di cui si conosce il nome.
Lanzoni F., Le diocesi d'Italia, Faenza, 1927, I, p 384 sg esprime le sue perplessità,
contrariamente a Cappelletti G., Le Chiese d'Italia, VII, Venezia, 1848, p 17,
che non ha dubbi.
(2) - Cfr. Mariuzzi G., Pirani V., Lausdei C., Ricognizione canonica storica
e scientifica sulle spoglie del Patrono di Ancona S. Ciriaco Ancona, 1984.
(3) - Gregori Magni (S.), Dialogi, a cura di Moricca U., Roma, 1924, V, p 39
sg, relativamente a S. Costanzo e, VI p 42, per S. Marcellino.
(4) - Ciavarini C. , Collezione di documenti storici inediti ed editi rari delle
Città e Terre marchigiane Ancona, 1870,p 20 sg. .
(5) - Cfr. Mariuzzi G., Pirani V., Lausdei C., Ricognizione ecc.
(6) - Il testo degli Atti di s. Dasio è stato pubblicato da Cumont F.,
Le tombeau de S. Dasius de Dorostorum, in Analecta Bollandiana, XXVII, p 369
sg e da Mercati G., Per La storia dell’urna di S. Dasio martire, in Rendiconti
della R. Accademia dei Lincei, Roma, 1916, p 311 sg; la parte centrale, relativa
al martirio, è in OFFICIA PROPRIA SANCTORUM IN DIOCESI ANCONITANA RECITANDA
Romae, 1913, p 76 sg.
CAPITOLO V: LA CATTEDRALE DI S.CIRIACO
5.1 LE PRIME NOTIZIELa Cattedrale di Ancona è costruita in parte sull'area
di un tempio del sec. IV a.C. che viene comunemente riconosciuto già
dedicato a Venere (1).Le prime notizie di una basilica cristiana sono raccolte
dal cronista anconitano Lazzaro Bernabei nelle sue “Chroniche Anconitane",
scritte alla fine del sec. XV, sulla scorta delle due precedenti, quelle del
Buoncompagno - redatta agli inizi del sec. XIII - e di Oddo di Biagio - compilata
alla fine del sec. XIV - e di un manoscritto di un cittadino curioso et amantore
de la perpetua memoria de la patria, custodito nell'archivio delle monache del
monastero di s. Bartolomeo, andato disperso con le soppressioni subite dalla
detta comunità (2).
La veridicità della notizia si ebbe all'inizio di questo secolo, quando
il Sacconi iniziò il restauro e ripristino della Cattedrale (3);fu confermata
con il ritrovamento delle fondazioni del tempio greco, emerse con i lavori di
consolidamento e ricostruzione delle strutture, dopo le distruzioni del 1943-44
apportate al tempio dagli eventi bellici (4).
Il primo edificio di culto cristiano ivi eretto, non fu una integrazione di
strutture - come accaduto in altre località - ma una ricostruzione, rovinato
forse il tempio pagano in una delle manifestazioni sismiche che spesso hanno
colpito ed ancora provano la Città.
5.2 L’ASPETTO DI ANCONA SECONDO PROCOPIO DI CESAREA
L’aspetto di Ancona nel sec. VI - che non doveva essere molto dissimile
da quello di due secoli prima - ci è stato trasmesso da Procopio da Cesarea:
". ..Questa Ancona è una roccia fatta ad angolo; dal che le venne
questa denominazione essendo assai simile ad un gomito / .../ La fortezza situata
sulla roccia angolare sta al sicuro; gli edifici tutti però situati al
di fuori che pure molti sono , rimaser sempre sprovvisti di mura. …”
(5).
La fortezza sulla sommità del colle assicura il carattere militare dell'insediamento
ed i resti di mura risalenti al sec. IV a.C., lungo le sue pendici ad est, confermano
una continuità di tale destinazione (6) .Tale carattere è conservato
ancora alla fine del sec. XII ed inizi del sec. XIII, quando il Buoncompagno
entrò “...ne la città de Ancona, et ascendendo nel monte
dove è la chiesa Catedrale ,viddi le circumstantie de li muri con i quali
la città è decorata..." (7). Non solo salì sul monte
ma, per la sua conformazione dovette anche raggiungere il sommo di una torre
- non certo l'attuale campanile - per poter vedere bene il perimetro delle mura
e la zona portuale come, per esaminare da vicino quelle lungo la rada dovette
percorrere il cosiddetto corridore del molo, di cui è rimasta una traccia,
ed attraversare una porta già alla base di una torre, oggi ancora esistente
(8).
Nell'ambito della fortificazione descritta da Procopio e' sicuramente esaminata
nei suoi dettagli dal Buoncompagno, era la basilica di S. Lorenzo.
5.3 DAI RACCONTI DI UNA BISNONNA...
L’antica tradizione, diffusa anche tra il popolo, assicurava la presenza
di un tempio pagano sotto la cupola dell'attuale Cattedrale. Questa affermazione
era stata comunicata da una bisnonna ad un suo pronipote in tempi non sospetti,
poco dopo l'anno Trenta del nostro secolo e colpì in modo particolare
il ragazzo, appena iniziato alla conoscenza dell'antichità classica dalla
lettura dei poemi omerici.
Non era possibile dimenticare una notizia del genere che legava la sua città
alle gesta degli eroi di quel popolo dai quali la città avevaavuto il
nome. Vent'anni più tardi ebbe modo di assistere ai fatti che portarono
alla conferma della tradizione. Non solo: oltre alle fondazioni del tempio greco,
che si trovano effettivamente sotto cupo1a, si acquisirono anche le certezze
relative alla basilica paleocristiana, di cui avevano scritto cronisti e storici
e quanto le era occorso nel tempo, sino ad arrivare alla mole cruciforme che
conclude il promontorio, testimone della plurimillenaria vita di Ancona, la
Cattedrale di S. Ciriaco.
5.4 LA DONAZIONE DI MAXIMILLA E L’INNALZAMENTO DELLA CHIESA DI S.LORENZO
A CATTEDRALE
La prima chiesa cristiana eretta sulla sommità del colle detto anticamente
Marano, poi di S. Ciriaco quindi Guasco a partire dal sec. XVI - ritenendo allora
più importante ricordare un colonnello che diresse lavori di fortificazione
oggi completamente spariti - aveva i suoi perimetrali appoggiati sulle fondazioni
di un tempio dedicato a Venere, innalzato nel sec. IV a.C. (9). Lazzaro Bernabei
la ricorda illustrando i motivi della sua cessione e del complesso cui faceva
parte, avvenuta nell'ultimo ventennio del sec. X, alla Chiesa Anconitana per
onorare S. Liberio, le cui reliquie erano state ritrovate dopo un lungo abbandono
tra le macerie della chiesa già a Lui dedicata (10). Il fatto potrebbe
essere visto come un atto di devozione e di religione ma, in realtà,
ebbe
dei risvolti di maggior importanza nella vita della città perché
rappresentò l'ingresso a pieno titolo dei cittadini nella fortificazione,
spodestando la Famiglia che "... per ereditario titulo..." ne aveva
il possesso. La chiesa, infatti, era privata e faceva parte della residenza
di colei che esercitava questo potere e che il Bernabei qualifica come regina
Maximilla; ed è costei che, sempre secondo il Bernabei, si spoglia di
ogni possesso, donando chiesa e proprietà a S. Liberio e, per esso, alla
Chiesa Anconitana. Questa, a sua volta, innalza la chiesa entro il recinto fortificato
a dignità di Cattedrale.
5.5 L’ASSEDIO DI TOTILA E LA LEGGENDA DI S. LIBERIO
Occorre ora analizzare i fatti.
La chiesa dedicata a S. Liberio era nel contado della città, nella valle
detta di Pennocchia; già dedicata a S. Silvestro, aveva mutato titolo
dopo che Liberio, ivi monaco ed eremita, era stato riconosciuto Santo. Distrutta
la chiesa in uno dei tanti assedi subiti da Ancona, si ritiene quello di Totila
(11), il sepolcro rimane abbandonato tra le macerie sino a che, al tempo del
vescovo Trasone, è ritrovato. La leggenda vuole che sia il Santo stesso
a scegliere dove essere deposto, indirizzando dei giovenchi indomiti, aggiogati
al sarcofago, verso la sommità del colle Marano.
La leggenda è un esempio della contaminazione di varie memorie e la proiezione
di fatti accaduti in epoche diverse in un tempo limitato. Eccola.
Il Santo è un pellegrino, figlio di un re di Armenia, che giunge in Ancona
dopo essere stato a Roma; qui si ferma, prende l'abito eremitico e vi muore.
Alla sua morte è riconosciuto da mercanti Armeni che ne informano il
padre; questi, vista l'impossibilità di riottenere il corpo del figlio,
si parla anche di un pronunciamento papale, fa scolpire un sarcofago dai Santi
Quattro Coronati, lo affida alla corrente dell'Eufrate e da questo passa al
mare che lo fa arrivare in Ancona. Poi i giovenchi e la salita alla sommità
del colle.
5.6 I SANTI QUATTRO CORONATI E LA “ECCLESIAM SANCTI STEPHANI”
La leggenda è comune per la costa adriatica anche per altri Santi. Ma
è interessante il ruolo che svolge il sarcofago. Intanto i Santi Quattro
Coronati, realmente esistiti, scultori e martiri a Roma nel 303, non sono mai
stati in Armenia. Il sarcofago, opera romana della fine del sec. IV reca il
nome di colui che vi era stato sepolto ed è un personaggio che rivestiva
le cariche
di Prefetto del Pretorio e Conte delle elargizioni private, Tito Flavio Gorgonio.
Le vicende del trasporto, a sua volta, dovrebbero ricordare le difficoltà
e la tecnica usata per traslarlo dal luogo in cui furono trovati i Sacri Resti
sino alla sommità del colle.
L'attribuzione ai Santi Coronati è giustificata dal titolo dell'Abbazia
che aveva in possesso la chiesa da dove proveniva il sarcofago: una bolla di
papa Urbano III del 13 marzo 1186, indirizzata al Priore ed ai Frati Eremitani
dell'Abbazia dei Santi Quattro Coronati e di S. Salvatore di Cingoli, bolla
che richiama quelle dei papi Innocenzo II (1142) ed Eugenio III (1145-1153),
dichiara che detta Abbazia ha tra i suoi possessi “...In comitatu Anconitano
ecclesiam sancti Stephani..." (12). Il sarcofago era quindi di proprietà
dell'Abbazia - in quanto trovavasi in un suo possesso - e non lavorato dai detti
Santi. Che poi l'arca fosse nella basilica di S. Stefano lo assicura il grado
del defunto e la dignità della stessa basilica, assolvendo, prima di
quella di S. Lorenzo poi S. Ciriaco, il compito di Cattedrale.
Il trasporto - il sarcofago è massiccio e di notevole peso - dovette
essere stato un problema per gli incaricati. Probabilmente si approfittò
del torrente che correva nella vallata, facendolo arrivare sino alla zona portuale
e da questa, per tracciati più comodi e con l'aiuto dei giovenchi, trasportato
sino a S. Lorenzo; ecco spiegato il fiume ed il mare (13).
5.7 LE “CRONECHE ANCONITANE” DEL BERNABEI
I rapporti tra la città e Maximilla sono così indicati dal Bernabei:
"...In quel tempo nel monte de san Ciriaco predicto habitava, et per hereditario
titulo possidea una donna chiamata Maximilla /.../ Vedendo per tanti stupendi
segni la voluntà de Dio, compunta in se medesima, non iudicò essere
degno, che la habitatione humana fosse congionta insieme con la divina. Et cosi
la sua temporale jurisdicione trasferì in divina de tutto el monte, nel
quale essa havea una chiesa de san Lorenzo. Et non solamente la dicta Regina
Maximilla volse cedere el monte predicto al beato Liviero, ma offerse se medesima
et tutta la Marca de Ancona, la quale, ut dictum est, per un certo hereditario
titulo possidea. /.../ Le qual tutte cose subiugò al prenominato san
Liviero. /.../ La supradicta Regina la chiesa de san Lorenzo, la quale come
è dicto , tenea in locho de una sua capella nel dicto monte, la fe destruere.
Et in quel medesimo locho ne fece fare un'altra sotto el dicto titulo de san
Lorenzo molto più grande, et molto più bella, come al presente
manifeste appare et facela constituire et consecrare chiesa Catedrale chiamata
san Lorenzo...”(14).
5.8 LA CONSEGNA DEL POTERE CIVILE ALLA CHIESA E LA FIGURA DEL VESCOVO CONTE
Di solito , in queste occasioni, o si costruiva una chiesa sul luogo del ritrovamento o si traslavano i resti nella principale già esistente; si istituiva una nuova festa, si proclamava il nuovo Patrono e, talvolta, si aggiungeva il nome del Santo a quello del Comune. In questo caso vi è l'ingresso di autorità del sarcofago sino alla fortezza e la decisione immediata di una cessione totale del potere. Il cronista ha sicuramente semplificato ed ammorbidito i fatti che, forse non dovevano essere andati così tranquilli. Tuttavia non dovettero avvenire scontri cruenti e Maximilla non oppose resistenza, probabilmente cedendo al Santo - che venne proclamato Patrono - ogni diritto, ma in realtà consegnando alla Chiesa Anconitana il potere anche civile, attuandosi così anche in Ancona la figura del Vescovo - conte. Maximilla, comunque, non fu dimenticata: tra gli antichi plutei della Cattedrale, uno sembra ricordarla particolarmente. La lastra raffigura una donna con diadema, seduta su un trono, con questa didascalia: "MENTEM SPONTANEUM / ONORE DO"; aperta ed alzata la mano destra, stringe con la sinistra un ramoscello recante tre fiori(15).
5.9 IL RITORNO DEL TIRANNO
Collochiamo ora nel tempo questi avvenimenti .Il ritrovamento dei resti di
S. Liberio avviene al tempo del vescovo Traso o Trasone. Di questo vescovo si
conoscono due documenti che recano la sua firma: un diploma di Ottone III a
favore dell'Abbazia di S. Fiora, nell'Aretino, rilasciato nel 983 e la sottoscrizione
degli atti del placito convocato nel 996 a Ravenna dallo stesso imperatore.
Il trasferimento della Cattedrale, confermata dalla traslazione del corpo di
S. Ciriaco dalla Cattedrale di S. Stefano, è dello stesso tempo, come
assicurano le
due monete di Ottone III, ritrovate nella cassa sin dalla ricognizione del 1755:
Ottone regnò dal 983 al 1002 (16). In questi vent'anni circa, si svolgono
questi avvenimenti che modificano profondamente lo status della città
ed hanno tutte le premesse per sfociare nell'organizzazione comunale. Sembra
inoltre che la città si sia già data anche una divisione amministrativa,
rappresentata dai terzeri, con due rappresentanti per ognuno. L'anonimo tiranno,
ricordato dagli storici, che si impossessa di Ancona poco dopo, potrebbe essere
stato uno della Famiglia che aveva già potere su Ancona, ritornato nella
città con il favore di una consorteria e respinto dalla maggioranza che
arrivò alla sua eliminazione (17).
5.10 LA BASILICA DI SAN LORENZO: QUANTO E’ RIMASTO SINO A NOI
Illustrati i momenti storico e temporale, si può esaminare quanto rimane
della basilica di S. Lorenzo.
I suoi resti si trovano nell'ambito della Cappella detta della Madonna, della
zona della cupola e nelle due campate ai lati di questa, lungo il braccio trasversale
della Cattedrale; consistono in tratti di muratura in elevazione, in frammenti
di mosaici, il maggiore sotto la scalinata della cappella e gli altri prossimi
ai lati interni dei pilastri verso ovest, e di una tomba tipo alla cappuccina,
prossima all'angolo a nord - est delle fondazioni. Potrebbero appartenerle anche
le due colonne che sono ai fianchi della scalinata, perché il blocco
di muratura che le sopporta è all'incirca di altezza pari a quello che
sovrasta il capitello delle due semicolonne ai lati dell'abside e forma l'imposta
delle attuali arcate di valico.
Le dimensioni planimetriche sono di m 18 circa di larghezza e di m 30 circa
di lunghezza, corrispondente al rapporto 0,6, prossimo a quello della basilica
paleocristiana scoperta sotto la chiesa di S. Maria della Piazza. L'ampiezza
della navata laterale a sud è di poco inferiore a quella a nord, misurando
m 4,35 contro i m 4,80 dell'altra; la centrale non esprime la loro somma, essendo
ampia m 7,20 circa; le misure sono riferite agli assi dei valichi.
Le altezze sono meno sicure, ma dovrebbero essere state inferiori a quelle attuali;
è poi impossibile essere certi sul numero delle colonne che sorreggevano
gli archi .
5.11 LE FONDAZIONI
Le fondazioni di questa basilica appoggiano totalmente, per quanto riguarda
i lati maggiori, su quelle del tempio greco; i due lati minori in parte, accusando
quelle del tempio greco la loro eliminazione in corrispondenza della navata
centrale. Oggi è comprensibile la mancanza del tratto verso ovest, dove
gira l'abside della Cappella della Madonna; meno lo è in corrispondenza
dell'inizio della scalinata della Cappella del Crocifisso.
Questa situazione suggerirebbe - analogamente all'orientamento delle basiliche
paleocristiane che sono state ritrovate in Ancona, quella sotto la chiesa di
S. Maria della Piazza e quella di via Menicucci - che l'abside della basilica
di S. Lorenzo fosse stata ad est e che fu poi portata ad ovest con la ricostruzione
medioevale. Ma contro questa ipotesi starebbero le diverse quote dei resti dei
pavimenti musivi: si potrebbe in questo caso pensare ad un rifacimento, essendo
quello a quota più bassa posteriore di circa un secolo all'altro. A favore
dell'ingresso ad est è la considerazione di quello che era lo stato dei
luoghi in quel tempo e cioè la maggior estensione del terreno verso ovest
e che, nella stessa direzione si allungava anche il complesso residenziale,
sicché l'entrata veniva a trovarsi nell'ambito del palazzo. Lo stato
attuale del terreno è frutto di una serie di frane; l'ultima, più
consistente, che trascinò seco anche una buona parte della residenza
vescovile, avvenne nella seconda metà del sec. XVIII, tanto che i vescovi
dovettero cercare altrove la loro residenza, e tale la conservano ancora (18).
5.12 I FRAMMENTI LAPIDEI
A questa basilica apparterebbero diversi frammenti lapidei, resti di plutei,
di antipedii e lastre decorative, ora nel lapidario della Cattedrale. Una parte
di tale materiale era ancora integra sino al 1943; purtroppo tali testimonianze
non ebbero chi li avesse illustrati e disegnati o fotografati diligentemente.
Vi sono frammenti di una lastra che aveva una croce centrale a bracci leggermente
espansi con un disco (sole?) a destra in alto, attribuibile al sec. IV-V; una
lastra di pluteo, riusata nel sec. XII per scolpirvi le immagini dei Santi Palazia
e Liberio, reca all'altra faccia una decorazione di tipo ravennate: altri frammenti
sono ormai troppo rovinati per poter indicare con sicurezza il tempo in cui
furono lavorati.
Tutto ciò è quanto rimane della basilica di S. Lorenzo, distrutta
poco prima del Mille per costruire la chiesa medioevale dallo stesso titolo.
Il tempio di S. Lorenzo, che diverrà la terza Cattedrale di Ancona, è
frutto, almeno secondo il Bernabei, della munificenza di una donna, Maximilla,
come la seconda, quella di S. Stefano, lo era stata di Galla Placidia.
5.13 LA RICOSTRUZIONE DELLA BASILICA
La nuova chiesa rispetta i canoni dell’architettura romana: è
un rettangolo che va oltre l'area della basilica paleocristiana prolungandosi
verso est, aumentando così la propria capienza rispetto alla precedente.
La sua larghezza rimane quella della precedente, circa m 18; la sua lunghezza
è di qualche metro in più, circa m 33. I resti del muro di facciata,
ritrovati sotto il piano del presbiterio della Cappella del Crocefisso, indicano
inequivocabilmente che si entrava da quella
parte, essendo rimasta la luce della porta. La scelta doveva essere stata ben
ragionata perché le altre chiese medioevali di Ancona, ad esempio S.
Maria Maggiore, S. Maria della Piazza, S. Pietro, S. Maria in Turriano, hanno
o avevano l'ingresso ad ovest; altre lo hanno condizionate dalla via sulla quale
prospettano (19).
La presenza del sarcofago con le reliquie di S. Liberio non fa realizzare la
cripta: l'arca può benissimo essere collocata nel presbiterio, in posizione
onorifica, magari sotto l'altare o vicino ad esso, appoggiato sul pavimento
a mosaico appartenente alla precedente basilica.
5.14 CONTEPORANEITA’ CON LE CHIESE DI PORTONOVO E DI S. PIETRO AL CONERO
La contemporaneità di questa chiesa con quella di Portonovo e di S.
Pietro al Conero, il ritrovamento delle basi di due pilastri cruciformi aderenti
alle fondazioni dei due pilastri verso la Cappella del Crocefisso che reggono
l'attuale cupola, basi che ricordano quelle dei pilastri della cupola di Portonovo,
invita a considerare la soluzione spaziale della chiesa. Il riferimento più
ovvio è proprio la soluzione adottata per le tre navate maggiori del
tempio ai piedi del Conero, cioè la presenza di pilastri alternati a
colonne. Tenendo conto degli intervalli, si avrebbe, nel nuovo S. Lorenzo, questa
successione: semipilastro al perimetrale di facciata, due colonne, pilastro,
due colonne, pilastro, due colonne e semipilastro ai lati dell'abside. Manca
però la conferma che poteva essere data dalla presenza di un'altra base
in prossimità della Cappella della Madonna, ma qui il sottosuolo è
stato molto manomesso per le sepolture: rimane quindi tutto a livello di ipotesi.
Del resto la consistenza di questo secondo tempio di S. Lorenzo non tarda ad
essere modificata profondamente: la destinazione a Cattedrale impone la costruzione
della cripta, rivoluzionando la soluzione adottata precedentemente.
5.15 REALIZZAZIONE DELLA CRIPTA
Un primo interrogativo è posto proprio dalla realizzazione della cripta,
spazio che interessa tre campate e mezzo: di solito, in questi casi, le campate
sono complete, appoggiandosi gli archi sulle strutture perimetrali, qui è
la mezzeria di un arco ad essere contro il muro che sorreggeva i plutei. Questa
soluzione fu forse obbligata da qualche preesistenza, non sembrando che tale
manufatto abbia i caratteri di una muratura già esistente. Lo attesta
anche quanto rimane del mosaico che denuncia chiaramente il taglio sia verso
le colonne della cripta, sia verso lo stesso muro. Ma è anche possibile
che sia frutto di un errore nelle misure, rimediato in modo da evitare una demolizione
e ricostruzione, permettendo così a noi di poter anche sapere come era
decorato ed a quale quota era il pavimento della basilica. Oltre un secolo dopo,
una stessa decisione, che conservò quanto era già stato eseguito,
eseguirà la trasformazione della pianta basilicale in quella centrale.
Il condizionamento nella realizzazione del muro di cui sopra, se può
essere sostenibile l'ipotesi già avanzata, dovrebbe essere stato causato
dalla presenza di colonne, iniziati i lavori per la cripta quando ancora le
strutture dei valichi erano intatte. Anzi, le due colonne - una per parte -
furono reimpiegate appoggiandole non più a terra ma
su una muratura che fece arrivare i loro capitelli alla nuova quota degli archi:sarebbero
le due colonne ai lati della scalinata, anche se la loro collocazione odierna
non ripete esattamente quella che avrebbero dovuto avere nella soluzione ipotizzata.
5.16 I RESTI DEL PAVIMENTO E DELLA FACCIATA
Un altro elemento che rimane di questa chiesa di S. Lorenzo, è dato
dai resti del suo pavimento. Questi sono in prossimità della sua facciata
e sono ancora ben visibili, sono formati da lastre di marmo poste a disegno
con la presenza di elementi circolari che, forse, dovevano legarle tra loro
e che venivano ad essere così mistilinee, oppure le parti circolari potevano
essere al centro di composizioni decorative.
Lungo, la parete interna della stessa facciata correva inoltre una bassa fascia
decorata che sembra fosse stato il basamento per un rivestimento; ma nulla rimane
di ciò che avrebbe potuto esservi sopra. Potrebbe però non esservi
stato alcun rivestimento, atteso che quanto rimane del paramento mostra la sua
accurata esecuzione.
I resti del pavimento e della struttura della facciata sono facilmente visibili
sotto il solaio della cappella del Crocefisso, entrando dall'accesso alla zona
degli scavi, al di sopra del muro di contenimento esistente sulla destra e di
fronte.
5.17 DALLA PIANTA BASILICALE A QUELLA A CROCE GRECA
Prima del 1189,la data è quella che ricorda la conclusione delle opere
nella nuova Cappella del Crocefisso, anche la seconda chiesa di s. Lorenzo conosce
il momento di una grande trasformazione: abbandona la sua pianta basilicale
per assumere quella a croce greca, modificando ancora una volta il suo orientamento:
dall'iniziale che la vedeva con la facciata ad ovest, successivamente portata
ad est, assumerà definitivamente quella con la facciata a sud.
La motivazione di dare un nuovo aspetto alla Cattedrale dovrebbe essere nuovamente
ricercata nel desiderio di dare una dimostrazione del nuovo corso politico -
amministrativo che stava attuandosi in città.
5.18 IL NUOVO CORSO POLITICO
Superata l’era dei consoli , è iniziata quella dei Podestà
o Pretori; la zona abitata si è allargata, iniziando a popolarsi le pendici
del Colle Astagno; il porto è in fase di crescita. Poi vi è l'emulazione:
le altre città ampliano le proprie Cattedrali e ne
costruiscono delle nuove. La felice conclusione dell'assedio, umiliato Cristiano
di Magonza e dimostrato a Venezia che si può superare il blocco marittimo
e le leghe avverse appoggiate dalle città confinanti, ottenuti i mezzi
finanziari per la riparazione dei danni subiti per difendere il rappresentante
dell'Imperatore d'Oriente, senz'altro cospicui; tali sono gli elementi che invitano
e facilitano l’impresa.
5.19 LA PORTA APERTA VERSO LA CITTA
Nessun documento informa sull’epoca in cui fu adottata questa decisione e quando si iniziarono i lavori ;tanto meno si conosce chi presentò al Consiglio Comunale la soluzione tecnica. Aveva sicuramente questo ignoto architetto una buona conoscenza della psicologia delle masse, nel proporre che la rinnovata cattedrale dovesse aprirsi verso la Città, abbandonando il tradizionale e canonico orientamento. Un grande atto di coraggio, tenuto conto del momento storico, e di immenso effetto: guardando verso la Cattedrale, sia dal mare che dal litorale, si aveva subito avanti la porta del tempio ,che probabilmente era continuamente aperta, come lo fa presumere una annotazione del sec. XVI del Lusitano (20) – e ,con quella, la sicurezza della protezione dei Santi Patroni che ivi riposavano. Lo si legge tra le righe di Oddo di Biagio (21), quando racconta l'assedio e la conquista del Cassero Anconitano. Inoltre la porta, per se di contenuta luce, veniva a spalancarsi ed idealmente ad allargarsi ben oltre i limiti costruttivi, come se due braccia aperte si allungassero verso le case ed il mare, aiutando i movimentati sguinci ed il protiro.
5.20 L’ASPETTO INTERNO ALLA FINE DEL SEC. XII
La familiarità che abbiamo oggi con l’aspetto interno della Cattedrale,
ce la fa immaginare tale anche alla fine del sec. XII. In realtà non
appariva così a chi vi entrava allora. Oltre a non esservi ancora la
Cappella del coro e le due ad essa laterali, non vi erano le scalinate che conducevano
ai due bracci. Sopra il muro, oggi coperto dalle scalinate,
vi erano i plutei come sono rimasti, in parte, all'altare del Crocefisso - e
sopra questi delle colonnine che reggevano una trabeazione. A questa trabeazione
potevano essere sospese delle tende o veli. Chi entrava quindi dalla porta principale
aveva dinanzi a se, e con molta chiarezza, una pianta basilicale poi, avanzando,
si accorgeva dei due bracci laterali ed indovinava la croce greca, collaborando
la presenza della cupola (22).
5.21 IL RIASSETTO ARCHITETTONICO
Si ricordava prima il condizionamento posto dalla cripta. L'innesto delle due
nuove zone, quelle che diverranno poi il corpo principale della Cattedrale ampliata,
avviene in corrispondenza del muro che delimita la cripta esistente più
un congruo spazio che assicura la stabilità alla muratura che viene tagliata.
Si eliminano quindi le parti dei perimetrali maggiori in modo da avere lo spazio
sufficiente a formare le tre navate, spazio pari a quello delle tre esistenti,
e si allunga il resto sino a ripetere all'incirca la lunghezza della parte rimasta
verso ovest. Ciò comporta la demolizione anche della facciata, perché
si va ben oltre questa. Si gettano i pilastri, si eliminano le murature in elevazione
che risultano comprese nella zona dell'ampliamento. Il braccio che diverrà
la Cappella del Crocifisso è quasi tutto nuovo e le murature d'ambito
sono innalzate secondo le nuove esigenze di altezza; sopra quelle dell'antico
presbiterio, oggi Cappella della Madonna, si rialza il muro così da permettere
maggior respiro alla cappella, compensando così la perduta altezza iniziale,
ridotta per la formazione della cripta.
Le due scalette che ancora esistono e che immettono all'altare del Crocifisso,
ripetono la soluzione che era già anche all'altare della Madonna: non
essendovi ancora le due scalinate, chi transitava lungo le navate laterali costeggiava
il muro che sorreggeva i plutei. Ecco perché si aveva l'impressione di
entrare in una chiesa a pianta basilicale.
5.22 IL BRACCIO DI FERRO TRA CLERO E COMUNE E IL M.FILIPPO
La mancanza di un’abside nell’attuale zona dell’altar maggiore
i saggi ivi praticati non hanno offerto nessuna traccia al riguardo, fa supporre
che in un primo tempo si pensasse di conservare l'orientamento est- ovest, pur
con un ingresso verso sud. Ci fu un braccio di ferro tra il
clero ed il Comune e un accordo in extremis? La realizzazione del protiro è
coeva al muro - e lo confermano dei particolari costruttivi emersi nelle riparazioni
eseguite dopo i danni bellici per cui è da ritenere che non vi fossero
state interruzioni dei lavori causate da questioni di principio. Tuttavia i
lavori dovettero eseguirsi
con una certa lentezza non vi erano i mezzi tecnici odierni - perché
sul basamento dell'abside del braccio del Crocifisso, all'esterno, doveva esservi
un'iscrizione firmata che doveva ricordare la conclusione dei lavori. La firma
che ancora si può decifrare, è ben conosciuta in Ancona, ed è
quella di Mo Filippo, lo stesso che firmò i lavori alla facciata di S.
Maria ora della Piazza allora del Mercato, quelli della chiesa del Ss. Salvatore
poi S. Pellegrino e la Porta di S. Pietro e Arco di Garola. Un particolare:
lungo il muro di facciata, dalla parte interna, vi è il ricordo di una
sepoltura, datata 3 ottobre 1237; ivi fu deposto il canonico Liberio. Siccome
è l'unica esistente lungo le pareti e quasi adiacente al portale, si
potrebbe pensare che il buon canonico ne patrocinò e finanziò
i lavori. Si avrebbe così un'altra conferma del tempo in cui furono ultimate
anche le parti decorative, oltre quelle strutturali del braccio del Crocifisso.
Anche la presenza, all'esterno, dell'abside del braccio del Crocifisso, di una
decorazione a scodelle in corrispondenza delle archeggiature, decorazione scomparsa
con la distruzione bellica, ci riporta alle soluzioni adottate dallo stesso
Mo Filippo sulla facciata principale, eseguita ne11210, e nella zona absidale
di S. Maria della Piazza, ampliamento avvenuto dopo il 1227 (23). A questo intervento
può alludere un'iscrizione frammentaria - che era nella cripta del braccio
del Crocifisso insieme alle altre memorie ivi raccolte e provenienti non solo
dai ritrovamenti avvenuti nell'ambito del tempio maggiore - che recita: “...
(CXVII)I INFRA /. ...(NE PHI)LIPP INCOLAI PA / ...(MA)RIE H ECCL / ...THOLOMS
/ ... SEIIIIAC / ...AZOLI" (24). Se è quella che ricordava la conclusione
dei lavori, avremo nell'anno 1218, quello che vide la Cattedrale così
come la vediamo ora, salvo le tre cappelle terminali e le scalinate, secondo
come l'aveva letta nel 19ll il Marinelli e nel 1922 il Posti.
5.23 IL TESTAMENTO DEL CARDINALE ALBORNOTZ
Il 23 agosto 1367 muore a Viterbo il cardinale Egidio Albornoz; memore delle sue ottime relazioni con Ancona, nel suo testamento la ricorda, disponendo che si costruisse nella Cattedrale di S. Ciriaco una cappella da dedicarsi a S. Clemente. A questa disposizione aggiunge l'istituzione di due benefici, uno nella chiesa di S. Cataldo - che era entro la rocca papale - e l'altro nella chiesa di S. Maria Maddalena e l'elargizione di somme alle Famiglie religiose dei Domenicani, Eremitani e Francescani per le fabbriche dei loro conventi (25). La cappella ancora esiste ed è quella del coro: lo denuncia lo stemma del cardinale apposto sopra l'arcata. Questa realizzazione sarà ben presto seguita da altre iniziative, quali quella del vescovo Benincasa, che le affiancherà la cappella sepolcrale della propria famiglia - oggi cappella di S. Lorenzo – e , per simmetria, l'apertura, verso la navata minore sinistra, di una cappella eretta nel 1235 dal vescovo Tommaso in onore di S. Anna, probabilmente la martire, madre di S. Ciriaco, e non la madre della Madonna; la cui devozione a quest'ultima inizierà nel 1380 (26). La costruzione delle tre cappelle è quindi da farsi iniziare alla fine del sec. XIV e conclusa al tempo del vescovo Benincasa (1484-1502), con la collocazione, nella cappella di sinistra, del monumento funerario del Beato Girolamo Ginelli morto nel 1505. La cappella era allora di questa Famiglia anconitana e passò quindi ai Camerata. I Ginelli avevano lo stemma analogo a quello dei Tommasi, per cui è da ritenere che le due Famiglie avessero comune origine (27).
5.24 LA NUOVA SISTEMAZIONE PROMOSSA DAL CARDINALE ALBERTINI
La costruzione di queste tre cappelle terminali altera la simmetria della chiesa, allungando uno dei bracci; lo squilibrio verrà corretto più tardi, agli inizi del Settecento, con la nuova sistemazione promossa dal cardinale Lambertini - poi Benedetto XIV - e conclusa con la realizzazione del massiccio altare maggiore che, con la sua mole, crea parete e riporta alle sue proporzioni il braccio stesso (28). Per questa nuova sistemazione della cappella fu sacrificato il Cristo del Tibaldi(29).
5.25 LE FABBRICHE DELLA CATTEDRALE NELLE DIVERSE EPOCHE
La situazione statica della Cattedrale ,assemblaggio di strutture erette in
epoche diverse su terreno non omogeneo ed in luogo esposto ad incursioni termiche
notevoli unite all'azione del salmastro e dei diversi fenomeni atmosferici,
provata dai sismi che ogni tanto assestano e dissestano Ancona, crea problemi
non indifferenti per la manutenzione e la funzionalità delle coperture;
così, obbedendo alla cultura del tempo ed alla necessità di garantire
una certa protezione ai fedeli, si rivestono le pareti con stucchi e si realizzano
volte in materiale leggero. Almeno la pioggia ed il vento sono frenati da queste
strutture e le riparazioni possono eseguirsi senza troppi fastidi per i fedeli
.(30) .
5.26 L’INCENDIO E I SACRESTANI
A questa mortificazione si aggiunge quella più, grave dell'atterramento e frantumazione delle porte bronzee della cattedrale, attuate dopo la delibera comunale del 19 novembre 1599; la vendita del metallo così disponibile, doveva servire alla riparazione del campanile, rimasto danneggiato da un incendio scoppiato per incuria dei sacrestani (31). Sono sostituite da porte lignee, forse le stesse che sono state eliminate nel 1950 e sostituite dalle attuali.
5.27 L’ANNO SANTO DEL 1600 E I DOCUMENTI PERDUTI
Così trovò la Cattedrale l'Anno Santo del 1600 e con l'intento
di ricordarlo con un'opera da tramandare ai posteri, altro non si pensò
che rinnovare il braccio ove è ora l'altare della Madonna per sistemarvi
le Sacre Reliquie. Per realizzare la lipsanoteca si dissacrò l'altare
che apparteneva alla seconda chiesa di S. Lorenzo, consacrata attorno al Mille.
Ai cardinali Borromeo e Baronio, che stavano compilando la Storia della Chiesa,
furono inviate copie delle memorie ivi ritrovate ma in Ancona gli originali
non si trovano più - probabilmente erano strisce di pergamena con sigilli
– e le copie inviate a Roma neppure. Così non sapremo mai cosa
era stato effettivamente eseguito in quel tempo lontano. Andò anche perduto
l'antico altare, meglio il blocco di pietra che reggeva la mensa, entro il quale
erano tali documenti. Uno di questi cippi, che doveva essergli simile, proveniente
dalla chiesa di Portonovo, andato distrutto dagli eventi bellici ,era nel Museo
della Cattedrale.
5.28 I DANNI DEI FULMINI
Ai danni dovuti alle condizioni proprie della struttura, si aggiungono i fulmini del 1643, almeno quelli che sono rimasti registrati per le notevoli conseguenze: furono danneggiati i pilastri e gli archi della cupola e la cupola stessa. Tre anni dopo si ripeterono l'azione delle saette con la liquefazione del piombo che rivestiva la cupola.
5.29 LA MANOMISSIONE DEI PLUTEI
Alle devastazioni dovute ai fenomeni naturali, Si aggiungono quelle degli
uomini. Le lastre dei plutei che erano al braccio del Crocifisso sono manomesse:
il vescovo Gallo ne fa sparire le centrali e vuole rinnovare tutta la cappella.
Le colonnine che sovrastavano i pilastrini tra le
lastre - ne rimangono le basi - sono portate nel campanile per ornarne le finestre
(32) mentre le lastre si depositano nei sotterranei dell'episcopio; ci penserà
poi una frana che trascinerà una buona metà dell'antico edificio
a farle sparire. Quelle che si riusciranno a salvare saranno poi accarezzate
dalle bombe nel 1943-44.
5.30 LA RICOGNIZIONE DI S. CIRIACO
Le riparazioni continue alle coperture, non impediscono altri interventi sempre rispondenti alla cultura del tempo cerca l'aspetto del tempio. Poi ritornano i fulmini; uno, nel 1750 circa, penetra nella chiesa, lesiona la volta della cripta della Cappella della Madonna e spacca il basamento delle inferriate che, dal sec. XII, impedivano di avvicinarsi ai tre sarcofaghi. Il fatto provoca - vista l'inopinata apertura- la curiosità di accertarsi su quanto contengono le tre arche e nel 1775 si può procedere alla solenne ricognizione canonica della salma di S. Ciriaco e dei resti degli altri Santi. Però si perdono le antiche inferriate, la tavola di legno ove era deposto il corpo del Patrono e tre dei quattro veli che avvolgevano il corpo deposto nel sarcofago, unitamente alla cassa di legno con la sua ferramenta di tenuta e chiusura. In compenso la cripta perde il suo antico aspetto, scalpellate le colonne e ridotti i capitelli per l'apposizione di lesene marmoree ornamentali.
5.31 IL RITORNO DEI FULMINI L’OCCUPAZIONE FRANCESE E LA SPOLIAZIONE DELLA CUPOLA
Ritornano i fulmini nel 1783 e nel 1785. Sempre è presa di mira la cupola
e, in questo caso, anche la facciata ed il portale. Si rompe il trave sul quale
si appoggia il fornice del protiro e forse è di questo tempo la collocazione
delle due colonnine ottagonali dietro ai leoni stilofori.
L'occupazione francese impoverì la Cattedrale dei suoi arredi di preziosi,
confiscati per corrispondere alle contribuzioni; oltre a questo, i "liberatori"
spogliarono la cupola del suo rivestimento di piombo, sicché oltre a
toglierle la necessaria protezione contro gli agenti atmosferici, si alterò
la sua staticità, diminuendo il carico sui pilastri. Nel 1803 la cupola
ebbe nuovamente il suo rivestimento ma non in piombo: fu ricoperta con embrici
di cotto a colore giallo e verde (33). Rimase questo rivestimento sino al 1834,
quando il Matas la rivestì con lastre di rame ma ne alterò l'aspetto,
sopprimendone decorazioni ed eliminando l'originaria lanterna, sostituita dall'attuale
elemento terminale che non si sa se comignolo o pignatta, conservato e rinnovato
dal Serra dopo i danni bellici del 1915-18 e le vicende degli anni 1943-44,
pure belliche, e quelle del sisma del 1972.
5.32 LA CREAZIONE DEL MUSEO DIOCESANO
Nel 1834 nel mese di Ottobre per disposizione del Cardinale Nembrini, fu dato
inizio al Museo Diocesano, ordinando che tutte le pietre ornate e scritte, tutti
i frammenti e cimeli che avevano relazione con la Cattedrale fossero conservati
nella Cripta delle Lacrime, ossia quella del braccio del Crocifisso. E là
rimasero sino alla devastazione del 1943 (34).5.33 LA RIMOZIONE DEI PLUTEI DI
LAMBERTO
In questo stesso tempo furono rimossi dalla Cappella della Madonna i plutei risalenti al tempo del vescovo Lamberto e rialzato il pavimento per rendere più agevole l'ingresso alla cripta. Le lastre dei plutei finirono nella cripta - ora sono in frammenti e si attuò la scalinata, analogamente a quanto era avvenuto al tempo del vescovo Gallo all’altro braccio(35).
5.34 LA REGINA DI TUTTI I SANTI SULL’AMBONE DEL VANVITELLI
Alla fine del secolo XIX, nel 1888, l’architetto Sacconi inizia i lavori di ripristino del braccio più antico, quello della Madonna; finanziano le opere un privato, il Conte Raimondo Ricotti, lo Stato, la Diocesi ed il popolo. L'ambone eretto dal Vanvitelli per la cerimonia dell'esposizione delle Sacre Reliquie divenuto poi edicola per la custodia del venerato quadro della Madonna del Duomo, il cui titolo è Regina di tutti i Santi, in quanto era collocata al centro della cappella ove di quelli se ne conservavano i resti (36)-, rimase così isolato dal contesto seicentesco nel quale l'architetto l'aveva progettato. Con i lavori si eliminò la scala che conduceva alla quota di copertura, da dove avveniva l'ostensione dei reliquiari e si scoprirono i resti del seggio vescovile e dei subsellia. Sono di quest'epoca la balaustra che circonda ancor oggi l'edicola, quelle ai lati della scalinata mentre sono sparite le statue degli angeli collocate sul fastigio dell'edicola e la grande raggiera alla medesima sovrapposta.
5.35 I MURAGLIOLI SUL LATO MARE
In questo tempo si attua il rafforzamento del colle verso mare, addossandogli quei muraglioni che ne impediscono gli scoscendimenti. La Cattedrale contribuì ai lavori, come diretta interessata agli stessi in quanto ne garantivano la stabilità e conservazione (37). Pian piano tutto il tempio riprende il suo antico aspetto anche se rimangono i segni degli improvvidi interventi e non tutti i danni arrecati sono rimediabili.
5.36 I DANNI DELLO SCOPPIO DELLA GUERRA MONDIALE
IL tempo che scorre non gioca a favore del tempio: vi sono i danni della guerra del 1915-18 e la Cattedrale è colpita al mattino dei 24 maggio, all'inizio delle ostilità. Fino agli ultimi restauri si era conservato il segno lasciato dai proiettili che, dopo aver distrutto la cappella a sinistra di quella maggiore, detta del Sacramento, erano arrivati alla parete interna della facciata. Vi era anche una lapide a ricordarlo, ma si è preferito risarcire la sbrecciatura .ed eliminare il ricordo. Del resto, il danno della demolizione del braccio del Crocifisso da che cosa è ricordato? Eppure si sarebbe dovuto spiegare perché la serie delle lastre dei plutei sono incomplete e su un altare moderno non vi è più la tavola che rappresentava il Cristo Crocifisso che un elenco , della Soprintendenza del 1908 attribuiva a Margheritone d’Arezzo(38).
5.37 IL CAMPANILE
Due parole su altri due edifici, il campanile ed il battistero.Il campanile
è ancora in piedi nonostante l'incendio del 1599 che, rimediato con le
opere finanziate col bronzo delle porte della Cattedrale nel 1604, rivela la
poca cura del restauro: il tetto minaccia rovina come il castello ed il martello
della campana grossa, anche se questa era stata rinnovata nel 1548, rotta la
precedente. Già in questo stesso tempo si parla dell'orologio della Cattedrale,
posto sul campanile: i resti, miseri, sono stati eliminati qualche decennio
or sono in occasione di altri
restauri. Più memorie si cancellano e meno si spende per la manutenzione.
Il campanile è stato recentemente rafforzato e sembra ora sicuro e pronto
a sfidare i secoli.
5.38 IL BATTISTERO
Il Battistero, o chiesa di S. Giovanni alle fonti, è presente anteriormente
al sec. XVI, quando viene riparato. Il fabbricato, che nel tempo aveva perduto
le caratteristiche esterne assumendo quelle di una casa colonica, verrà
demolito negli anni Venti del nostro secolo a cura del Comune - l'impresa demolitrice
avrà come compenso la pietra che recupererà per riquadrare la
piazza sul fianco della Cattedrale. Si salva solo una pietra: quella che ricorda
l'epoca di fondazione: IN NOMINE... / ARCILIS PARM / REGEBAT / BATI...SM / EDIFICA
/ TUS". Non è segnato l'anno, ma l'epigrafia e la somiglianza delle
lettere e della croce iniziale con quelle di altre iscrizioni datate, la collocano
agli inizi del sec. XIII (39). Un disegno che riproduce una parte della sua
struttura in pietra, conferma la collocazione temporale (40).
Per quanto riguarda l'antico episcopio, le sue vicende sono molte e non possono
compendiarsi in poche righe.
NOTE AL CAPITOLO V
(1) - Il tempio di Venere è ricordato da Catullo (36,11-4) e da Giovenale
(IV,40).
(2) - Ciavarini C., Collezione di documenti storici inediti ed editi rari delle
Città e Terre marchigiane Ancona, 1870, p.49.
(3) - Sacconi G., Relazione del Ufficio regionale per la conservazione dei monumenti
Perugia, 1903, p.250 sg.
(4) - Numero Unico per La riapertura detta Cattedrale di Ancona 1951; Soprintendenza
alle Antichità, Gallerie e Monumenti delle Marche, Danni di guerra 1946,
p.69 sg.; Bacchielli L., Il tempio greco sull’ acropoli di Ancona in PICUS
III, 1983, p.219 sg.
(5) - Procopio da Cesarea, La guerra gotica II, 13.
(6) - Tratti di struttura muraria in blocchi isodomi di arenaria, comunemente
detti di tufo, sono presenti nell'orto a fianco della chiesa di S. Bartolomeo
ed alla radice del colle come appare nel sotterraneo della chiesa di S. Maria
della Piazza dietro i resti dell'abside della basilica paleocristiana e tra
i cc. nn. 38 e 40 di Lungomare Vanvitelli.
(7) - Ciavarini C., collezione ecc p.37 sg.; Moroni N., L'assedio di Ancona
del 1173 Ancona, 1991, p.53: la traduzione è recente e più aderente
al testo, che è a fronte.
(8) - La Porta, sopravvissuta alla torre, è oggi inglobata nella nuova
caserma della Guardia di Finanza. L'iscrizione, ancora presente, ricorda: "ANN(i)
NOVE(ni) QUINQUAGINTA C(entum) M(illeno) IVE/RANT AB ADVENTU SALVATORIS MUNDU(m)
Q(ui) CREAVERAT ET T(un)C DOMIN(us) ADRIAN(us) HABEBAT REGIMINA CLERICO(rum)
ET IUSTO(rum ) O(mn)IA IMP(e)R(ator) F(edericus) PENA DABAT IMPIIS / DIGNA PIIS
TRIBUERAT MUNERA P(er) MERITIS CU(m) G(...) DE M(...) HOC P(re) CEP(erat) FIERI
P(er) MANU F(abri) DOCTI ET S(ui) SOCII.
(9) - Cfr. Bachielli L., IL tempio greco ecc. U
(10) - Ciavarini C., Collezione ecc. 1870, p.20.
(11) - Ciavarini C., collezione ecc. 1870, p.22; l'Autore dice che in Ancona
passò Attila ma in realtà fu Totila.
(12) - Raffaelli P.M., Memorie ecclesiastiche intorno L'istoria ed il culto
di s. Esuperanzio Pesaro, 1762, Appendice diplomatica, p.67.
(13) - Per il territorio antico di Ancona. cfr. G. Bevilacqua, Gli allargamenti
di Ancona dalle origini sino a noi in Guida Illustrata di Ancona, 1879.
(14) - Ciavarini C., Collezione ecc. 1870, p.20 sg.
(15) - La lastra, ricomposta dopo i danni bellici, è, nel Museo della
Cattedrale; misura m 0,65 x 0,95 x 0,06. La figura, seduta su un trono, piatta,
doveva risaltare sul fondo ricoperto da paste colorate.
(16) - I documenti citati sono riportati da Cappelletti G., Le Chiese d'Italia
VII, Venezia, 1848, p.34 per il diploma; da Colucci G., Antichità Picene
X, Fermo, 1741, p.195, Muratori L.A., Antichità Estensi I, p.187 e Compagnoni
P., Memorie istorico-critiche della Chiesa e dei Vescovi di Osimo I, Roma, 1872,
p.315. Il Compagnoni riporta il testo del placito.
(17) - Ciavarini C., Sommario detta Storia di Ancona, 1867, p.62 sg. il fatto
accadde nel 1060. L'Autore ricorda anche l'azione di San Pier Damiani a favore
degli Anconitani presso papa Nicolò II, in quella occasione.
(18) - Dell' antica residenza vescovile annessa alla Cattedrale, oggi rimane
solo una parte e con gli adattamenti, trasformazioni e ricostruzioni legate
alle vicende che ha dovuto sopportare; le ultime più notevoli sono una
frana avvenuta attorno al 1765, che obbligò i vescovi a cercare altrove
la loro residenza e l'azione dei bombardamenti del 1943-44. Per quanto riguarda
l'orientamento ovest est della Cattedrale di San Lorenzo, è da ricordare
che l'aveva già ipotizzata, ma senza prove, il Pierelli E Memoria storico-critica
detta Cattedrale di Ancona, Ancona, 1898 e Peruzzi A., La chiesa Anconitana.
Ancona, 1845, considerando probabilmente gli antichi usi liturgici.
(19) - Tutte le chiese più antiche, in Ancona, avevano la facciata rivolta
ad ovest, a cominciare da quelle paleocristiane; l'uso continuò anche
nel medioevo, anche se talvolta l'ovest è più sud ovest. Se la
seconda chiesa di San Lorenzo muta il proprio orientamento, portando la facciata
ad est, il fatto deve richiamarsi ad una situazione che impone tale soluzione,
situazione dettata da grave necessità In questa circostanza è
da sottolineare la perdita della chiesa del suo carattere privato per divenire
pubblico; la già cappella del Palazzo-residenza della Famiglia che detiene
il potere diventa Cattedrale, ossia chiesa di tutta la Comunità. La facciata
precedente, essendo nell'ambito della residenza, sottolineava il carattere privato,
il nuovo orientamento, al contrario, la apre a tutti indistintamente. Non solo:
l'accesso, alla sommità del colle è ad est e ne rimane traccia
nella rampa conservatasi a lato del campanile. Arrivare sulla vetta ed entrare
in chiesa era così facilitato. A sottolineare la decisione per la comodità
comune, si aggiungerà la successiva costruzione del battistero che affiancherà,
anche se ad una certa distanza circa l'angolo verso l'ingresso all ' area retrostante
la Cattedrale la chiesa. Il fabbricato del sec. XIII che l'ospitava è
identificabile in quello che nel sec. XVI è chiamato San Giovanni alle
Fonti, i cui resti sono stati demoliti nel primo ventennio di questo 'secolo
per rendere più regolare la piazza... Rimane, nel lapidario della Cattedrale,
una pietra d'imposta con il nome del Podestà Arcilio da Parma, nel cui
tempo fu eretto.
(20) - Santoro M., Amato Lusitano in Ancona, Coimbra, 1991, p.164; vi è
riassunta la XXIV memoria della V Centuria, ...in qua agitur de febribus...
Ioannitius teutona, mercator Antuerpiensis... capillitie rufus, cum in aede
divi Cyriaci pernoctaret...; il mercante Giovannino Teutone si era preso la
febbre. passando la notte nella chiesa di San Ciriaco. Non viene indicato in
qual mese, solo si conosce l'anno, 1555, e, quasi sicuramente, nel primo semestre.
Il mercante di Anversa, rosso di capelli, forse aveva fatto una bella sudata
salendo il colle e si era raffreddato entrando e sostando tutta la notte nel
tempio. Il medico, Giovanni Roderico, nato a Castel Branco (Portogallo) nel
1511 e morto a Salonicco nel 1558, esercitò in Ancona dal 1547 al 1555.
Si qualificava, come registra in calce ad una perizia di parte, come diremo
oggi, Amatus doctor, medicus, Castelli Albi, Lusitanus: con quest'ultimo appellativo
è passato alla storia. Ai nostri fini interessa conoscere che nel sec.
XVI le chiese, di notte, erano aperte e frequentate.
(21) - Ciavarini C., Collezione ecc..., 1870, p.115.
(22) - Le attuali scalinate che conducono alle due cappelle laterali risalgono
al sec. XVII quella del Crocifisso ed al sec. XIX quella della Madonna; anteriormente
vi erano, per accedervi, quelle scalette che sono rimaste all ' altare del Crocifisso
in aderenza ai perimetrali.
(23) - Le iscrizioni che ricordano tali lavori sono sulla facciata (1210) e
al sommo della lesena che fiancheggia l'abside a destra (1227). Nella prima
vi è anche il nome dell'autore: “SCULPIT PHILIPPUS QUI HUIUS OPERIS
FUIT MAGISTER...” e sicuramente incisa al termine dei lavori; nella seconda
manca ogni riferimento personale.
(24) - La trascrizione odierna differisce da quella del Marinelli che comprendeva
le lettere entro parentesi e si limitava alle prime tre righe: cfr. Marinelli
M., Architettura romanica in Ancona, II ed., Ancona, 1961, p.89. Il Posti C.,
IL Duomo di Ancona, Jesi, 1912, p.188, la presenta così, con un tentativo
di integrazione: "(anno domini MC)CXVII INFRA / (die... mens... indictio)NE
PHILIPP(us) PA/(piae mag pri)MARIE H(ujus) ECCL(esi)E / (fecit hoc opus cum
oper. murar) BARTHOLOMEUS / ...RS FILI AC / ...ASA COO- LIS. Si potrebbe accettare
la soluzione delle prime tre righe, ma le altre non sembrano ammissibili. Vi
è poi da ritenere che non possa essere appartenuta alla Cattedrale, anche
se rinvenuta nei suoi pressi e nell'ambito, essendovi stata in prossimità
del campanile della Cattedrale, una chiesa dedicata a S. Maria di Nazareth che
dipendeva dal sottostante monastero di San Bartolomeo fondato nel sec. XIII
e ricostruito nel primo ventennio del sec. XVI.
(25) - Filippini F., IL Cardinale Egidio Albornoz, Bologna, 1933, p.356: ..intanto
in Ancona, il 29 settembre 1.364 dettava il suo testamento... e, a p.412: "...
In Ancona (...) egli volle fosse costruita una cappella in onore di San Clemente,
nella Cattedrale di San Ciriaco…”. Nella nota n.2 l'Autore produce
un documento che ricorda la costruzione in corso di detta cappella ma la identifica
con quella detta oggi di San Lorenzo, già dei Benincasa. Probabilmente
non vide lo stemma albornoziano al sommo dell'arcata della cappella maggiore.
Nella stessa pagina sono indicate le cappellanie e gli altri legati per altre
chiese anconitane.
(26) - Il testo della lapide, ritrovata casualmente dopo essere stata usata
per sistemare un camino, è il seguente: “ EPISCOPUS HANCONAE HAEC
/ THOMAS CONDIDIT AEDEM / ANNA TIBI COELI AETERNAM / DES SIBI SEDEM AMEN / ANNIS
DOMINI MCXXXV INDIC / TIONE VIII TEMPORIBUS GREGORII PAPAE VIIII. La lapide
è ora murata sulla parete di fondo della Cappella della Madonna, a destra
dell'edicola. Il riferimento alla madre di San Ciriaco è suggerito anche
dalla dedicazione del sacello ad una martire, come era norma in quei tempi.
(27) - Posti C., IL Duomo, 1912, p.194.
(28) - L'iscrizione che corre lungo il fregio della trabeazione che conclude
le pareti della cappella reca, come data, il 1731; però l'altare sembra
più tardo, anche se non rivela la mano del Vanvitelli, come qualcuno
vorrebbe. L'altare disegnato dal Vanvitelli, inviato al vescovo Massei, è
quello che trovasi addossato all'edicola della Madonna, chiesto dallo stesso
vescovo dopo la nuova destinazione di quello che era stato eretto come pulpito
per l'ostensione delle S. Reliquie.
(29) - La statua del Cristo risorto era stata donata alla cattedrale dal mercante
armeno Giorgio Moratto; cfr. Saracini G., Notitie historiche della città
d'Ancona, Roma, 1675, p.364 e Posti C., IL Duomo ecc... 1912, p.210.
(30) - La Cattedrale è un insieme di corpi di fabbrica di varie epoche;
oggi il più antico è rimasto quello della Cappella della Madonna;
coevi sono i due che formano, con la cupola, il corpo principale della chiesa;
l'ultimo, ricostruito dopo la distruzione bellica del 1943-44, è quello
della Cappella del Crocifisso. Ciò ha comportato e comporta assestamenti
che non sono avvenuti nello stesso tempo e su manufatti coevi e producono effetti
che si ripercuotono soprattutto sulle coperture, a loro volta soggette anche
ad escursioni termiche notevoli ed all'azione libera dei venti. Con i recenti
lavori si è cercato di rendere più solidali le diverse parti e
di adottare soluzioni che favoriscano i movimenti delle coperture salvandone
l'azione protettiva. Nella storia della Cattedrale, i lavori di rifacimento
dei tetti occupano la maggior parte delle cronache dopo quelli per il restauro
delle lesioni e distruzioni provocate dai fulmini.
(31) - L'incendio scoppiò il 25 giugno 1584; cfr. Albertini C., Storia
di Ancona, ms, nella Biblioteca Comunale, XII, p.139 e Pesti C., IL Duomo ecc.
1912, p.112.
(32) - La manomissione della serie dei plutei avvenne nel 1646, al tempo del
vescovo Luigi Gallo; cfr. Saracini G., Notitie historiche ecc... 1675, p.456.
(33) - Cfr. Posti C., IL Duomo ecc. p.225.
(34) - Il Museo fu inizialmente un deposito; se ne ebbe una prima catalogazione
nel 1908 a cura dell'Ufficio Regionale per la conservazione dei Monumenti. Poi
fu abbandonato a se stesso tanto che Posti C., Il Duomo ecc. 1912, p.226, così
lamenta: "... se tornasse al mondo e vedesse ora con che premura è
tenuto, direbbe fra se: poveri quattrini miei come sono stati. ..gettati".
Il bombardamento del 1° novembre 1943 colpì proprio questa parte
della Cattedrale frantumando, ed in qualche caso irreparabilmente, i cimeli
ivi conservati e l'archivio che vi era stato deposto, nonostante la opportuna
protezione posta in atto dalla Soprintendenza ai Monumenti. Cfr. Soprintendenza,
Danni di guerra, p.69 e sg.
(35) - Le lastre che formavano il pluteo del vescovo Lamberto (1158) furono
rimosse nel 1834, quando si volle realizzare la scalinata e rinnovare gli ingressi
alla cripta. Secondo il Sacconi G., in "Rivista Misena", anno II,
n.3O, p.76 nota, sarebbe stato innalzato il muro che sorreggeva i plutei di
due gradini e portato a quota più alta il pavimento della cappella per
consentire una maggiore altezza alle sottostanti volte della cripta e più
facile accesso alla stessa. I recenti lavori hanno però escluso questa
ipotesi perché le volte della cripta sono quelle originarie e gli accessi
sono quelli che erano nell'ultimo Settecento.
(36) - Il Vanvitelli eseguì quello che è ora il tempietto o edicola
per la conservazione del veneratissimo quadro della Madonna, come ambone o pulpito
per la cerimonia dell'ostensione delle S. Reliquie, nell'anno 1738. Successivamente
alla collocazione del quadro - che inizialmente era nella cripta, dove ora è
l'altare del Beato Antonio Fatati - fu eretto l'altare, pure disegnato dal Vanvitelli
, e la Sacra Immagine, già detta la Madonna di San Ciriaco dalla sua
iniziale collocazione nella cripta, fu fregiata del titolo di Regina di Tutti
i Santi, per la presenza, in detta cappella, delle S. Reliquie che possiede
la Cattedrale. .
(37) - Le strutture murarie che proteggono le rupi sul lato verso mare, dietro
la Cattedrale, furono ultimate il 14 novembre 19OO, come risulta da una lettera
del direttore dei lavori Giustiniani, al Soprintendente G. Sacconi. Archivio
Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici, fascicolo relativo alla
Cattedrale.
(38) - Gli autori del Crocifisso, perduto per i danni bellici, erano secondo
Pichi Tancredi G., Anconologia, citato da Posti C., Il Duomo ecc., 1912, p.146,
Simone e Machilone; l'iscrizione, ricopiata dallo stesso Pichi Tancredi, così
recitava : " ANNO MCCXXV DIE XV IN TEMPORE AUGUSTI SIMEON ET MACHILON SPOLETAN(i)
DEPINXERUNT HOC OPUS. Cfr. anche Diario Sacro Anconitano, anno 1820, p.15,che
riporta il testo.
(39) - La pietra è conservata nel Museo della Cattedrale. L'altra iscrizione,
che serve da paragone, incisa su una lastra di epoca ravennate, ricordava il
ritrovamento delle reliquie dei Ss. Pellegrino e Flaviano al tempo del vescovo
Gerardo e dell'imperatore Federico, durante la ricostruzione della chiesa del
Salvatore, il 2 maggio 1224. I resti di questa lastra con i frammenti dell'iscrizione,
anche questa è stata frantumata dalle bombe, sono nel Museo della cattedrale.
(40) - Il disegno, rilievo della struttura in pietra ritrovata tra le murature,
è conservato presso l'archivio disegni della Soprintendenza ai Beni Ambientali
ed Architettonici.
CAPITOLO VI: LA CHIESA DI SANTA MARIA DELLA PIAZZA
6.1 CHIESA NEL CUORE DELLA CITTA’
La chiesa di S. Maria della Piazza si trova in un ambiente particolarmente
legato alla vita sociale, civica e religiosa di Ancona, anche se oggi questo
contesto è meno evidente. Anzi, i rapporti tra i volumi esistenti e quello
della chiesa la fa apparire quasi a disagio in mezzo ad essi, in quanto la costringono
e sovrastano da ogni parte, sbiadendo anche quella pennellata di verde che la
separa dalle altissime pareti del quattrocentesco palazzo ora sede della Prefettura.
6.2 LA PRESENZA DELLA CHIESA PALEOCRISTIANA
Ma a confermare l’importanza non è soltanto la sua veneranda età ed il suo legame con le prime manifestazioni della vita Comunale – era il luogo deputato per il solenne giuramento del Podestà che assumeva gli oneri e gli onori della sua carica (1) – quanto la presenza dei resti di un’altra chiesa – di epoca paleocristiana – sopra i quali è stata costruita e dalla quale si distingue nettamente.
6.3 LA VILLA ROMANA
I ritrovamenti archeologici hanno fatto emergere prima i resti della chiesa
paleocristiana, quindi quelli di un complesso abitativo al suo fianco. L'accostamento,
anzi la possibilità che la chiesa sia stata eretta nell'ambito del complesso,
dove già prosperava il viridarium rende a questo accostamento il valore
di integrazione ed interdipendenza.
La situazione, a sua volta, suggerisce che l'edificio - del quale rimangono
parti di colonne formate da elementi sagomati in cotto e tratti di strutture
murarie - avrebbe potuto essere la DOMUS ECCLESIAE ANCONITANAE, cioè
la sede della prima Comunità cristiana di Ancona (2)
6.4 IL “SEGNO” DEL POZZO E IL BATTESIMO PER IMMERSIONE
Altri elementi confortano questa ipotesi. La presenza di una sorgente che assicurava l'acqua necessaria a coloro che vi abitavano ed alimentava la vasca ed il ninfeo del viridarium, che corrisponderebbe al vuoto sottostante la zona ora caratterizzata da un'apertura sul pavimento, che ora richiama l'idea di un pozzo. E' forse un "segno" lasciato a ricordo della iniziale destinazione ad uso di battistero della vasca amministrato con il rito dell'immersione utilizzando l'acqua naturale, come era prassi nei primi tempi, poi racchiusa in una costruzione apposita? Questa, in un secondo momento, trasformata, diverrà chiesa e manterrà certi elementi, quali il recinto che divideva i battezzati dai catecumeni, ancora oggi documentato dal basamento sul quale sono evidenti le tracce dei pilastrini che scandivano le lastre dei plutei che separavano le due zone.
6.5 I PERIMETRI DELLA BASILICA ANTICA
La basilica paleocristiana - questo è il nome che ora comunemente si
assegna alle chiese paleocristiane erette fino a tutto il sec. VII si estende
ben oltre il perimetro della chiesa medioevale, interessata questa a circa un
quarto della superficie della prima. Esse hanno in comune una parte del perimetrale
a sud dopo la facciata della chiesa medioevale, il muro di
quella paleocristiana si prolunga sino a via della Loggia. Lungo via della Loggia
erano anche i resti della muratura della facciata, fatti sparire in tempi recenti
per la realizzazione di un collettore fognario. L'altro perimetrale dovrebbe
trovarsi sotto l'edificio che fiancheggia dall'altro lato la chiesa medioevale
e con il quale forma la prima parte del vicolo Foschi. La zona absidale corre
all’altezza dell’ innesto della navata con il transetto
6.6 TRE NAVATE E DUE ABSIDI
La basilica ora a tre navate, con quella centrale circa il doppio delle singole laterali, divise da un colonnato non era triabsidata ma biabsidata, avendo absidate la navata centrale e quella alla sua sinistra; non si può attribuire ciò a modifiche successive in quanto tracce di decorazione assicurano che le pitture presenti sull'absidiola ed il muro appartengono allo stesso periodo ed alla stessa mano (3).
6.7 I DUE STRATI PAVIMENTALI
Si hanno due strati pavimentali. Il primo dovrebbe essere stato tutto ad una
sola quota, dall'abside all'ingresso, e si fa risalire al sec. IV; il secondo
strato, che è posto ad una quota superiore di cm 20 circa rispetto al
primo, al VI secolo. La sua quota aumenta ancora nella zona absidale per effetto
del rialzo di quest'ultima rispetto al nuovo livello della navata e dell’
area dell’ altare.
6.8 DUE LAPIDI TOMBALI E RESTI DI DECORAZIONE MOSAICO
Sul pavimento superiore sono da notare i mosaici che formano due lapidi tombali
delle quali di una è rimasta parte della indicazione temporale:
...IND .../ NE OCTA...
e dell’altra il nome del defunto:
IC REQUIE / SCIT STEFA / NUS FILIV / S CAR M...;
è da notare che la prima inumazione è stata eseguita ponendo il
capo del defunto ad est, mentre quella di Stefano l'ha verso ovest.
Vi sono inoltre tracce di un'iscrizione dedicatoria:
ELP. ../ ET. ../VO. ..
e resti di decorazione ottenuta con figure di animali, cervi, pavoni, vari tipi
di uccelli e con elementi floreali. I restanti campi mosaicati sono di carattere
geometrico, con elementi a carattere rettilineo e curvilineo, delimitati da
trecce e riquadri (4)
6.9 L’ALTARE MOBILE
La decorazione musiva è particolarmente ricca nell'area dell'altare che,
inizialmente, doveva essere stato mobile. La realizzazione del sepolcreto per
le reliquie e le basi delle aste del baldacchino o ciborio e dei tendaggi che
ad essi erano appesi ha fatto rompere l'unità del quadrato che distingueva
l'area dell'altare dalle altre, inserendo due basi nella cornice del lato verso
l'abside e due nella composizione che occupava la rimanente superficie.
6.10 LA BOCCA DEL POZZO
Un elemento piuttosto anomalo è la presenza della bocca di un pozzo sull'asse
della navata e dell'altare; anche se l'altare è divenuto fisso in un
secondo momento, ne ha sicuramente condizionato la collocazione come, precedentemente,
aveva determinato il tracciato della navata maggiore. Attraverso il foro sono
visibili delle murature ad una certa distanza dalla bocca ed ad andamento che
sembrerebbe rettilineo. Il pavimento coprirebbe quindi una vasca. Bisogna ora
cercare il motivo che ha obbligato la conservazione di questa preesistenza e.
che avrebbe dovuto essere di notevole importanza.
6.11 DOMUS ECCLESIAE E ITINERARIO CATECUMENALE
Mettendo questa vasca in relazione con i vicini ruderi di un edificio, essa
poteva essere o nell'interno o all'esterno del fabbricato: o era il Labrum del
balneum, nel caso primo o quella del viridarium nell'altro; in ambedue i casi
doveva aver avuto un ruolo importante nella vita religiosa, ruolo che può
indicarsi come battistero per immersione. Abbandonato l'uso di amministrare
il sacramento per immersione, tipico del rito orientale, l'adozione del rito
per infusione non richiese più una vasca che venne, quindi, abbandonata.
Ma la memoria di un tale luogo - che indicava dove iniziava la vita nuova per
il cristiano - non doveva andar perduta; pertanto si lasciò quel segno
a ricordarlo e nella parte della basilica che era frequentata solo dai battezzati;
mentre i catecumeni rimanevano al di là della recinzione di cui ancora
si conserva una traccia, all'altezza della fondazione della torre, oggi campanile.
La collocazione del foro, circa a metà del percorso tra la recinzione
e la zona absidale, divenne così indice dell' itinerarium cristiano e
la vicinanza all'altare mostra la necessità di attraversarlo (purificazione)
prima di accedere all'agape (eucarestia) (5).
Come conseguenza di quanto sopra, si può pensare che il complesso romano
sopra il quale è sorta la chiesa ed i suoi dintorni possono aver appartenuto,
come già detto, alla Domus Ecclesiae Anconitana.
6.12 LACERTI PARIETALI E I DIVERSI STRATI DI AFFRESCO
Dopo le considerazioni sugli strati pavimentali, un cenno anche alle decorazioni
parietali.
La maggior zona affrescata si trova nell'absidiola laterale; un lacerto è
nella parete rettilinea che chiude l'altra navata laterale. Sulla curva absidale
laterale vi erano tre strati di affreschi, i primi due sono rimasti in sito,
non essendovi convenienza a staccare il secondo dal primo. Tuttavia quest'ultimo
rimane documentato da piccole parti di colore presenti dove è mancante
il secondo strato. Il secondo strato dipinto raffigura un tendaggio, con pieghe
e frangia, ornato da croci e da foglie lanceolate. La mano che l'ha realizzato
non doveva essere molto esperta. Più interessante è il terzo strato,
dove erano raffigurati personaggi in piedi attorno ad uno centrale. Questi,
in mano, reca un cartiglio dove, al tempo del ritrovamento, vennero lette parole
dal libro di Isaia, ora illeggibili. Difficile stabilire il tempo di esecuzione
del primo intervento; il secondo rivela influssi ravennati del sec. IV-V; il
terzo è più tardo, forse del VII od VIII secolo (6).
Il lacerto sulla parete di testata della navata laterale appartiene all'epoca
del secondo strato dell'absidiola, mostrando i resti di una frangia analoga
all’altra.
6.13 LA ROVINA DEL IX SEC. E I RECINTI MURARI DEI SECOLI XI E XII
La basilica ruinò nel sec. IX, al tempo degli sconvolgimenti naturali,
frane e terremoti che rimodellarono il territorio anconitano. Recuperato quanto
poté essere ritrovato in condizioni di poter essere riusato o quanto
apparteneva alla memoria storico-religiosa della comunità, l'area fu
abbandonata perché veniva a
trovarsi fuori delle mura ed alla mercè di chi veniva dal mare. E tale
rimase sino ai secoli XI-XII, quando lungo il litorale si iniziò a costruire
una serie di torri con annessi recinti, per garantire la sicurezza contro sbarchi
improvvisi da parte dei corsari e saraceni che allora scorrevano per l'Adriatico
(7).
6.14 IL CAMPANILE DELLA CHIESA DI S.MARIA E L’ISTITUZIONE DELLA COLLEGIATA
Una delle prime torri che furono erette lungo il litorale fu quella che, opportunamente
sistemata, divenne in un secondo momento il campanile della chiesa di S. Maria.
La torre non era isolata ma apparteneva ad un piccolo recinto, dove stazionavano
coloro che la presidiavano, e collegata con la cinta muraria che correva a valle
dell'attuale via Pizzecolli. Suggeriscono questo impianto le testimonianze rimaste.
Intanto, alla sommità della torre non si saliva dall'attuale piano della
chiesa, la scala a chiocciola che è stata inserita nel vano è
frutto di un recente intervento, ma l'accesso era al di sopra della volta, in
corrispondenza dell'alloggio del sacrestano. Questi occupava un appartamentino
ricavato dividendo in altezza quel locale magazzino che ora fiancheggia la navata
laterale a nord: in quel volume vi era infatti la sacrestia della chiesa, con
un ingresso che la rendeva autonoma dalla chiesa, aperto verso il vicolo laterale.
In esso era una ristretta chiostrina per dare luce agli ambienti; la scala per
accedere all'appartamento ed un'altra per salire alla sala capitolare, ricavate
isolando la campata a sinistra del transetto. Questa sistemazione fu l'ultima
di una serie di interventi di adattamento di quanto preesisteva, dopo aver ultimato
i lavori di allungamento della chiesa con la formazione del transetto e dell'abside.
Si resero necessari soprattutto dopo l'istituzione della Collegiata, ossia dell'affidamento
del tempio ad un gruppo di sacerdoti beneficiari - che ebbero il titolo di Canonici
- avvenuta nel 1474 e confermata dal Legato per la Marca nel 1483 - dovendo
provvedere, oltre ai locali per l'organizzazione parrocchiale, anche a quelli
per il Collegio dei Canonici. Questa sistemazione si conservò sino a
qualche decina di anni or sono, cancellata dopo i lavori di restauro a seguito
degli eventi bellici.
Che la torre fosse isolata e con accesso ad una quota superiore, è chiaramente
indicato anche dalla fila delle arcatelle, bruscamente interrotta, che ancora
decora il lato della torre verso la chiesa; e che il lato proseguisse, insieme
alla muratura in pietra squadrata, lo dice il taglio a forza della stessa. Questo
volume che prospettava verso l'interno del recinto, doveva essere stato ad arcate,
in modo da ottenere dei ripari, mentre la parte esterna verso il vicolo, doveva
correre compatta con un'unica apertura, quella alla base della torre di ridottissima
luce, circa cm 70, oggi murata. Alla base del lato verso la chiesa, nella parte
opposta a quella esterna, l'accesso è molto più ampio, oltrepassando
la luce, seppur di poco, il metro.
6.15 IL RECINTO DELLA CHIESA SUPERIORE
Il recinto, un quadrilatero, è oggi individuato dai perimetrali che
formano la facciata della chiesa e da questa, a destra, sino al transetto; da
quello verso monte, ora traforato dalle tre arcate che collegano le navate al
transetto; il quarto è completamente sparito per gli interventi di cui
sopra: forse qualcosa era rimasto, ma prima ci fu l'invenzione delle arcate
e la formazione di una quarta navata, poi la chiusura delle arcate e la realizzazione
di quel locale che ora funziona come magazzino e accesso al sotterraneo.
Sul perimetrale destro sono ancora presenti due feritoie, analoghe a quelle
della parte bassa del campanile: dovevano servire a permettere la sorveglianza
da quel lato e, data la loro altezza dal piano della chiesa, dovevano essere
servite da un impalcato che correva lungo i lati. Dopo tante vicende ed interventi
- non bisogna dimenticare che la chiesa, alla fine del Settecento funzionò
anche come zecca - non è più possibile ritrovare le buche pontaie
dove erano inseriti i travicelli che reggevano le tavole del camminamento (8).
6.16 L’ABBANDONO DELL’IMPIANTO DIFENSIVO DOPO L’ASSEDIO DEL 1174
Non vi sono indicazioni precise sull’epoca in cui questo impianto difensivo fu abbandonato probabilmente dopo l'assedio del 1174, non ritenendo conveniente ripristinare un impianto che forse aveva subìto danni di una certa entità ed in previsione dell'ampliamento della cinta muraria. Si preferì allora destinare l'area ad una chiesa, confidando - in quei tempi se ne era certi - che la difesa della città era più sicura se affidata ai Santi piuttosto che a strutture poliorcetiche.
6.17 LA CHIESA SORGE IN LUOGO PALUDOSO
La prima chiesa sorse così in un territorio semiabbandonato, paludoso
per la presenza di acqua sorgiva, di quella che scendeva dalla soprastante collina
e di quella che vi arrivava dal mare quando era tempo di tempesta. Lo attesta
inequivocabilmente il titolo, S. Maria del Canneto, che dipinge abbastanza esattamente
la situazione ambientale.
Si eressero i sei pilastri ottagonali per dividere lo spazio in tre navate,
sopraelevando l'ultima campata di qualche gradino per far meglio vedere l'altare;
non ci fu necessità di realizzare una cripta, non dovendo collocarvi
urne od arche con reliquie di Santi, anche perché non era consigliabile
lasciare tali Sacri Resti alla mercè di pii furti, sempre ricordando
quanto sopra già detto(9).
6.18 LA FACCIATA DEL TEMPIO E I MAESTRI LEONARDO E FILIPPO
La sua facciata era a capanna ed interessava tutta la sua ampiezza, senza denunciare
le diverse quote d'imposta del tetto della navata centrale e di quelle delle
laterali. E' possibile però individuarle ancora, in quanto si conserva
ancora, il coronamento ad archetti di un muro sopra le arcate e la traccia della
fascia e lesena che indicavano rispettivamente la quota del colmo del tetto
della navatella laterale una, e la differenza tra il colmo e la sommità
del muro sopra le arcate, l'altra. Il tutto è ancora visibile nella navata
laterale sinistra.
Sulla facciata, in pietra squadrata - ne rimane visibile la zona in basso, a
fianco dell'ingresso - si spalancava il portale; ai suoi lati correvano verso
l'alto gli elementi polistili che assicuravano maggior stabilità alla
struttura e si opponevano alle forze scaricate dalle arcate. Avrebbe dovuto
esservi un pronao - ne rimangono i conci d'imposta ai lati del portale, e sarebbe
stato necessario per proteggere l'ingresso dagli agenti atmosferici - ma non
fu realizzato; fu successivamente sostituito dalla preziosa decorazione che
circondò lo sguincio: un M° Leonardo ne curò
l'esecuzione ed ora il degrado della pietra impedisce di essere certi dell'anno,
rimasta leggibile solo la firma. Si può soltanto asserire che è
anteriore al 1210, anno in cui M° Filippo intervenne sulla facciata per
la decorazione eseguendo i quattro ordini di arcatelle cieche che occupano i
due terzi della stessa.
6.19 IL GIURAMENTO DEL PODESTÀ E LA SEDE DEL MERCATO PORTALE
Il motivo che portò alla decorazione del portale potrebbe ricercarsi nel voler qualificare la facciata della chiesa dopo che la piazza antistante era divenuta il luogo deputato per la cerimonia dell'insediamento del Podestà eletto e come sede del mercato. La chiesa perse allora il titolo di S. Maria del Canneto per assumere quello di S. Maria del Mercato.
6.20 S.MARIA DEL CANNETO E FONTE DEL CALAMO
Queste circostanze spingono a due riflessioni. La prima, assicura che la chiesa era ancora fuori delle mura, pur essendo prossima a quelle. Ne abbiamo un chiaro esempio a Serra San Quirico, dove ancora la chiesa di S. Maria del Mercato, ora sconsacrata, è posta fuori delle antiche mura e quasi di fronte ad una porta civica. La seconda riguarda il titolo originario, S. Maria del Canneto. L'uso del termine italico per indicare quella pianta palustre, indica che ormai sono trascorsi i tempi in cui ad una sorgente od ad una fontana, che si trovavano in analoghe condizioni ambientali, era stata data una parola greca, cioè la Fonte del Calamo, oggi più comunemente chiamata le Tredici Cannelle. A distanza di secoli, il termine greco è dimenticato, come quello latino e si usa quello ormai entrato nel linguaggio italiano dopo il Mille(10).
6.21 IL TRASFERIMENTO DEL MERCATO A PIAZZA GRANDE
Ritornando a S. Maria, che da quello del Canneto passò a quello del Mercato, è da ricordare che perse anche questo titolo nel sec . XV, quando il mercato fu trasferito nella nuova piazza antistante il nuovo Palazzo degli Anziani (11).
6.22 SECOLO XIII: L’ESPANSIONE DELLA CITTA’
Nel secolo XIII Ancona si rinnova e si espande. E' il momento che vede l'ampliamento
della Cattedrale ormai realizzato e si inizia la saldatura dell'antico abitato
sul colle oggi Guasco con il Borgo che si era formato lungo le pendici dell’
Astagno. Così anche la chiesa di s. Maria del Mercato viene fatta partecipare
e concorrere alla formazione del nuovo volto della città e M° Filippo
è incaricato di decorarne la facciata, per dar maggior lustro alla cerimonia
che ivi si compiva ogni sei mesi, il giuramento del podestà eletto.
6.23 L’ISCRIZIONE SULL’ARCHITRAVE E LA SCOMUNICA DEL 1210
Egli risolse il problema inserendo una mensola che movimentò con simboli
e figure mitologiche, le sirene; con animali fantastici e con colombe, allusioni
alla vita spirituale dell'uomo, e con elementi floreali, partendo dalla porta
sino agli spigoli estremi della facciata rispettando però il fregio che
circondava lo sguincio del portale. In corrispondenza di quella decorazione
praticò un'asola sulla mensola, sicché la successione delle figure,
del tralcio con i pampini, dei grappoli e delle cornici a palmette, rimane ancor
oggi godibile nella sua interezza. Sopra la mensola appoggiò i quattro
ordini di arcatelle cieche che hanno per sfondo lastre marmoree lisce o già
di plutei, di pavimentazione e sculture. L'intervento è ricordato da
due iscrizioni. Una è stata incisa sull'architrave della porta d'ingresso
e così recita:
† AD MATREM XPSTI QUE TEMPLO PRESIDET ISTI / QUI LEGIS INGREDERE (v)ENIA(m)Q(ue)
PRECANDO MERERE / CUM BIS CENTENUS clAUSISSET TEMPORA DENUS / ANNUS MILLENUS
FLORERET I(nnocentius) PAPA SERENUS / IMPERIIQ(ue) DECUS PRINCEPS OTTO SUMERET
EQUUS / HEC PHILIPPE PIE DEcORASTI TEMPLA MARIE.
La traduzione è questa:
Alla Madre di Cristo cui è dedicato questo tempio / tu che Leggi entra
e meritati il perdono colla preghiera / Quando si concluse il tempo due volte
centenario e decimo / dell'anno Millenario, vivendo serenamente papa Innocenzo,/
ed avendo assunto l'impero il giusto principe Ottone, (tu) o pio Filippo, abbellisti
questo tempio di Maria.
Il latino non è perfetto, ma preciso nell'indicazione del tempo in cui
si eseguirono i lavori, anno 1210; meno lo è nell'usare gli aggettivi
nei riguardi di papa Innocenzo III (1198-1216) e di Ottone IV (imperatore dal
1209 al 1218) in quanto proprio nel 1210 il papa scomunicherà l'imperatore
dopo una serie di contrasti.
La seconda iscrizione corre sul listello della mensola, in corrispondenza del
fregio del portale, ed afferma:
SCULPIT P(h)ILIPP(us) Q(ui) (h)U(i)US OPERIS FU(it) MAGISTER OPE / P(er)FEC...
/ TE(mpore?) r(nnocentii?) P(apae? o ontificis?) M(aximi?) / B(e)N(edictio)
D(omin)I / S(uper) A(nimam) S(uam).
6.24 FILIPPO: IL PRESBITERO E IL MAESTRO
La trascrizione delle ultime righe è incerta per lo stato della pietra
e per la presenza di lettere incomplete; tuttavia è chiaro che l'opera
appartiene al maestro lapicida Filippo che, ovviamente, non è la stessa
persona nominata nell'iscrizione sull’architrave, qualificato come pio.
Costui, infatti, dovrebbe essere un sacerdote che doveva essere stato proposto
ai lavori che si attuavano negli edifici sacri e lo ritroviamo, come testimone
in un atto del vescovo Gerardo II che dirime, per incarico di papa Gregorio
IX, nel 1227 una questione tra il Comune di Fano ed i monaci del locale convento
di S. Paterniano; nell'iscrizione che ricordava la ricostruzione della chiesa
del SS.mo Salvatore, poi S. Pellegrino, avvenuta tra il 1213 ed il 1224, insieme
ad un altro sacerdote Ugo (12).
6.25 LE FIRME DEL M. FILIPPO
La firma di M° Filippo la ritroviamo sulla facciata della Porta civica detta di S. Pietro, con la data 1221 sulle sculture della lunetta - raffigurante Cristo in trono tra i simboli degli evangelisti Marco e Luca - che può datarsi al 1224 in quanto appartenente alla predetta chiesa del Salvatore; in una lapide già nel lapidario della Cattedrale ora in frammenti; in un concio del basamento dell'abside della cappella del Crocefisso, sempre in Cattedrale; queste ultime senza data, salvo che in quella della lapide dove era rimasto ...CXVII, senz’altri riferimenti (13).
6.26 1223: I LAVORI DI ALLUNGAMENTO DELLA CHIESA
Dopo questo excursus su M° Filippo, sul quale esistono ancora degli interrogativi,
riprendiamo a tracciare la vicenda della chiesa di S. Maria.
Terminata la decorazione della facciata, qualificata la piazza per la civica
cerimonia, si pensa alla chiesa. Il 12 aprile del 1223 si iniziano i lavori
per allungare la chiesa, aggiungendole un transetto ed un'abside; poi, al fine
di mantenere certi rapporti, all'allungamento segue la sopraelevazione delle
navate. Così le strutture soprastanti gli archi di valico acquistano
l'altezza attuale, come pure i perimetrali: questo intervento è leggibilissimo
nell'ambito della navata laterale sinistra, dove la sommità del muro
delle arcate, con la sua archeggiatura già terminale, serve ora di appoggio
ai travi del tetto della navata minore, mentre l'antico e abbandonato appoggio
superiore di questo tetto è rilevabile in corrispondenza della fascia
sulla quale si imposta la lesena che la raccorda alla superiore archeggiatura.
L'antica parete che concludeva la chiesa non viene demolita totalmente ma sezionata
in modo da ricavare un arco trionfale a tutto sesto in corrispondenza della
navata centrale e due a sesto acuto in corrispondenza delle laterali. Si addossano
ai tratti della facciata esterna della parete rimasta, le lesene che servono
come imposta agli archi del transetto, ottenendo così dei pilastri a
sezione cruciforme.
Negli angoli di questi pilastri, verso l’abside nuova, saranno inserite
le svelte colonnine che scaricheranno a terra le forze raccolte dalle nervature
della volta.
6.27 IL BENEFATTORE E LE LAPIDI A FUTURA MEMORIA
Questo lavoro gode di un benefattore che, alla sua morte, sarà deposto
nel transetto, sotto la lesena d’imposta dell’arco a sinistra dell’altare,
ed una lapide, simmetrica a quella dell’inizio dei lavori, lo ricorda
e ne celebra la generosità.
Ecco il testo delle due lapidi.
La prima, che ricorda i lavori, precisa: HOC OPUS INCEPTU(m) / FUIT SUB ANNIS
DOMINI/ MCCXXIII INDICIO / NE XI DIE XII M(ensis) AP(r)IL(i)S, ossia: Questo
lavoro fu iniziato negli anni del Signore 1223 indizione XI nel giorno 12 del
mese di aprile.
L'altra lapide recita: + IN DEI NO(m)I(n)E AM(en) HIC / REQUIESCIT CORPUS /
ANDRE ERISTIPULISIE(nsis) Q(ui) / DONAVIT LU- MINARIE HUIUS / ECCL(esiae) ET
TERRAM CUM OLIVIS / IN ARMIGNANO Q(uae) NEC VEN / D(ere) DEBET NEC ALIENARI,
che si interpreta: + In nome di Dio Amen Qui riposa il corpo di Andrea Eristipolisiense
(ossia della città di Eristopoli) che donò a questa chiesa la
luminaria (ossia un'offerta annua di cera) ed un terreno con olivi in Armignano
(località nei dintorni di Casteldemilio) che non deve essere né
venduto né alienato.
6.28 L’ULTIMAZIONE DEI LAVORI
Non è dato conoscere quando i lavori furono terminati; probabilmente attorno alla metà del secolo la chiesa di S. Maria del Mercato - ormai era così chiamata, modificato l'antico titolo di S. Maria del Canneto - aveva assunto completamente la sua nuova veste.
6.29 L’ELEVAZIONE A COLLEGIATA
Un importante momento della vita della chiesa è la sua elevazione a
Collegiata. Ciò avvenne nel 1474, secondo il Leoni, per iniziativa del
Vescovo Antonio Fatati e con il consenso del Comune che della chiesa aveva il
diritto di patronato. Nel 1483 il Legato per la Marca, con suo decreto, riconobbe
legalmente la fondazione che avrebbe dovuto essere rappresentata da un Proposito
o Preposto, che ne era anche il Parroco, e da sei Canonici .
6.30 UNA INDICAZIONE DEL MONTAIGNE
Una notizia trasmessaci dal De Montaigne nel suo “Journal de voyage en
Italie"- egli fu in Ancona il 26 aprile 1581- suggerisce che nella chiesa
di S. Maria si celebrava anche con il rito orientale (14). Questa indicazione
spiegherebbe la mancanza della faccia a vista nella zona bassa della curva absidale,
dove, secondo il rito orientale, era addossato l'altare. Per la realizzazione
degli stalli corali, tale altare fu poi demolito e prevedendo la parete coperta
dall'arredo ligneo che formava il coro, non si ritenne dover rifinire con parametro
a vista
quel tratto di parete. Tale situazione indusse il Serra a riconoscervi i resti
della struttura di una cripta ed a prevedere, nel restauro dell'anno 1925, una
zona presbiteriale sopraelevata e servita da una scalinata di raccordo con la
navata, cancellando i piani originali dell’edificio medioevale.
6.31 ALTRE MODIFICHE IMPORTANTI
Altre modifiche importanti dovettero aversi contemporaneamente e poco dopo l'allungamento
della chiesa: l'eliminazione del collegamento tra la torre, ormai divenuta campanile,
e la retrostante mura civica che aveva perduto la sua ragion d'essere. Inizialmente
le arcate che sorreggevano il camminamento erano forse state organizzate per
ospitarvi altari laterali o come pertinenze per il servizio del culto. Per questa
nuova destinazione si intervenne piuttosto radicalmente, demolendo il manufatto
e ricostruendo sia il muro perimetrale della chiesa sia quello esterno, spostando
quest'ultimo in modo da farlo diventare prosecuzione del lato della torre. L'accesso
al campanile rimase però sempre in alto, all'altezza dei rinfianchi della
volta che copre ancora il piano terreno della torre stessa. Il piano ricavato
nel nuovo volume, all'antica quota di accesso, diverrà più tardi
l’alloggio per il sacrestano.
6.32 IL TERREMOTO DEL 1690 E IL CROLLO DEL CAMPANILE
Nel 1690 , nella notte tra il 22 e il 23 dicembre iniziò una serie di sismi: la chiesa di S. Maria della Piazza pagò il suo contributo con il crollo del campanile - probabilmente la parte aggiunta sopra l'antico lastrico solare della torre – che , ruinando , travolse la parte alta della facciata. La ricostruzione fu sollecitamente iniziata ma si prolungò nel tempo. Lo stato della cornice superiore, quella che reca i due leoni, mostra la sua ricomposizione ed integrazione con frammenti estranei; nell'interno, la cornice che fu posta circa alla quota dove era una volta l'appoggio delle capriate del tetto o dei dormienti, rimane interrotta in corrispondenza della facciata. L'intervento espresse anche un assetto interno che esprimeva la cultura di transizione tra la fine del Seicento ed il primo Settecento presente in Ancona. Terminato l'intervento, l'interno assumerà l'aspetto di una chiesa baroccheggiante, come appare dalle piante e dalle foto dei primi anni del secolo nostro, intervento che sopraeleva anche le quote dei tetti delle navate laterali per far meglio girare le volte che vi sono eseguite.
6.33 BENEDETTO XIV E MARIA PRESENTATA AL TEMPIO O VIRGO FIDELIS
In questo ambiente sono collocati monumenti funerari in corrispondenza delle
sepolture delle Famiglie che ivi avevano avuto tale diritto da tempi anche lontani
e che si mantennero sino alla metà dell'Ottocento circa. La liberalità
di papa Benedetto XIV, che' era stato vescovo di Ancona tra il 1727 ed il 1731,
arricchirà la chiesa con una tela del Benefial, la Madonna presentata
al Tempio, memore del titolo che egli aveva scelto per la chiesa, ritenendo
indeterminato e vago quello di
S. Maria della Piazza. La scelta rifletteva il motto dello stemma comunale,
la chiesa era di juspatronato del Comune, che richiamava alla virtù della
fedeltà: ANCON DORICA CIVITAS FIDEI, ossia ANCONA DORICA, CITTA' DELLA
FEDE; la presentazione di Maria al tempio, a sua volta, la indica quale Virgo
Fidelis. Questa delicatezza del Lambertini contrasta con la rinuncia del Comune
al patronato, attuata in questi ultimi tempi. . .
6.34 I DANNI DELL’INVASIONE FRANCESE
Dopo i danni provocati dal sisma, quelli dell’invasione francese. La chiesa viene confiscata ed è degradata a stalla ed a zecca. Parte dell'arredo è bruciato e quanto rimane reca i segni della violenza. Tuttavia, rispetto alla ventilata demolizione per le condizioni dell'edificio, per la quale si era già ottenuto il breve papale, la jattura è rimediabile.
6.35 LA MEMORIA DEI CINQUE ALTARI
Da una memoria del 1784 che si conservava nell'archivio storico del Comune, si riassumono queste notizie. La chiesa aveva cinque altari: il maggiore, dedicato alla Presentazione al, Tempio di Maria, dove c'è il coro, officiato da dodici canonici ed una dignità, il Prevosto; a lato del Vangelo, quelli di S. Antonio da Padova, spettante ai Maestri Canapini e di S. Venanzio, dei Maestri Muratori, dove era anche un quadro dell'Immacolata, S. Luigi e S. Lucia; dall'altro lato, quelli di S. Giuseppe, dell'Università dei Falegnami e della Visitazione e della Madonna del Fuoco, dell’Università dei Fornai.
6.36 GLI ARREDI L’ORGANO E LE STATUE
La chiesa è definita stretta ed umida; con una piccola sacrestia ed
una ristretta aula capitolare; tra l’arredo si ricorda la presenza di
una statua della SS. Vergine col Bambino in braccio col suo ornamento di vari
colori e alcuni filetti d’oro di quindici quadri tra grandi e piccoli
in sacrestia e capitolo; un apparato per il sepolcro in teloni, colonne, scalinata,
fatto dal Canonico Ferretti (15). Con l'occasione giova ricordare che erano
anche di dotazione della chiesa e durarono sino agli anni Cinquanta circa del
nostro tempo, poi non si sa dove sono andate a finire - delle statue lignee
snodate per il presepio, statue ad altezza naturale ed un organo - che potrebbe
essere stato settecentesco - che proveniva dal teatro delle Muse; anche questo
è scomparso con le statue.
6.37 LA RESTITUZIONE AL CULTO DEL 1806 E LA CESSAZIONE DEL COLLEGIO CANONICO
Con la restituzione al culto, avvenuta nel 1806, la chiesa, assume anche il titolo di S. Rocco, distrutta la chiesa omonima; vi si trasporta anche il quadro del Santo (16). Altre vicende di soppressioni segnano gli anni successivi sino alla restaurazione dello Stato Pontificio; l'annessione al Regno d'Italia sabaudo la trova soltanto parrocchiale, cessato da tempo il collegio canonicale, benché al parroco rimanesse il titolo di Prevosto.
6.38 IL FALSO DEL 1925
Lavori intesi a ripristinarne l'antico aspetto iniziano nel 1925 e si concludono
nel 1929 con il recupero di elementi originari ma anche con l'inserimento di
un presbiterio rialzato e servito da una scalinata, come già accennato,
di pura invenzione del restauratore, come dei cinque altari - il maggiore ed
i quattro lungo i perimetrali - del pulpito e dell'arredo, disegnati e realizzati,
come si diceva, in stile. Questo falso incontrò molto il favore popolare,
soprattutto per la scenografia che offriva alle cerimonie nuziali.
6.39 1943-44 E IL SISMA DEL 1972: IL RIPRISTINO DOPO I DISASTRI BELLICI DEL
CARATTERE SACRO DELL’EDIFICIO E LA VALORIZZAZIONE DELLA CHIESA PALEOCRISTIANA.
I disastri bellici del 1943-44 sfiorarono la chiesa che, nonostante le distruzioni
circostanti, poté essere riaperta al culto. Soltanto con i lavori di
consolidamento, necessari per le conseguenze indirette dei bombardamenti sulle
strutture, si iniziò una specie di gara. In nome del restauro e del ripristino
chi curò i lavori desiderò solo sperimentare le proprie capacità,
dimostrando, come era avvenuto nel passato, che, più dagli uomini che
dagli avvenimenti, la chiesa subiva violenza. Un intervento di maggior mole
e più accorto è avvenuto per consolidare le strutture dopo il
sisma del 1972. Disponendo di nuove tecniche si sono potuti recuperare aspetti
mortificati dai lavori precedenti ed eliminare arredi e soluzioni incompatibili
con il carattere del sacro edificio e valorizzare i resti della chiesa paleo-
cristiana, togliendo però ai mosaici la loro brillantezza consentita
dall'umidità del luogo, in quanto inseriti in un supporto cementizio.
NOTE AL CAPITOLO VI
(1) - Ferretti Lando, Storia di Ancona, ms, Archivio di Stato, Ancona.
(2) - Nel sotterraneo del vicino edificio, già casa parrocchia- le, sono
visibili i resti delle colonne che dovevano appartenere al peristilio.
(3) - Le dimensioni della basilica sono le seguenti: lunghezza, m 32,20; larghezza,
m 21; le navate sono rispettivamente ampie m 10,60 la maggiore, m 5,15 la minore
di destra e m 5,24 la minore di sinistra.
(4) - La decorazione musiva dei pavimenti richiama analoghe soluzioni presenti
non solo lungo le coste dell'Adriatico ma anche dell'Africa mediterranea; in
particolare si fa nota- re che il cespo simbolico che orna il tappeto davanti
all'altare, lo si ritrova ad Aquileia nella decorazione dei riquadri che spartiscono
il pavimento (sec. IV) della basilica.
(5) - Un esempio di domus ecclesiae è rimasto a Doura Europos, sulle
rive dell'Eufrate; tra l'altro è ancora visibile una sala con bacino
che serviva da battistero , come è documentato dagli affreschi presenti.
Cfr.: Bon A. Bisanzio, Ginevra, 1975, pp.28sg.
(6) - Le decorazioni dell'absidiola minore ripetono forme ravennati, quali le
foglie lanceolate, che si ritrovano sui sarcofaghi.
(7) - Di questi impianti rimangono tracce lungo l'arco del porto, oggi conglobate
nei nuovi edifici, realizzati dopo le distruzioni belliche, soprattutto per
usi militari; altre sono state distrutte per il tracciamento del Lungomare Vanvitelli
e per avere terreno libero a disposizione.
(8) - Un elemento che poteva essere stato un'uscita di sicurezza, potrebbe essere
quell'inizio di scala che si è trovato sotto l'arcata a destra del presbiterio,
a livello del pavimento dell'aula: potrebbe però essere stato anche l'accesso
a qualche tomba sotterranea.
(9) - Attorno al Mille era considerata una pia impresa violare le sepolture
dei Santi per poter impadronirsi delle loro reliquie, al fine di garantire la
protezione e sicurezza della propria città; ciò accadeva soprattutto
nei riguardi dei Santi di maggior fama. Così i baresi andarono a Myra
e si impossessarono dei resti del vescovo s. Nicola, che da Myra diventò
da Bari; i veneziani prelevarono da Alessandria le reliquie di S. Marco, da
Siracusa S. Lucia e da Ancona S. Costanzo: oggi le reliquie di S. Costanzo sono
venerate nella chiesa di S. Trovaso a Venezia.
(10) - Attualmente la fontana del Calamo o delle Tredici Cannelle, non ha più
le cannelle: sono state scioccamente sostituite da fistole, cancellando così
un accorgimento adottato probabilmente circa un paio di secoli or sono per rendere
più facile attingere l'acqua. Originariamente, l'acqua scendeva liberamente
dai condotti nella vasca di raccolta; per maggior comodità si inserirono
i traversi in corrispondenza dei getti ed i getti furono controllati appunto
da rubinetti, detti volgarmente cannelle, o cannoni, per la loro forma che richiamava
quella delle bocche da fuoco. Se si voleva ripristinare l'antico stato, avrebbero
dovuto sparire anche i traversi ed i mascheroni in bronzo; si è invece
provveduto a cingere i traversi, in corrispondenza del getto, con una fascetta
di plastica sagomata che smorza la forza dell'acqua...
(11) - Il nuovo Palazzo degli Anziani, costruito tra la fine del sec. XIV egli
inizi del sec. XV, è l'attuale sede della Prefettura. Con il nuovo Palazzo
fu anche realizzata una nuova piazza detta allora Piazza Grande ed oggi del
Plebiscito; ma dal 1737, con la collocazione del monumento a papa Clemente XII,
per gli Anconitani è stata ed è la piazza del Papa.
(12) - Cappelletti G., Le Chiese d'Italia VII, Venezia, 1848, p.57 e nota n.3;
tra i presenti al giudizio pronunciato dal vescovo Gerardo II vi è appunto
il presbitero Filippo (anno 1227) e lo stesso presbitero è nominato sull'iscrizione,
attualmente frammentata dopo i danni bellici, che ricordava la ricostruzione,
negli anni tra il 1213 ed il 1224, della chiesa del SS.mo Salvatore poi S. Pellegrino.
Il testo dell'iscrizione recitava: ANNO MCCXIII INDIC(tione) I ET DIE II APR(i)L(is)
INTRA(n)TE DO(mi)NO INNOCENTIO P(a)P(a) SUSTINENTE OTTO IMPER(um) TENENTE UGONE
ET FILIPO PR(aesbiteris) ET PETRO CUM DOMINICO OPERARIIS ECCLESIA VETUSTATE
CONSUMPTA ET EX FUDAMENTIS... Questa iscrizione è stata così letta
da Posti C. , in "Il Duomo di Ancona", Jesi, 1912, p.185; oggi, purtroppo,
ne rimane leggibile solo una piccola parte.
(13) - La lapide era frammentaria ed il Posti (op. cit., p.188) così
la ricostituisce in parte: (anno domini mc)CXVII INFRA I (die... mens... vi
ind) NE PHILIPP(us) PA / (piae magister pri)MARIAE H(ujus) ECCL(esia)E / (fecit
hoc opus cum oper murar) BARTHOLOMEUS / ...RS FILI AC / ...ASA COOLIS /; questa
lapide è stata ancora ridotta per i danni bellici.
(14) - M. de Montaigne, Journal de voyage en Italie par la Suisse et. l'Allemagne
en 1580 et 1581,a cura di Camosasca E., Milano, 1956, p.209; ...Esiste ancora
una chiesa greca con sulla porta, scolpita in una vecchia pietra, certe lettere
che suppongo schiavone. Alla corrispondente nota, p.355, n.8, è riportato
il commento del D'Ancona: "I greci uniti, dimoranti in Ancona per traffico
e formanti una colonia, chiesero ed ebbero, per concessione di Clemente VII,
nel 1524, la chiesa di Santa Maria in Porta Cipriana detta anche di S. Anna,
per loro uso e per officiarla col rito greco. Al di d 'oggi non esiste più
l'iscrizione ricordata dal nostro autore". E' da osservare che sulla porta
di S. Maria in Porta Cipriana non vi è mai stata una pietra con iscrizione,
mentre sopra la porta della chiesa di S. Maria della Piazza è sempre
esistita, almeno dal 1210; il tempio cui si riferisce il De Montaigne è
pertanto quello di S. Maria della Piazza.
(15) - Archivio di Stato di Ancona, Archivio Comunale di Ancona: memoria manoscritta;
è la minuta di un esposto per giustificare il mancato accoglimento della
richiesta di una Confraternita ad essere ospitata nella Chiesa ed indica, oltre
allo stato della chiesa di S. M. della Piazza, quello di altre chiese cittadine.
(16) - P. Bedetti, Libro di Annali e Memorabili Successi accaduti negli Anni
Scorsi" ms, Biblioteca Comunale Ancona, p.34: nel 1782, ai primi di settembre
furono iniziati i lavori per la nuova strada dal Lazzaretto al Piano di San
Lazzaro e fu abbattuta la chiesa di S. Rocco per farci l'Albergo e la nuova
sede della Posta (oggi Banca d'Italia); A. Leoni, Storia d'Ancona, Ancona, 1810,
III, p.48, pone questa distruzione del 1808. Il titolo di S. Rocco fu unito
a S. Maria della Piazza con Breve di papa Pio VII in data 9 agosto 1807; cfr.
Arch. Curia Arciv. Provisiones varia annis 1785-1807.
INDICE
CAPITOLO I: STORIA DELLA DIOCESI DI ANCONA, Il primo millennio cristiano 1
1.1 UNA TRAGEDIA FAMILIARE 1
1.2 IL SASSO E IL CATECUMENO 2
1.3 IL CRISTIANESIMO VIENE DAL MARE 2
1.4 LA MEMORIA DI ANCONA 3
1.5 LA PRIMA BASILICA DI S. STEFANO 4
1.6 GALLA PLACIDA IN ANCONA 6
1.7 LA VITA RELIGIOSA DI ANCONA AL TEMPO DELLE ERESIE E I SANTI PELLEGRINO E
FLAVIANO 8
1.8 ANCONA E LE BASILICHE PALEOCRISTIANE 10
NOTE AL CAPITOLO I 12
CAPITOLO II: STORIA DELLA DIOCESI DI ANCONA, Il secondo millennio 15
2.1 MILLE E NON PIÙ MILLE... CALAMITÀ NATURALI E NUOVI ASSETTI
DEL TERRITORIO 15
2.2 DOCUMENTI E ANTICHI CRONISTI 16
2.3 LA NASCITA DEL COMUNE. 17
2.4 LE DIVISIONI IN TERZERI E LA STRUTTURA DELLE PARROCCHIE 18
2.5 LE BOLLE VESCOVILI E PAPALI 19
2.6 IL REGISTRO DELLE DECIME E GLI EDIFICI DI CULTO 20
2.7 CONCILIO DI TRENTO E VISITE PASTORALI DEL VESCOVO CONTI 22
2.8 GLI ORDINI RELIGIOSI:I CROCIFERI E I BENEDETTINI 23
2.9 GLI EREMITI DI S. AGOSTINO 24
2.10 GLI ORDINI MENDICANTI, FRANCESCANI E DOMENICANI 25
2.11 CARMELITANI, SERVI DI MARIA, GEROLAMINI 26
2.12 GLI EREMITI SUL MONTE CONERO 26
2.13 I GESUITI AD ANCONA ED ALTRE COMUNITA' MINORI 26
2.14 LE COMUNITA’ FEMMINILI 27
2.15 LA GIURISDIZIONE DELLE PARROCCHIE E LA TRASFORMAZIONE DELLE CITTA' 29
NOTE AL CAPITOLO II 31
CAPITOLO III: MEMORIE DEI VESCOVI 36
3.1 PRIMIANO 36
3.2 CIRIACO 37
3.3 MARCELLINO E L’EVANGELIARIO 38
3.4 NATALE E L'EPOCA LONGOBARDA 39
3.5 PAOLO E L'ERESIA DI FOZIO 39
3.6 IL TEMPO DEGLI OTTONI E LA CATTEDRA DI S. LORENZO 39
3.7 IL XII SECOLO E I PLUTEI DEL MAESTRO LEONARDO 40
3.8 GERARDO II E L’ORGANIZZAZIONE DEL CORPO CANONICALE 41
3.9 IL SACELLO DI S. ANNA E LE LOTTE FRA PAPATO E IMPERO 41
3.10 SEC: XIV: IL TEMPO DI BONIFACIO VIII E LA POSA DELLA PRIMA PIETRA DI S.
MARIA MAGGIORE 42
3.11 IL PERIODO DELLE PESTILENZE E DELLO SCISMA D’OCCIDENTE 43
3.12 SEC. XV: i TRE PAPI E LA RIVALITA'FRA LE FAMIGLIE CITTADINE 43
3.13 I VESCCOVI FATATI E BENINCASA 44
3.14 IL CARDINAL D'ANCONA E LA FINE DELL'AUTONOMIA COMUNALE 45
3.15 L’EPOCA DELLA RIFORMA TRIDENTINA: I VESCOVI DELUCCHI S.E.CONTI 46
3.16 SEC. XVII: INTENSIFICAZIONE DELLA VITA RELIGIOSA EDEMERGENZA CITTADINA
47
3.17 SEC. XVIII:IL VESCOVO SANTO MARCELLO D’ASTE 48
3.18 IL FUTURO PAPA E IL RICONOSCIMENTO DEL PORTOFRANCO 49
3.19 IL CARDINAL MASSEI E IL RISVEGLIO DELLA VITA RELIGIOSA 49
3.20 L’ANCONITANO CARDINAL MANCIFORTE E LA RICOGNIZIONE DEI SANTI PROTETTORI
50
3.21 IL SINODO DEL CARDINAL BUFALINI 50
3.22 IL TEMPO DELLA RIVOLUZIONE FRANCESE ; IL MIRACOLO DEGLI OCCHI E L’OCCUPAZIONE
NAPOLEONICA 51
3.23 SEC. XIX: DALL’ AMMINISTRATORE APOSTOLICO AL RITORNO DELLA TITOLARITA’:
IL NUOVO IMPULSO MISSIONARIO CON S. GASPARE 52
3.24 L’ACQUISTO DELL’ATTUALE RESIDENZA VESCOVILE 52
3.25 L’EPIDEMIA DI COLERA E L’INDIZIONE DEL SINODO 53
3.26 ANNESSIONE ED EMANAZIONE DELLE LEGGI DI SOPPRESSIONE. 53
3.27 SEC. XX: TUTTI I VESCOVI SINO AI GIORNI NOSTRI : LA FUSIONE TRA LE DIOCESI
DI ANCONA E OSIMO SOTTO MONS. MACCARI 54
CAPITOLO IV: I SANTI VENERATI NELLA CHIESA ANCONETANA 58
4.1 IL TEMPO DELLE PERSECUZIONI : I MARTIRI IGNOTI 58
4.2 S. PRIMIANO 58
4.3 S. CIRIACO 59
4.4 S. MARCELLINO E S. COSTANZO 59
4.5 S. LIBERIO 59
4.6 LA TRASLAZIONE DELLE RELIQUIE E LE RELIQUIE TRAFUGATE 60
4.7 LA CATTEDRA DA S. STEFANO A S. LORENZO 60
4.8 IL GRAFFITO SCOMPARSO 60
4.9 I SANTI DIETRO LE SBARRE: SANTI PELLEGRINO E FLAVIANO 61
4.10 S. PALAZIA 61
4.11 S. DASIO SOLDATO ROMANO 62
4.12 S. GAUDENZIO DA OSSARO, VESCOVO 63
4.13 S. BENVENUTO SCOTIVOLI E LA RESTAURAZIONE DELLA DIOCESI OSIMANA 64
4.14 BEATO GABRIELE FERRETTI 65
4.15 BEATO ANTONIO FATATI 67
4.16 SACRE RELIQUIE CHE SI CONSERVANO IN CATTEDRALE ED IN ALTRE CHIESE CITTADINE
68
4.17 ALTRE RELIQUIE O DA CONSIDERARSI TALI 70
4.18 CHIESA DEI SS. PELLEGRINO MARTIRE E TERESA 71
4.19 CHIESA DI S. GIOVANNI BATTISTA GIA’ S. CLAUDI, A CAPODIMONTE 71
4.20 ALTRI TESTIMONI DI CRISTO NELLA CHIESA ANCONITANA 72
4.21 GIROLAMO GINELLI, DETTO IL BEATO. 72
4.22 IL CARD. MARCELLO D'ASTE 74
4.23 IL CARD. NICOLO' MANCIFORTE 75
NOTE AL CAPITOLO IV 77
CAPITOLO V: LA CATTEDRALE DI S.CIRIACO 79
5.1 LE PRIME NOTIZIE 79
5.2 L’ASPETTO DI ANCONA SECONDO PROCOPIO DI CESAREA 79
5.3 DAI RACCONTI DI UNA BISNONNA... 80
5.4 LA DONAZIONE DI MAXIMILLA E L’INNALZAMENTO DELLA CHIESA DI S.LORENZO
A CATTEDRALE 81
5.5 L’ASSEDIO DI TOTILA E LA LEGGENDA DI S. LIBERIO 81
5.6 I SANTI QUATTRO CORONATI E LA “ECCLESIAM SANCTI STEPHANI” 82
5.7 LE “CRONECHE ANCONITANE” DEL BERNABEI 83
5.8 LA CONSEGNA DEL POTERE CIVILE ALLA CHIESA E LA FIGURA DEL VESCOVO CONTE
83
5.9 IL RITORNO DEL TIRANNO 84
5.10 LA BASILICA DI SAN LORENZO: QUANTO E’ RIMASTO SINO A NOI 84
5.11 LE FONDAZIONI 85
5.12 I FRAMMENTI LAPIDEI 86
5.13 LA RICOSTRUZIONE DELLA BASILICA 86
5.14 CONTEPORANEITA’ CON LE CHIESE DI PORTONOVO E DI S. PIETRO AL CONERO
87
5.15 REALIZZAZIONE DELLA CRIPTA 87
5.16 I RESTI DEL PAVIMENTO E DELLA FACCIATA 88
5.17 DALLA PIANTA BASILICALE A QUELLA A CROCE GRECA 89
5.18 IL NUOVO CORSO POLITICO 89
5.19 LA PORTA APERTA VERSO LA CITTA 89
5.20 L’ASPETTO INTERNO ALLA FINE DEL SEC. XII 90
5.21 IL RIASSETTO ARCHITETTONICO 90
5.22 IL BRACCIO DI FERRO TRA CLERO E COMUNE E IL M.FILIPPO 91
5.23 IL TESTAMENTO DEL CARDINALE ALBORNOTZ 92
5.24 LA NUOVA SISTEMAZIONE PROMOSSA DAL CARDINALE ALBERTINI 93
5.25 LE FABBRICHE DELLA CATTEDRALE NELLE DIVERSE EPOCHE 93
5.26 L’INCENDIO E I SACRESTANI 93
5.27 L’ANNO SANTO DEL 1600 E I DOCUMENTI PERDUTI 94
5.28 I DANNI DEI FULMINI 94
5.29 LA MANOMISSIONE DEI PLUTEI 94
5.30 LA RICOGNIZIONE DI S. CIRIACO 95
5.31 IL RITORNO DEI FULMINI L’OCCUPAZIONE FRANCESE E LA SPOLIAZIONE DELLA
CUPOLA 95
5.32 LA CREAZIONE DEL MUSEO DIOCESANO 96
5.33 LA RIMOZIONE DEI PLUTEI DI LAMBERTO 96
5.34 LA REGINA DI TUTTI I SANTI SULL’AMBONE DEL VANVITELLI 96
5.35 I MURAGLIOLI SUL LATO MARE 97
5.36 I DANNI DELLO SCOPPIO DELLA GUERRA MONDIALE 97
5.37 IL CAMPANILE 97
5.38 IL BATTISTERO 98
CAPITOLO VI: LA CHIESA DI SANTA MARIA DELLA PIAZZA 105
6.1 CHIESA NEL CUORE DELLA CITTA’ 105
6.2 LA PRESENZA DELLA CHIESA PALEOCRISTIANA 105
6.3 LA VILLA ROMANA 105
6.4 IL “SEGNO” DEL POZZO E IL BATTESIMO PER IMMERSIONE 106
6.5 I PERIMETRI DELLA BASILICA ANTICA 106
6.6 TRE NAVATE E DUE ABSIDI 106
6.7 I DUE STRATI PAVIMENTALI 107
6.8 DUE LAPIDI TOMBALI E RESTI DI DECORAZIONE MOSAICO 107
6.9 L’ALTARE MOBILE 107
6.10 LA BOCCA DEL POZZO 108
6.11 DOMUS ECCLESIAE E ITINERARIO CATECUMENALE 108
6.12 LACERTI PARIETALI E I DIVERSI STRATI DI AFFRESCO 108
6.13 LA ROVINA DEL IX SEC. E I RECINTI MURARI DEI SECOLI XI E XII 109
6.14 IL CAMPANILE DELLA CHIESA DI S.MARIA E L’ISTITUZIONE DELLA COLLEGIATA
109
6.15 IL RECINTO DELLA CHIESA SUPERIORE 110
6.16 L’ABBANDONO DELL’IMPIANTO DIFENSIVO DOPO L’ASSEDIO DEL
1174 111
6.17 LA CHIESA SORGE IN LUOGO PALUDOSO 111
6.18 LA FACCIATA DEL TEMPIO E I MAESTRI LEONARDO E FILIPPO 111
6.19 IL GIURAMENTO DEL PODESTÀ E LA SEDE DEL MERCATO PORTALE 112
6.20 S.MARIA DEL CANNETO E FONTE DEL CALAMO 112
6.21 IL TRASFERIMENTO DEL MERCATO A PIAZZA GRANDE 113
6.22 SECOLO XIII: L’ESPANSIONE DELLA CITTA’ 113
6.23 L’ISCRIZIONE SULL’ARCHITRAVE E LA SCOMUNICA DEL 1210 113
6.24 FILIPPO: IL PRESBITERO E IL MAESTRO 114
6.25 LE FIRME DEL M. FILIPPO 115
6.26 1223: I LAVORI DI ALLUNGAMENTO DELLA CHIESA 115
6.27 IL BENEFATTORE E LE LAPIDI A FUTURA MEMORIA 116
6.28 L’ULTIMAZIONE DEI LAVORI 116
6.29 L’ELEVAZIONE A COLLEGIATA 116
6.30 UNA INDICAZIONE DEL MONTAIGNE 117
6.31 ALTRE MODIFICHE IMPORTANTI 117
6.32 IL TERREMOTO DEL 1690 E IL CROLLO DEL CAMPANILE 118
6.33 BENEDETTO XIV E MARIA PRESENTATA AL TEMPIO O VIRGO FIDELIS 118
6.34 I DANNI DELL’INVASIONE FRANCESE 119
6.35 La MEMORIA DEI CINQUE ALTARI 119
6.36 GLI ARREDI L’ORGANO E LE STATUE 119
6.37 LA RESTITUZIONE AL CULTO DEL 1806 E LA CESSAZIONE DEL COLLEGIO CANONICO
120
6.38 IL FALSO DEL 1925 120
6.39 1943-44 E IL SISMA DEL 1972: IL RIPRISTINO DOPO I DISASTRI BELLICI DEL
CARATTERE SACRO DELL’EDIFICIO E LA VALORIZZAZIONE DELLA CHIESA PALEOCRISTIANA.
121
NOTE AL CAPITOLO VI 122
INDICE 125